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Simonelli, Università Campania: puntiamo sulla terapia genica sviluppata in Italia per una malattia rara che porta alla cecità

Perché ne stiamo parlando
Un team multidisciplinare e altamente formato, una terapia genica promettente, la relazione con il paziente: così all’Università degli Studi della Campania si vuole vincere la sfida di ridare la vista alle persone con sindrome di Usher.

Simonelli, Università Campania: puntiamo sulla terapia genica sviluppata in Italia per una malattia rara che porta alla cecità

Sono incoraggianti i dati sui primi due pazienti a cui il team della professoressa Francesca Simonelli della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli ha somministrato, per la prima volta al mondo, una terapia genica sperimentale per la sindrome di Usher di tipo 1B, una rara malattia ereditaria dell’occhio associata alla sordità.

“Abbiamo iniziato con il dosaggio più basso; se tutto procede bene, passeremo a un dosaggio intermedio e infine a quello più alto,” spiega la professoressa Simonelli. “Al momento, non abbiamo osservato effetti collaterali significativi.”

In corso lo studio per valutare la sicurezza della tecnologia sviluppata dal Tigem

Questa tecnologia innovativa, sviluppata nei laboratori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli diretti da Alberto Auricchio, è nella fase di studio I/II, denominato LUCE-1, sponsorizzato da AAVantgarde Bio, spin-off del Tigem. In totale al centro di Napoli sono previsti 15 trattamenti nell’ambito della fase I, che mira a identificare il dosaggio ottimale del farmaco senza effetti collaterali, e a poter osservare anche i primi risultati di efficacia. Sebbene si concentri sulla sindrome di Usher di tipo 1B, questa tecnologia offre la possibilità di estendere l’applicazione di questo tipo di trattamento a centinaia di altre malattie genetiche attualmente prive di cure.

Esperti nel campo: già trattato il numero maggiore di casi in Europa con Luxturna

Simonelli è una dei massimi esperti mondiali di terapia genica oculare. Dopo aver trattato il primo paziente a luglio, il suo team ha recentemente somministrato la terapia a un secondo paziente. “Il nostro obiettivo primario è di non riscontrare infiammazioni della retina o infezioni, per l’efficacia dobbiamo ancora aspettare”, ma è chiaro che c’è molta speranza attorno a questa terapia.

Attualmente, dei possibili effetti collaterali si hanno rilevanze dai risultati sui pazienti a cui è stata somministrata l’unica terapia genica approvata per patologie oculari, Luxturna, sviluppata per trattare una forma di retinite pigmentosa associata a mutazioni del gene RPE65. “Presso il nostro centro di Napoli, abbiamo già trattato 29 pazienti con questa terapia, rendendoci così il centro con il maggior numero di casi in Europa. Fino ad ora, non abbiamo riscontrato alcun problema significativo,” afferma.

Per la sindrome di Usher una doppia sfida: necessario team multidisciplinare

Tuttavia, il trattamento non è privo di difficoltà. “La gestione di questa terapia richiede un approccio altamente specializzato,” spiega Francesca Simonelli. “La complessità della condizione dei pazienti ci ha imposto di affrontare numerose sfide nella somministrazione e nel monitoraggio delle reazioni avverse.” La sindrome di Usher è caratterizzata da una duplice disabilità: i pazienti nascono sordi e, nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza, iniziano a sperimentare la perdita della vista a causa della retinite pigmentosa.

“La sordità, presente dalla nascita, può essere mitigata solo parzialmente con impianti cocleari,” continua la professoressa. “Molti pazienti più grandi non hanno accesso a queste soluzioni, avendo vissuto senza possibilità di ascolto fino a quel momento.” La progressione della retinite pigmentosa complica ulteriormente la situazione, poiché provoca una riduzione graduale della visione.

