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BPCO, Micheletto: “Serve la tecnologia per gestire al meglio la cronicità”

Perché ne stiamo parlando
Per Claudio Micheletto, Presidente AIPO e membro della commissione di valutazione del BPCOntest, le startup in ambito sanitario sono fondamentali. «Occorrono modelli innovativi tecnologici che permettano al paziente di gestirsi la variabilità della patologia».

Il BPCOntest è un premio rivolto a startup, pmi innovative, università, enti di ricerca e IRCCS, che si distinguono per eccellenza e innovazione nella gestione della BPCO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva), tra le principali cause di morte a livello mondiale. Il contest è stato patrocinato dall’Associazione Pazienti BPCO, Italian Tech Alliance, InnovUp, Bio4Dreams, FADOI – Società Scientifica di Medicina Interna e da Associazione Respiriamo Insieme APS e con il supporto non condizionante di Sanofi Regeneron.

A questo link tutte le informazioni sul premio e il form di partecipazione.

Claudio Micheletto, Presidente AIPO e Direttore di Pneumologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona, spiega a INNLIFES come l’innovazione e la tecnologia possono aiutare medici e pazienti nella gestione della BPCO.

All’interno del BPContest, una delle categorie riguarda la ricerca clinica e tra i criteri si valuterà anche la presenza di biomarcatori. Quale ruolo questi ultimi potranno avere sulla diagnosi e sul trattamento della patologia e che cosa vi aspettate dalle possibili soluzioni proposte?

La Broncopneumopatia cronica ostruttiva è una patologia che ha un’alta epidemiologia, l’8-9% della popolazione almeno, con un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti, e ha un’elevata mortalità. In questo scenario, le linee guida internazionali vengono tutti gli anni aggiornate in base all’evidenza scientifica e si sta tentando di migliorare il più possibile la gestione complessiva della malattia. Per evitare di assegnare la stessa terapia a tutti i pazienti, ci si avvale anche dell’uso dei biomarcatori al fine di identificarli meglio. Non abbiamo al momento un biomarcatore specifico per questa malattia, ma utilizziamo quelli esistenti, in particolare, in questo caso, l’eosinofilia, cioè il numero degli eosinofili. Si tratta di un biomarcatore che abbiamo usato più per l’asma che per la BPCO. Secondo gli studi si è però visto che identifica una popolazione che, da un lato, per quanto riguarda la terapia standard, è sensibile ai cortisonici inalatori e, dall’altro, anche quei pazienti che, nonostante il massimo di cure inalatorie, possono essere indicati per un successivo trattamento biologico. Quindi il biomarcatore serve per definire quei pazienti che possano risentire positivamente di determinate terapie, cercando però  di assegnare il giusto trattamento a ognuno.

Viste le novità terapeutiche in arrivo in BPCO, si aspetta di ricevere dei progetti volti a migliorare la gestione del paziente tra territorio e ospedale?

L’obiettivo del BCPContest è migliorare dal punto di vista gestionale la malattia. È evidente che la porta d’ingresso della BPCO è il medico di medicina generale. A questa malattia manca un’identificazione precoce. I casi gravi più o meno li conosciamo tutti: vengono in ospedale, riacutizzano, passano dal pronto soccorso. Il problema è intercettarli prima. Si tratta peraltro di un paziente particolare, che fuma nella grande maggioranza dei casi, per cui è abituato ad avere tosse con catarro e non avverte quel lento peggioramento. Si deve quindi migliorare una rete con un riferimento poi ospedaliero. Non è necessario fare uno screening di massa, quanto trovare il caso, il paziente che crea il fattore, che comincia a manifestare i sintomi, e quindi anticipare la diagnosi. L’altro obiettivo è l’individuazione di quel paziente grave o non controllato, che nonostante la terapia, ha sintomi, riacutizza e necessiterebbe di essere inviato a un centro specialistico di riferimento per gli eventuali nuovi trattamenti. Quindi da un lato anticipare i casi lievi e dall’altro individuare il caso non controllato che ha bisogno di terapie innovative.

Considerando le tre categorie in gioco, innovatività tecnologica, ricerca clinica e gestione organizzativo in ambito BPCO, come i progetti candidati potranno rispondere ai bisogni del percorso di cura dei pazienti con BPCO?

Si sta tentando di costruire le note case della salute, che dovrebbero avere un bacino di utenza di circa 50mila cittadini. Dovrebbero essere dotate di strumentazione adeguata, tra cui la spirometria, e della possibilità di avere una consulenza con specialisti, come diabetologi, cardiologi e pneumologi. Tutto questo è un mondo abbastanza ideale da costruire, ma la strada è indicata ed è questo il senso, cioè di dire in queste case individui gli eventuali pazienti, alcuni dei quali verranno gestiti direttamente dalle case della salute, mentre negli ospedali vanno coloro che necessitano di essere seguiti in un certo modo con trattamenti innovativi. C’è bisogno in questo momento anche di proposte dal punto di vista organizzativo al passo coi dei tempi: siamo in una realtà con meno ospedali e rete territoriale da costruire.

Che cosa significa fare innovazione secondo lei?

Risolvere i nodi irrisolti della gestione di questa malattia. Ho partecipato a un’analisi che ha fatto l’anno scorso un istituto scientifico che si occupa proprio della gestione. Sono stati evidenziati dei punti importanti positivi del nostro sistema sanitario, tipo l’accesso alle cure, che è sicuramente molto buono. Questa analisi ci pone al settimo posto tra i grandi sistemi sanitari, ma evidenzia anche i punti critici. Quando si analizza un mondo così anche complesso, secondo me, più che dire va tutto bene o va tutto male, bisogna analizzare i punti di forza e i punti di debolezza. Quindi l’innovazione sta nel migliorare i punti critici che presenta la BPCO, come l’elevata mortalità, l’elevata riacutizzazione, l’impatto sulla vita e così via. In una provincia media come Verona, che ha quasi 1 milione di abitanti, circa 150mila persone sono affette da asma e BPCO. È pensabile che tutti gli specialisti possano gestire 150mila persone? La risposta è no. Quindi abbiamo bisogno di tecnologia per gestire al meglio la cronicità, penso ai pazienti più gravi, e la variabilità della malattia. Servono strumenti innovativi tecnologici che consentano a un paziente educato di potersi anche gestire la variabilità della patologia. Rientra un po’ nell’argomento della telemedicina, di cui si parla tanto, ma al momento i modelli pratici ancora non li abbiamo.

Keypoints

  • Claudio Micheletto è direttore di Pneumologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona, nonché membro della commissione di valutazione del BPCOntest
  • Il BPCOntest è un premio rivolto a startup, pmi innovative, università, enti di ricerca e IRCCS
  • La BPCO colpisce l’8-9% della popolazione almeno
  • Ha un’elevata mortalità
  • Occorre migliorare dal punto di vista gestionale la malattia

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