La medicina di precisione applicata alle neuroscienze. Un progetto collaborativo, che coinvolge 29 università e istituti di ricerca, coordinato dall’Allen Institute e promosso dalla statunitense Brain Initiative, ha sviluppato un set di strumenti biologici – noti come enhancer AAV vectors – che potrebbero rivoluzionare il trattamento delle malattie neurologiche, consentendo di agire in modo mirato su specifici tipi di cellule del cervello. Secondo i ricercatori, rappresentano un potenziale strumento per progettare la prossima generazione di terapie geniche per i disturbi cerebrali.
Un “taxi molecolare” per raggiungere le cellule giuste
Ciascuno di questi vettori (ne hanno sviluppato oltre 1000) è costituito da un virus AAV innocuo per l’organismo (AAV sta per virus adeno-associati e sono i “cugini” non patogeni dei virus che causano il comune raffreddore), quale sistema per veicolare, in maniera mirata, frammenti di DNA progettati per modificare l’attività cellulare. In altre parole, l’AAV funziona come un “taxi molecolare” per introdurre materiale terapeutico all’interno delle cellule bersaglio. Il DNA trasportato contiene un “enhancer“, ovvero una sequenza che funziona come un interruttore capace di marcare o attivare un cambiamento nel funzionamento della cellula.
La capacità di colpire selettivamente solo alcuni tipi cellulari, senza influenzare le cellule circostanti, rappresenta un potenziale enorme per lo sviluppo di terapie geniche che possano correggere in modo preciso le alterazioni genetiche che causano o predispongono alla malattia.
Obiettivo: riconoscere e riparare i neuroni coinvolti nelle malattie
«Le malattie nascono solitamente da difetti in specifici tipi cellulari, non nell’organismo intero. Per esempio, l’epilessia è una malattia del sistema nervoso, ma in realtà è una malattia di specifici neuroni» spiega Bosiljka Tasic, direttrice della genetica molecolare all’Allen Institute. «Se vuoi riparare quei neuroni, devi quindi riuscire a raggiungere proprio loro. La chiave, in pratica, è l’accesso specifico al tipo cellulare, per comprenderne la funzione e correggerne le parti difettose».
Una cassetta degli attrezzi per conoscere e curare il cervello
Questa tecnologia è illustrata in otto studi pubblicati sulle riviste del gruppo Cell Press, tra cui Neuron, Cell, Cell Reports, Cell Reports Method e Cell Genomics.
Il progetto, a cui lavorano centinaia di ricercatrici e ricercatori esperti nel campo della biologia molecolare, delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale, di diversi enti (tra cui, Allen Institute, Broad Institute, Harvard Medical School, Duke University, University of California Irvine e Berkeley, University of Pittsburg, Carnegie Mellon, Stanford, University e Addgene), fa parte del programma Armamentarium for Precision Brain Cell Access, lanciato nel 2021 e promosso dalla Brain Initiative del National Institutes of Health (NIH).
L’obiettivo è costruire una “cassetta degli attrezzi” per accedere alle cellule cerebrali in sistemi modello – sia animali che campioni di tessuto umano – con l’ambizione di poter studiare, come mai prima d’ora, l’attività specifica di tutte le cellule del cervello e i circuiti neurali, gettando le basi per future terapie di precisione.
«Riuscire a colpire le cellule giuste, nel modo giusto e al momento giusto è il futuro della medicina cerebrale di precisione» afferma John Ngai, direttore della NIH BRAIN Initiative, sottolineando che questi strumenti ci traghettano verso il futuro espandendo la nostra comprensione del cervello. «Immaginate – ha detto – questa nuova piattaforma come un camion per le consegne che smista pacchetti genetici specializzati in specifici quartieri cellulari del cervello e del midollo spinale».
Il cervello è un organo straordinariamente complesso
Come si legge nel libro di Alessandro Aiuti e Antonella Viola, “La rivoluzione della cura”, la sfida per correggere le malattie che colpiscono le cellule del sistema nervoso fino a qualche tempo fa poteva sembrare al di là delle possibilità delle nostre conoscenze. Perché il cervello è un organo straordinariamente complesso. Sappiamo però che i geni hanno un ruolo fondamentale nelle malattie neurologiche, perché influenzano vari aspetti del funzionamento neuronale, dallo sviluppo del cervello, alla trasmissione dei segnali elettrici, fino alla protezione da danni dovuti a traumi o agenti esterni come virus e stress.
Le alterazioni genetiche possono, quindi, causare o predisporre a molte malattie neurodegenerative. «La terapia genica potrebbe quindi essere l’insperata soluzione: potrebbe agire per correggere o compensare queste alterazioni genetiche specifiche, in cui il difetto è legato alla mutazione in un singolo gene. Ma potrebbe anche essere utile per malattie piú comuni nell’anziano e a origine multifattoriale, in cui la predisposizione genetica è solo uno dei fattori, come la malattia di Parkinson o quella di Alzheimer».
E di fatto, la ricerca ha identificato diversi processi molecolari chiave che contribuiscono alla disfunzione del sistema nervoso centrale in diverse malattie neurologiche e questo ha dato il via allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Si pensi, per esempio, alla terapia genica messa a punto all’Istituto San Raffaele Telethon (SR-Tiget) di Milano per la leucodistrofia metacromatica, rara condizione neurodegenerativa dovuta alla carenza di un enzima che porta all’accumulo di alcune sostanze tossiche che danneggiano i neuroni.
