«Il nostro scopo è intervenire prima della nascita, durante lo sviluppo fetale, per correggere le mutazioni genetiche responsabili delle malattie», spiega Alessia Cavazza, Professoressa Associata in Terapia Genica all’University College of London. «Intervenire prima della nascita permetterebbe di prevenire l’insorgenza dei sintomi o dei danni irreparabili causati dalla malattia», afferma.
Quello che il suo team al Great Ormond Street Institute of Child Health (GOSH) ha creato è una piattaforma di base editing che ha il potenziale di trasformare il trattamento di numerose malattie genetiche rare.
La piattaforma di base editing per curare il feto nell’utero materno
La piattaforma di base editing sviluppata dal GOSH rappresenta una tecnologia di precisione nell’editing genetico. A differenza delle tecniche tradizionali come CRISPR-Cas9, che creano rotture nel DNA per rimuovere o inserire sequenze genetiche, il base editing consente la modifica diretta delle basi nucleotidiche senza causare rotture nel doppio filamento del DNA. «Questa tecnologia permette di correggere mutazioni specifiche a livello di singole basi, minimizzando il rischio di effetti collaterali e off-target» afferma Alessia Cavazza. «La piattaforma di base editing del GOSH si distingue per la sua versatilità e precisione. Noi crediamo che potrà essere utilizzata per correggere una vasta gamma di mutazioni genetiche con un alto grado di sicurezza. Questo è particolarmente utile per le malattie rare, dove le mutazioni possono variare significativamente tra i pazienti».
Un esempio concreto dell’efficacia di questa piattaforma è stato dimostrato nel trattamento della sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS). In uno studio pubblicato nel 2020 su Nature Communications, i ricercatori del GOSH hanno mostrato come la piattaforma di base editing possa reinserire il gene corretto nello stesso locus del gene mutato, offrendo una soluzione universale che può essere applicata a tutti i pazienti con WAS, indipendentemente dalla specifica mutazione.
La sperimentazione di base editing per la malattia di Krabbe
Attualmente, il GOSH sta esplorando l’uso del base editing per la malattia di Krabbe, una malattia metabolica neurodegenerativa. «La possibilità di intervenire in utero offre un’opportunità unica per prevenire la neurodegenerazione e l’infiammazione prima che causino danni irreparabili», ricorda Alessia Cavazza.
La malattia di Krabbe è una rara e devastante patologia metabolica neurodegenerativa che colpisce principalmente i neonati, con un impatto drammatico sulla loro qualità di vita e aspettativa di sopravvivenza. Conosciuta anche come leucodistrofia a cellule globoidali, questa malattia rappresenta una sfida significativa per medici e ricercatori, data la sua complessità e l’attuale mancanza di trattamenti efficaci.
La malattia di Krabbe è causata da mutazioni nel gene GALC, responsabile della produzione dell’enzima galattosilceramidasi. La carenza di questo enzima porta all’accumulo di galattosilceramide, una sostanza tossica che danneggia le cellule nervose, provocando la perdita della mielina, il rivestimento protettivo dei nervi. Questo processo porta a gravi problemi neurologici e, nei casi più gravi, a un’aspettativa di vita di soli due anni.
Attualmente, ricorda Alessia Cavazza, i trattamenti per la malattia di Krabbe sono limitati e principalmente palliativi. «I trapianti di midollo osseo hanno mostrato alcuni successi nelle fasi iniziali della malattia, ma non riescono a invertire i danni già presenti e sono inefficaci nelle forme più gravi e avanzate. La complessità della malattia, che coinvolge sia la neurodegenerazione che l’infiammazione, rende difficile trovare una soluzione terapeutica completa».
Gli studi preclinici in corso
Il laboratorio del Great Ormond Street Institute sta conducendo studi preclinici utilizzando modelli murini per testare l’efficacia del base editing in utero. I risultati preliminari sono promettenti, mostrando una buona correzione genetica delle mutazioni nei topi trattati. Gli esperimenti prevedono trapianti in utero su topi gravidi, con l’obiettivo di osservare una significativa riduzione della neurodegenerazione e un miglioramento dei sintomi comportamentali.
«L’obiettivo finale di questi studi è ottenere una guarigione completa, facendo nascere topi sani e senza sintomi della malattia di Krabbe. Anche se la speranza è di eliminare completamente la malattia, un significativo rallentamento o miglioramento dei sintomi sarebbe già un grande passo avanti, giustificando l’approvazione di nuovi farmaci e migliorando notevolmente la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie», afferma Cavazza.
I ricercatori sfruttano il sistema ematopoietico fetale e la barriera ematoencefalica aperta
Per fare in modo che la terapia giunga nell’organo target e quindi sia efficace, i ricercatori sfruttano le caratteristiche del feto nell’utero materno. «Durante lo sviluppo fetale, il sistema ematopoietico si trova nel fegato, non nel midollo osseo», spiega Alessia Cavazza. «Questo permette di indirizzare il trattamento direttamente al fegato attraverso un’iniezione intravenosa nel cordone ombelicale. Il fegato, essendo l’organo drenante, assorbe efficacemente il trattamento, facilitando una distribuzione capillare delle cellule geneticamente modificate. Inoltre, in utero la barriera ematoencefalica è ancora aperta, permettendo ai trattamenti intravenosi di raggiungere direttamente il cervello. Questo è un vantaggio significativo, perché ci consente di trattare efficacemente le malattie neurodegenerative con un metodo meno invasivo rispetto alle attuali iniezioni intracraniche».
La piattaforma di editing genetico in vivo è più sostenibile
«L’approccio in vivo riduce la necessità di manipolazioni estensive delle cellule, abbassando i costi e migliorando la sicurezza del trattamento», afferma Alessia Cavazza. «Questo potrebbe rendere le terapie geniche più accessibili a un numero maggiore di pazienti», sottolinea.
Il base editing in utero rappresenta una frontiera avanzata della terapia genica, combinando l’intervento precoce con tecniche di editing genetico altamente precise. Questo approccio potrebbe rivoluzionare il trattamento di molte malattie genetiche, aprendo nuove possibilità terapeutiche e migliorando la vita di molti pazienti.