“Abbiamo poca fiducia nella possibilità di trovare lavoro in Italia: è più facile trovarlo all’estero, o in settori non direttamente legati alle biotecnologie”. Queste alcune delle affermazioni che emergono dal “Libro Bianco sulla Professione di Biotecnologo” 2024, che fornisce un’analisi approfondita della situazione formativa e occupazionale dei laureati in Biotecnologie in Italia. Un rapporto che si basa sull’analisi dei dati raccolti nell’indagine condotta dall’Associazione Biotecnologi Italiani nel 2023, che ha coinvolto oltre mille professionisti, soprattutto tra i 18 e 39 anni. “Molti dati raccolti in questa indagine confermano i trend già evidenziati nel 2021, e fanno emergere alcune criticità che frenano, nel panorama attuale della professione, la sua piena valorizzazione in Italia”, ha dichiarato la presidente dell’Associazione Giorgia Iegiani.
Competenze e impiego dei biotecnologi in Italia
I biotecnologi italiani hanno titoli post-laurea, come master, dottorati o specializzazioni, e cercano lavoro soprattutto nel Nord Italia, dove ci sono più opportunità lavorative, soprattutto in aziende ed enti di ricerca, in cui però si registra il numero di posti disponibili più ridotto. Le tipologie contrattuali variano notevolmente tra settore pubblico e privato, con una correlazione diretta tra livello di istruzione e fascia di reddito.
I biotecnologici: non c’è corrispondenza tra formazione e richieste dal mondo del lavoro
Molti partecipanti all’indagine hanno espresso soddisfazione per il percorso formativo ricevuto in Italia, che tuttavia non si traduce in una adeguata fiducia nelle prospettive di carriera nel settore biotecnologico. Colpa dello scarso orientamento sia nella scelta del percorso universitario che nell’accesso al mondo del lavoro, dicono gli intervistati, oltre che di un disallineamento tra le competenze acquisite durante la formazione e quelle richieste nel contesto lavorativo, con una significativa percentuale di biotecnologi che non si sente impiegata in ruoli specificamente biotecnologici. Questa percezione varia tra coloro che operano nel settore pubblico (74% ritiene che il percorso sia pertinente) e nel settore privato (solo il 34% ritiene che il percorso sia pertinente).
Il punto di vista di Boggetti di ALISEI e Nobile di Assobiotec
“La mancanza di corrispondenza tra formazione e necessità delle imprese deve essere colmata, favorendo un modello di formazione dove il mondo imprenditoriale contribuisca allo sviluppo di percorsi di orientamento e piani formativi integrati”, sostiene Marica Nobile, Direttrice di Federchimica Assobiotec. “In questo modo, si può costruire un capitale umano qualificato, essenziale per trasformare idee in soluzioni di valore per la società”. Nobile sostiene che il continuo progresso del settore sosterrà l’incremento della domanda di professioni altamente specializzate, come ricercatori bioinformatici ed esperti di intelligenza artificiale e machine learning. “Ma serve un dialogo proattivo tra imprese, università e istituti tecnici superiori per orientare i percorsi formativi”, precisa. “Inoltre, è cruciale approfondire se i percorsi curricolari attuali soddisfano realmente le esigenze di competenze delle aziende, garantendo una maggiore impiegabilità dei giovani e migliorando le prospettive di carriera”.
Massimiliano Boggetti, presidente del Cluster Nazionale Scienze della Vita ALISEI, afferma: “Sebbene l’Italia abbia sviluppato le competenze necessarie, il Paese non ha ancora valorizzato pienamente questo potenziale”. Il presidente di ALISEI invita a “lavorare insieme per migliorare la consapevolezza e il supporto istituzionale per sfruttare le biotecnologie a beneficio della società”. Un’azione da attuare rapidamente, considerando, afferma Boggetti, la necessità di un’autosufficienza industriale e sanitaria dell’Italia, con le biotecnologie che devono giocare un ruolo sempre più cruciale per garantire un futuro sostenibile ed equo.
Morgante: nei piani di formazione più informatica e statistica e ore di laboratorio
Tra le voci raccolte nel rapporto di Biotecnologi Italiani ci sono anche quella di Michele Morgante, presidente della Conferenza Nazionale Permanente dei Corsi di Studio in Biotecnologie, e di Diego Bosco, Segretario Generale del Consorzio Italbiotec. Michele Morgante evidenzia alcune linee guida chiave per i corsi di studio in Biotecnologie per affrontare le sfide del mercato del lavoro: è necessario “rafforzare le discipline matematiche, fisiche, chimiche, informatiche e statistiche per migliorare l’analisi dei fenomeni biologici; incrementare le esperienze di laboratorio; aumentare la preparazione nelle soft skills, cruciali per lavorare nelle piccole aziende biotecnologiche italiane, e favorire percorsi di formazione trasversali che preparino biotecnologi multidisciplinari”. Morgante rafforza le parole di Marica Nobile, sostenendo che bisogna l’allineare formazione universitaria e esigenze del mercato del lavoro attraverso una maggiore interazione con le aziende private.
Bosco: il biotecnologo non è solo un tecnico di laboratorio
Diego Bosco sottolinea l’importanza della resilienza e dell’adattabilità dei biotecnologi, ricordando il contributo fondamentale delle biotecnologie nello sviluppo dei vaccini e la poliedricità della professione. Il segretario del Consorzio Italbiotec invita pertanto a migliorare la percezione della professione di biotecnologo nella società civile, sottolineando l’importanza di sdoganare l’idea che il biotecnologo sia solo un tecnico di laboratorio. “Il biotecnologo non è solo un tecnico di laboratorio”, precisa, “ma ricopre ruoli che spaziano dal project management alla gestione della proprietà intellettuale e al management dell’innovazione”.
Cinque azioni strategiche
Per affrontare queste sfide, Biotecnologi Italiani ha individuato cinque azioni strategiche: creare maggiore consapevolezza sulle opportunità del settore biotecnologico; sviluppare strategie per allineare le competenze acquisite durante gli studi con le esigenze del mercato del lavoro; favorire lo sviluppo di ecosistemi locali attraverso politiche di sostegno e incentivi per la creazione di start-up e spin-off, stimolando l’innovazione e la creazione di posti di lavoro; riconoscere il valore aggiunto che i biotecnologi possono offrire, fornendo opportunità di sviluppo professionale e retribuzioni adeguate per trattenere il talento nel settore. Aumentare, infine, la consapevolezza pubblica del ruolo e delle competenze dei biotecnologi, evidenziandone il contributo nei settori medico-farmaceutico, agrario e industriale.