Verso nuovi bersagli terapeutici
Nell’ambito del progetto statunitense, sono stati sviluppati vettori per una vasta gamma di tipi cellulari di diverse aree del sistema nervoso centrale: corteccia cerebrale, striato, midollo spinale. La loro efficacia è stata valutata in studi preclinici su modelli animali, dimostrando la capacità di colpire le cellule bersaglio e modificarne l’attività in modo controllato. Per esempio, un team di ricercatori è riuscito a identificare e influenzare il comportamento di specifiche cellule che regolano il sonno e questo, dicono, potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche per i disturbi del sonno.
«Accedere a una varietà di tipi cellulari è, semplicemente, una svolta nella comprensione del cervello e nello sviluppo di terapie per disturbi neurologici» puntualizza Gordon Fishell, professore di neurobiologia al Broad Institute e Harvard.
Perché questa iniziativa può accelerare lo studio di nuove terapie
«Il cervello ha una complessità enorme e con l’avvento delle nuove tecnologie molecolari di tipizzazione si sta facendo sempre più luce sulla sua complessità: si ipotizza che esistano mille tipi di neuroni diversi. Per cui è fondamentale avere a disposizione un armamentarium che permetta di andare a bersagliare neuroni specifici e non altri. Questo è importante perché la stessa proteina può essere utile per un tipo di neurone ma può essere tossica per altri.
Quindi, se uso un vettore virale AAV che raggiunge indistintamente tutte le cellule del cervello, si corre il rischio che la terapia abbia successo sui neuroni target ma faccia danni a carico di altri» commenta Emanuele Buratti, che coordina il Laboratorio di patologia molecolare all’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, spiegando perché questo programma di ricerca del Brain Institute può supportare lo studio del cervello e lo sviluppo di potenziali terapie.
Come spiega Buratti, con questi strumenti, chi fa ricerca sul cervello può identificare quali enhancer sono attivi in neuroni specifici coinvolti in determinate malattie, e sviluppare AAV (che sono i principali vettori virali usati in ambito clinico per il trasferimento di geni terapeutici) capaci di agire in modo mirato su alterazioni genetiche precise per valutarne poi l’efficacia terapeutica.
«In pratica, questo progetto ha prodotto una mappa che indica con precisione la strada per raggiungere la cima dell’Everest: sapere qual è il percorso da seguire rappresenta un enorme vantaggio. Nel caso della terapia genica, infatti, il gene da attivare è posto sotto il controllo di un enhancer, ma questo funziona solo se arriva nel tipo giusto di neurone. L’espressione genica, cioè, dipende da questi interruttori molecolari. Avendo mappato gli enhancer specifici per i diversi tipi di neuroni, si può pensare di progettare diversi vettori AAV che trasportino un gene terapeutico, sapendo che si attiverà solo nei neuroni target. In altre parole, se voglio esprimere un determinato gene in un neurone specifico, si può sviluppare un AAV e l’enhancer farà in modo che l’informazione genetica veicolata si esprimerà soltanto in quei neuroni».
In questo senso, l’armamentario sviluppato – l’insieme di questi sistemi di consegna molecolari – potrà essere utile, perché permetterà di risparmiare tempo prezioso nello sviluppo delle terapie geniche. «Ma – precisa Buratti – questo non significa che da domani inizieranno a spuntare terapie geniche come funghi. Ogni nuova terapia richiederà test approfonditi e rigorose fasi di validazione sperimentale».
Inoltre, se nel caso di malattie come la SLA, che colpisce i motoneuroni, o la demenza frontotemporale, che coinvolge i neuroni della corteccia del lobo temporale, abbiamo già identificato i bersagli principali, lo stesso non si può dire per i processi di invecchiamento.
«Nel caso dell’invecchiamento, non sappiamo ancora con certezza quali tipi di neuroni siano più vulnerabili a insulti dovuti all’avanzamento dell’età. Avere a disposizione questo armamentario sarà di aiuto, ma non rappresenta una panacea universale per tutte le malattie neurodegenerative. In alcuni casi potrà accelerare lo sviluppo di terapie efficaci; in altri, bisognerà prima capire quali neuroni sono coinvolti».
La forza della cooperazione
Altro aspetto importante di questa iniziativa, sottolinea Buratti, è la cooperazione e il fatto che, «in un’ottica di open science, queste risorse saranno accessibili a tutti, come la sequenza del genoma umano». Infatti, i dati e le informazioni raccolte nell’ambito di questi studi sono reperibili gratuitamente sull’Allen Institute’s Genetic Tools Atlas e tramite Addgene, quali risorsa per chi è impegnato nello sviluppo di nuove terapie per le malattie neurologiche. «La cooperazione è ormai uno dei trend della ricerca scientifica.
Per affrontare sfide enormemente complesse come lo studio del nostro cervello, ma si pensi anche ai grandi progetti di ricerca in fisica, la collaborazione tra centinaia di ricercatori e ricercatrici che lavorano assieme porta a risultati che sono inarrivabili per qualunque team di un solo istituto e determina un livello di affidabilità, cioè di riproducibilità del dato, molto maggiore».
Foto: Allen Institute