Un recente studio pubblicato su Nature, condotto dai ricercatori del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell’Università della California, rivela un’avanzata significativa nel campo delle terapie cellulari contro il cancro: cellule CAR-T ingegnerizzate con una mutazione originariamente identificata in cellule T cancerogene nella rara sindrome di Sezary (CARD11), dimostrano la capacità di eliminare tumori che non rispondono alle attuali terapie con cellule CAR-T, in particolare prolungando la vita spesso breve delle stesse. Questo risultato rappresenta un progresso notevole nella lotta contro il cancro, poiché affronta due dei maggiori ostacoli delle terapie esistenti, ossia la resistenza di alcuni tumori e la scomparsa rapida e la scarsa efficacia nel tempo delle CAR-T. Giovanni Martinelli, Direttore Scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” IRCCS, rivela: “Durante una nostra sperimentazione con anticorpi bispecifici antiTCRB1-CD3 abbiamo notato lo stesso meccanismo”.
Professore, come si è arrivati a questa scoperta?
È frutto, come spesso accade, dell’unione di tanti tasselli. La maggior parte dei casi di cancro si verifica a causa di mutazioni che si verificano durante la vita di un individuo. Il processo di cancerogenesi avviene quando il DNA si rompe in due punti specifici (CARD11-PIK3R3), e i pezzi di DNA che dovrebbero rimanere separati si uniscono, creando un nuovo gene, noto come gene di fusione. Questo gene di fusione è un evento comune in tutti i tumori e porta a una deregolazione in una parte del DNA, che promuove la crescita e la diffusione delle cellule tumorali. In un recente progetto finanziato dal PNNR, chiamato “Fusion Target”, nei nostri laboratori abbiamo rilevato la presenza di un gene di fusione neoplastico in pressoché ogni paziente affetto da cancro.
C’è stata poi una scoperta interessante che riguarda una forma molto rara di linfoma che interessa i linfociti T della pelle: un gruppo di ricerca ha capito che proprio questi due geni CARD11–PIK3R3 formano un “patto di sangue” fra di loro deleterio, creando un gene di fusione che innesca la nascita di cellule tumorali.
Come si è arrivati ad usare questi geni di fusione contro il cancro?
Il lavoro di Kole Roybal e dei suoi colleghi descritto su Nature rappresenta un passo avanti significativo. Il loro obiettivo era di migliorare l’efficacia della terapia CAR-T in relazione a quanto tempo le cellule T ingegnerizzate rimangono attive nel corpo, e la loro funzionalità nel combattere il cancro delle cellule T stesse. È chiaro che una terapia CAR T contro cellule T è in sé un’azione fratricida. Gli scienziati americani hanno introdotto 71 mutazioni, trovate in cellule T cancerogene, nelle cellule CAR-T per vedere come queste modifiche potessero migliorarne la funzionalità. Tra queste, anche il gene di fusione CARD11–PIK3R3 trovato nel tumore raro dei linfociti T della pelle.
Quali, in particolare, sono stati i risultati più significativi?
Hanno visto che le cellule CAR-T che portano questa mutazione hanno una notevole capacità di infiltrarsi nei tumori e di mantenere un’attività anticancro duratura (più di 400 giorni). Quindi è stato scoperto un meccanismo universale di prolungamento e super attività antitumorale nei confronti del cancro. Di fatto, il cancro si accende contro sé stesso e si mantiene acceso a lungo. Il trattamento con cellule CAR-T potenziate da questa mutazione ha portato alla scomparsa dei tumori nei topi, anche quando venivano utilizzate un numero relativamente piccolo di cellule. Ciò quindi suggerisce che queste cellule modificate potrebbero essere molto più efficaci nel trattare il cancro rispetto alle versioni attuali.
Le cellule che esprimono questa mutazione CARD11–PIK3R3 sono state monitorate fino a 418 giorni dopo il loro trasferimento nel corpo senza che si trasformassero in cellule cancerogene, il che indica che questo approccio potrebbe essere sicuro.
Anche voi state lavorando sui geni di fusione nel progetto Fusion. A che risultati siete giunti?
Abbiamo considerato l’idea che la presenza di un gene di fusione in un tumore potesse offrirci nuovi obiettivi terapeutici da sfruttare in ambito clinico. In questo contesto, abbiamo sviluppato un sistema brevettato, in quanto il progetto Fusion è basato su brevetti e su proof of concept (PNRR-PNC 2026). Abbiamo creato un anticorpo bispecifico, con TRBC1-CD3, progettato per legarsi a due target diversi contemporaneamente. Quello che abbiamo visto sui topi è che il bispecifico sembra avere la capacità unica di indurre le cellule tumorali a uccidersi a vicenda, anziché affidarsi esclusivamente alle cellule T del sistema immunitario per eliminare il cancro.
Questo meccanismo innovativo potrebbe rappresentare un nuovo approccio nella lotta contro il cancro, offrendo una strategia potenzialmente più semplice e diretta, con l’obiettivo di trovare un modo efficace per stimolare le cellule tumorali a distruggersi mutualmente. Quindi, cancro contro cancro.