L’anemia falciforme, nota anche come drepanocitosi, di cui oggi 19 giugno è la giornata mondiale, è una malattia genetica rara che colpisce i globuli rossi, causata da una mutazione genetica che porta alla produzione di emoglobina anomala, che conferisce ai globuli rossi una forma a falce o mezzaluna.
In Italia, la patologia interessa principalmente le comunità di origine africana e del bacino mediterraneo, con una maggiore incidenza nel Sud Italia, in particolare Sicilia e Calabria.
Oggi, in occasione della Giornata Mondiale per l’Anemia Falciforme, abbiamo raccolto la testimonianza di Gianfranco Gandolfo, 52 anni, di Catania, vicepresidente di un’associazione locale di pazienti. La sua storia rappresenta un viaggio attraverso cinque decenni di evoluzione delle cure, dalle terapie sintomatiche degli anni ’70 fino alle rivoluzionarie terapie di editing genetico come Casgevy, recentemente approvate in Italia.

Gianfranco, può raccontarci come è cambiata la gestione dell’anemia falciforme negli ultimi 50 anni?
«Sono nato nel 1972 e la diagnosi è arrivata quando avevo solo due anni. All’epoca, i centri specializzati per emoglobinopatie stavano appena nascendo. Per un lungo periodo, fino all’età adulta, tutte le cure che ricevevo erano reattive: si aspettavano le crisi vaso-occlusive e i conseguenti dolori per poi intervenire. Era un approccio di pura sopravvivenza. Oggi la situazione è completamente diversa. I trattamenti che eseguo sono quasi tutti preventivi. Sto bene e conduco una vita quasi normale».
Quali sono stati i sintomi che hanno maggiormente condizionato la sua vita?
«Certamente i sintomi più comuni e frequenti della malattia, il dolore legato alle crisi falcemiche. Spesso è insopportabile e richiede ricoveri ospedalieri e cure analgesiche potenti. Il dolore è il vero incubo per un drepanocitico. Vivere con una malattia cronica sin dalla nascita allena il corpo e le risposte psicologiche, orientandole verso una maggiore forza e resilienza, ma le paure continue sono sempre presenti, soprattutto con una patologia così imprevedibile».
Come ha reagito alla notizia che i primi pazienti italiani hanno ricevuto Casgevy, l’innovativa terapia con editing genomico?
«È il sogno che diventa realtà! La prima grande organizzazione nazionale di pazienti, la Lega nazionale italiana contro le emoglobinopatie, aveva nel nome stesso PROGETTO GUARIGIONE. Ho seguito con attenzione questa tecnologia da quando era in fase di sperimentazione e generava moltissime aspettative tra noi pazienti.
Nella mia associazione locale di Catania abbiamo un socio che ha partecipato alla sperimentazione di fase III al Bambino Gesù di Roma. Ho spesso parlato con lui: sta bene e le sue condizioni cliniche sono subito apparse eccellenti. È guarito».
Quali sono le sue aspettative e timori riguardo alle nuove terapie?
«Le aspettative sono che la tecnologia Casgevy possa raggiungere tutti i pazienti eleggibili, con una platea il più ampia possibile. I timori riguardano invece gli interessi politici ed economici durante la fase di contrattazione in AIFA per il rimborso. La guarigione di un malato cronico, che rischia una qualità di vita scarsa e la vita stessa, ha un costo? Cerchiamo tutti insieme una risposta. In un paese evoluto e inclusivo, non c’è prezzo per la guarigione di un paziente con malattia genetica» »
Oltre a Casgevy, la prima terapia di editing genomico approvata, sono in fase di sperimentazione altre terapie innovative come il base editing, che accendono nuove speranze. Quanto è importante per i pazienti sapere che la ricerca continua ad avanzare?
«È vitale: senza questa consapevolezza, il nostro sguardo sul futuro sarebbe più enigmatico e buio. Sapere che la scienza si occupa di noi ci conforta e ci motiva; non è retorica, ma una sensazione collettiva reale e tangibile.
Nei nostri frequenti incontri associativi tra pazienti, oltre che di terapie tradizionali, centri di cura e problematiche connesse, si parla soprattutto delle nuove frontiere mediche pronte a guarirci».
L’informazione sulle nuove terapie raggiunge davvero tutti i pazienti?
«Purtroppo no. Solo i pazienti più attenti, considerati ‘esperti’, hanno maggiore consapevolezza sulle nuove terapie per l’anemia falciforme. I nostri centri di cura e i clinici dovrebbero impegnarsi più efficacemente nell’informazione e diffusione di notizie significative.
Le associazioni pazienti hanno avuto un ruolo fondamentale nel mio percorso. United, che oggi riunisce il maggior numero di associazioni nazionali, è un grande motore per la nostra comunità. L’attuale presidente e il direttivo stanno facendo un lavoro straordinario presso tutte le istituzioni».
Che ruolo hanno avuto le associazioni di pazienti nel suo percorso?
«Le associazioni hanno avuto un ruolo fondamentale, nella costruzione delle conoscenze sulla patologia e sulle sue complessità, sia mediche che sociali. L’impegno associativo, a livello locale e nazionale, è stato ed è un motore di crescita e di supporto per tutta la comunità. United, che oggi riunisce il maggior numero di associazioni su tutto il territorio nazionale, è un grande motore per la comunità dei pazienti. Il lavoro svolto dal direttivo e dal presidente è straordinario, ma molto resta ancora da fare».
Cosa si aspetta dalla Giornata Mondiale per l’anemia falciforme?
«Dalla Giornata Mondiale ci si aspetta molto, soprattutto in termini di sensibilizzazione e finanziamenti alla ricerca.
L’auspicio è che AIFA e la politica trovino le risorse per stipulare un contratto con le aziende che forniranno i nuovi trattamenti in Italia. Non c’è prezzo per la guarigione di un paziente con malattia genetica in un Paese evoluto e inclusivo: questo va ribadito con forza».
Cosa dovrebbero fare le istituzioni?
«Le istituzioni dovrebbero lasciarsi guidare dagli esperti, come la SITE (Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie), e collaborare con la Federazione dei pazienti UNITED per garantire un accesso equo alle cure. Un paziente guarito grava meno sul sistema sanitario rispetto a un malato cronico che necessita di continue cure e ospedalizzazioni per tutta la vita».
Un messaggio ai nuovi pazienti e alle famiglie
«A chi riceve oggi una diagnosi di anemia falciforme, il consiglio è di non sottovalutare la patologia e di affidarsi subito a un centro specializzato. È fondamentale che il bambino sia seguito secondo le linee guida della SITE, con esami, cure e trattamenti adeguati. Oggi le nuove frontiere della ricerca sono confortanti e la qualità della vita, grazie alle terapie innovative e alle nuove tecnologie genetiche, è molto migliorata. L’anemia falciforme non fa più paura, e la “guarigione” non è più un sogno lontano».