È una lunga ripetizione di DNA che influisce sul meccanismo di riciclo delle proteine nelle cellule, all’origine dell’atassia spinocerebellare, o SCA4. Ci sono voluti 25 anni di ricerca per individuare questa mutazione (che si trova nel gene ZFHX3) che causa tale forma di atassia, una rara condizione neurodegenerativa di origine genetica ereditaria che porta alla perdita della capacità di camminare. Lo studio è stato pubblicato su Nature Genetics ad opera dei ricercatori del Dipartimento di Neurologia dell’Università dello Utah a Salt Lake City, negli Stati Uniti.
Il risultato è stato ottenuto utilizzando una recente tecnica di sequenziamento del genoma a “lettura lunga” o “long read”, e grazie alla collaborazione delle famiglie dei pazienti, aprendo alle possibilità di sviluppo di una prima terapia per questa malattia. «Grazie a questo studio, potremo fare quindi una diagnosi ai pazienti che ancora non l’hanno avuta e capire la prevalenza di questa forma in Italia», spiega Alfredo Brusco, Professore di Genetica Medica al Dipartimento di Neuroscienza dell’Università degli Studi di Torino.
Una malattia per cui è difficile arrivare ad una diagnosi precisa
Perché è così complesso giungere ad una diagnosi di una forma di atassia? «Da un punto di vista clinico tutte queste forme di atassia non sono facili da distinguere; spesso insorgono con gli stessi sintomi; una forma può avere particolarità cliniche molto sottili che non è detto siano visibili fin dall’esordio della malattia. Spesso», aggiunge Brusco, «i neurologi chiedono i test genetici per confermare un’ipotesi o per smentirla, ma si arriva alla conclusione dei test senza aver identificato la causa. Questo perché ci sono ancora molti geni che non conosciamo».
Eppure, proprio grazie a test genetici il gruppo di ricerca americano è riuscito ad arrivare alla diagnosi. I ricercatori hanno utilizzato la tecnica di sequenziamento del genoma intero a singolo filamento a lettura lunga per sequenziare il DNA di persone colpite e non colpite dall’atassia da diverse famiglie nello stato dello Utah. Hanno scoperto che nelle persone con SCA4, una sezione del gene ZFHX3 è molto più lunga di quanto dovrebbe essere, contenendo una lunga serie di DNA ripetitivo.
Il test di sequenziamento utilizzato nella ricerca disponibile anche in Italia ma non si usa per le diagnosi
Il test di sequenziamento a lettura lunga è particolarmente utile per analizzare regioni complesse del genoma, che includono ripetizioni o variazioni strutturali difficili da mappare con le letture più corte. In Italia esiste da oltre sei anni. «Il problema è che anche se queste tecnologie sono a disposizione hanno costi molto elevati», ammette il Prof. Brusco. «Anche adesso non possiamo permetterci di fare una sequenza long read dal punto di vista diagnostico. E in ricerca bisogna avere finanziamenti cospicui perché stiamo parlando di almeno 2.500 euro a paziente, soltanto per la generazione il dato; a questo si deve aggiungere l’analisi del dato che implica ulteriori costi».
I test che vengono utilizzati in Italia per la diagnostica sono generalmente di short read, o lettura breve: «Quindi quello che noi facciamo è leggere i frammenti piccoli e poi allinearli sulle sequenze di riferimento che abbiamo nelle banche dati, attraverso software. Però quando c’è un’unità ripetuta – 40 ripetizioni minimo, riporta lo studio – è così lunga che non si riesce più ad allinearla nella sequenza di riferimento. In sostanza, le tecniche di sequenziamento di lettura breve quando hanno queste sequenze ripetute vanno in confusione, non capiscono, non riescono più a leggere».
Quindi la fortuna del gruppo dell’Utah è che aveva a disposizione finanziamenti?
Gli scienziati sono giunti alla mutazione grazie anche agli alberi genealogici delle famiglie
«La fortuna è stata nell’avere diverse famiglie di pazienti con la SCA4», precisa Brusco. «I ricercatori hanno capito che almeno un paio di queste famiglie avevano un’origine genetica comune: derivano da un unico antenato svedese. Una regione del DNA doveva essere pertanto in comune e i ricercatori sono riusciti ad individuarla. E quando sai che devi guardare ad una specifica regione nel genoma, il sequenziamento long read è la tecnologia giusta ed è più semplice utilizzarla».
La SCA4 sembra essere una forma di atassia importante in Svezia; quello che ancora non si sa, ma da oggi si potrà indagare, è quanto possa essere diffusa in altre aree geografiche. «Non sappiamo quanto è la prevalenza di questa malattia in Italia; ci vorranno studi che analizzano questo gene nei pazienti italiani. Questo è vero anche per molte altre forme di SCA: ad esempio, la SCA3 è frequentissima in Brasile, ma perché ha una derivazione portoghese; in Italia, invece, è rarissima».
All’orizzonte una terapia, ma solo quando i meccanismi della malattia saranno chiari
È evidente che lo sviluppo di terapie per queste malattie richiede tempo e presenta notevoli sfide. «Per le forme più note di atassia spinocerebellare, la SCA1 e la SCA2, nonostante siano passati 30 anni dalla loro scoperta, non disponiamo ancora di trattamenti efficaci. Questa nuova forma di atassia richiederà probabilmente anni di ricerca prima che possiamo sviluppare terapie, che inizialmente forse potrebbero solamente rallentare il decorso della malattia. Prendiamo ad esempio la SCA27B: ci sono stati alcuni approcci sperimentali con farmaci che non curano la malattia, ma possono rallentarne la progressione».
Uno dei principali ostacoli risiede nella novità dei geni scoperti e nelle proteine da essi codificate, che molto spesso sono completamente sconosciute. Questo implica una mancanza di comprensione del meccanismo d’azione della malattia. In alcuni casi, l’espansione di sequenze ripetute nel DNA può innescare una varietà di processi patologici.
«Agire su questi meccanismi non è semplice. Anche se abbiamo descritto alcuni di questi processi patogenetici, intervenire efficacemente senza scatenare effetti collaterali indesiderati rimane una grande sfida. È per questo motivo che la ricerca deve procedere con cautela, investendo tempo per capire non solo dove agire, ma anche come farlo in modo sicuro e senza causare danni».
Famiglie, medici e ricercatori insieme in AISA
Brusco fa parte della Commissione Medico Acientifica dell’Associazione Italiana sindromi atassiche (A.I.S.A.) fondata nel 1982 e molto attiva nel sostegno dei malati e della ricerca. «Ci sono centri in Italia che lavorano sulla diagnosi delle forme di questa malattia. Il mio gruppo ha pubblicato negli anni passati studi sulla scoperta di due geni associati a SCA, la 28 e la 38», spiega Brusco. «Ma ci sono moltissimi altri gruppi che lavorano su geni, su meccanismi, su terapie. C’è la competenza scientifica, ci sono finanziamenti che si ricevono dall’Europa, da associazioni, in parte anche attraverso fondi statali, che negli ultimi anni sono un pochino aumentati grazie ai progetti di ricerca, grazie al PNRR. Speriamo continuino».