Lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide e sindrome di Sjögren: cosa hanno in comune? Sono malattie autoimmuni che colpiscono molto più frequentemente le donne. Questione di ormoni sessuali o di cromosoma X?
Ne parliamo con Angela Tincani, Coordinatrice del Gruppo di Studio Medicina di Genere della Società Italiana di Reumatologia (SIR) e già Direttrice e ora Consulente dell’Unità Operativa di Reumatologia e Immunologia Clinica dell’Ospedale di Brescia.
“Il rapporto donne/uomini per il lupus è di 9 a 1, per l’artrite reumatoide 4 a 1 e per la sindrome di Sjögren 19 a 1” precisa l’esperta di immunologia clinica. In altre parole, molto più frequentemente il sistema immunitario delle donne riconosce come estranei cellule e sostanze derivate da tessuti sani dell’organismo, e reagisce aggredendoli.
Di norma, infatti, il sistema immunitario attiva le difese, producendo anticorpi, quando identifica qualcosa come estraneo e potenzialmente pericoloso: virus, batteri, parassiti. A volte però va in tilt e produce anticorpi contro componenti dell’organismo stesso (autoanticorpi) scatenando un’infiammazione e la malattia autoimmune.
Lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide e sindrome di Sjögren sono dunque il frutto dell’errore del nostro sistema immunitario. Perché tutto ciò avvenga ancora non è completamente chiaro.
Fattori ormonali
“Un ruolo chiave viene attribuito agli ormoni, dato che le malattie autoimmuni colpiscono più frequentemente le donne in età fertile. Si consideri per esempio il Lupus, il rapporto donne/uomini 9 a 1 riguarda le donne tra i 20 e i 40 anni; considerando l’infanzia e la fascia di età over 60 il rapporto è infatti di 3 a 1. Gli ormoni sessuali hanno un effetto enhancing (ingrandente)”.
“Sicuramente – continua Tincani – gli estrogeni sono dei supporter, degli aiutanti della risposta immune. Questi ormoni aiutano la risposta immunitaria, al contrario degli androgeni che, invece, la deprimono. E infatti il sistema immunitario delle donne è particolarmente reattivo”.
Non solo ormoni
Secondo uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Cell, la maggiore prevalenza di malattie autoimmuni nella popolazione femminile potrebbe avere a che fare con il cromosoma X. Vediamo perché.
Il sesso biologico femminile è determinato dalla presenza, in ogni cellula, di due cromosomi X (XX). Quelle maschili, invece, hanno un solo cromosoma sessuale X e uno Y (XY). Nelle cellule femminili, però, uno dei due cromosomi X viene silenziato per far sì che vengano prodotti i giusti livelli di proteine da ciascuna coppia di cromosomi. Perché una dose doppia sarebbe tossica.
A disattivarne una copia ci pensa la molecola chiamata Xist, che svolge dunque una funzione importante di regolazione del patrimonio genetico, ma può attivare in maniera anomala il sistema immunitario delle donne.
“Xist è una lunga molecola di RNA che si lega ad altre proteine e forma una ribonuclueina che avvolge una copia del cromosoma X, spegnendolo. Questo è il sistema di inattivazione del cromosoma X di tutte le cellule femminili” precisa la Professoressa, ora in pensione, dell’Università di Brescia. “Ma questo lungo filamento di RNA e proteine, in soggetti particolari, innesca una risposta immunitaria che è quella tipica delle malattie autoimmuni: dà luogo alla produzione di autoanticorpi di cui esso stesso è il bersaglio”.
Gli autoanticorpi sono infatti anticorpi che prendono di mira i propri tessuti o prodotti cellulari.
Nello studio preclinico, condotto sui topi, il team di ricerca dell’Università di Stanford ha osservato che Xist è il bersaglio di una reazione anomala del sistema immunitario. Ma non solo. Anche analizzando campioni di sangue di circa 100 pazienti con malattie autoimmuni, ha riscontrato la presenza di autoanticorpi diretti proprio contro il complesso Xist-proteine, suggerendo la sua potenziale utilità diagnostica.
“Gli anticorpi anti Sm-RNP, per esempio, sono considerati un marker diagnostico del Lupus e in clinica sono utilizzati per confermare la diagnosi” aggiunge Tincani, riferendosi al test per rilevarne la presenza nel sangue. “Le malattie autoimmuni sono tante e non sono tutte uguali, e non è possibile concludere sulla base di questo studio, ancora molto preliminare, che Xist possa avere un valore diagnostico. Se verrà accertato il suo ruolo quale marcatore di una malattia autoimmune bisognerà approfondirne l’azione biologica e quindi capire se contrastarlo con un farmaco potrà essere efficace e utile”.
“Intanto nella pratica clinica – prosegue Tincani – la nostra sfida quotidiana è cercare di assicurare alle pazienti, tipicamente donne giovani, in età fertile, la migliore terapia possibile in modo da consentire loro di avere una buona qualità della vita, familiare, sessuale e riproduttiva. Le terapie per questo devono essere tagliate sartorialmente sulla base delle decisioni di vita della donna. Perché alcuni trattamenti possono compromettere la salute riproduttiva e non tutti sono somministrabili in gravidanza”.
Proprio per questo il Gruppo di Studio Medicina di Genere della SIR ha collaborato lo scorso anno alla costruzione delle Linee guida della salute riproduttiva delle malattie reumatologiche. “Sono prevalentemente malattie autoimmuni, ed è necessario adattare alla donna la farmacopea che abbiamo a disposizione” conclude Tincani.