Inizialmente, i pazienti riescono a vedere bene in condizioni di scarsa illuminazione, ma nel tempo il campo visivo si restringe, limitando la visione periferica e portando a una grave ipoacusia intorno ai 25-30 anni. Pazienti, dunque, che hanno anche forti problemi di comunicazione e richiedono pertanto un team multidisciplinare, come quella della clinica di Napoli.

L’approccio: una tecnologia nuova, studi robusti in preparazione alla sperimentazione clinica e relazione umana con i pazienti

Le distrofie retiniche ereditarie rappresentano un gruppo di patologie oculari per le quali attualmente non esiste una terapia efficace. Tra queste, una delle più complesse è quella causata da mutazioni del gene miosina 7A. Molte aspettative sono state poste nella terapia sviluppata dal Tigem, considerata un’opzione promettente perché sostituisce il gene difettoso con una copia sana.

“La grandezza del gene miosina 7A presenta sfide significative per il suo trasferimento,” afferma la professoressa Simonelli. “A differenza di altre malattie, dove è possibile utilizzare un unico vettore virale per il trasferimento genico, stiamo sperimentando l’approccio innovativo del prof. Auricchio: dividere il gene in due parti e caricarle su due vettori virali distinti. Questa strategia ci consente di dimostrare che i due vettori possono riconnettersi nella retina e rilasciare il gene in modo completo.”

Negli ultimi anni, si sono condotte sperimentazioni su modelli animali: “questi studi hanno fornito dati di sicurezza fondamentali, necessari per ottenere l’approvazione dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’AIFA per trattare i pazienti,” spiega Simonelli. La Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania ha contribuito anche ad uno studio longitudinale per analizzare la storia naturale della malattia su pazienti provenienti da Napoli, Madrid e Rotterdam.

“Abbiamo condotto test clinici annuali su 59 pazienti per capire come la malattia evolve nel tempo,” racconta. “Questa conoscenza è stata necessaria non solo per disegnare il trial clinico, ma anche per gestire i pazienti, molti dei quali hanno difficoltà comunicative a causa della loro sordità. La familiarità con i test e la relazione umana tra medici e pazienti sono elementi fondamentali per il successo dello studio.”

Al vaglio diversi filoni di ricerca, dalle cellule staminali all’editing genetico

Ma il campo della ricerca di terapie innovative per queste e altre malattie genetiche oculari è ben più ampio, e spazia dai dispositivi retinici artificiali e la retina liquida, alle cellule staminali, al recente editing genetico. “Le cellule staminali pluripotenti possono essere indotte a svilupparsi in fotorecettori della retina, offrendo la possibilità di sostituire le cellule danneggiate attraverso approcci di medicina rigenerativa. Sebbene questo campo stia progredendo rapidamente, siamo ancora lontani da un’applicazione completa nei trial clinici sugli esseri umani, ma è sicuramente un’area di ricerca molto promettente per il futuro”, sottolinea la direttrice della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania.

Per quanto riguarda le terapie geniche, mentre un filone della ricerca si è concentrato su vettori adeno-associati, come quelli utilizzati per lo studio LUCE-1, altri approcci si stanno cimentando nell’uso dell’editing genetico. Con tecniche come CRISPR-Cas9, si possono apportare modifiche precise al DNA, potenzialmente correggendo le mutazioni genetiche alla base delle malattie. Questo approccio potrebbe permettere di ripristinare la funzionalità cellulare, aprendo nuove strade nel trattamento di distrofie retiniche e altre patologie ereditarie.

“Queste terapie hanno già avviato trial clinici su pazienti affetti da diverse forme genetiche di distrofia retinica. Un esempio in questo contesto di editing genetico è Edit 101, una terapia per una forma di amaurosi congenita di Leber, causata da una mutazione nel gene CEP290, ai cui studi sperimentali abbiamo partecipato. Sono filoni di ricerca molto promettenti; alcuni stanno avanzando più rapidamente, mentre altri potrebbero produrre risultati significativi nei prossimi anni.”

Una ricerca che ha anche una dimensione umana evidente: “abbiamo aperto il nostro centro a Napoli dedicato alle distrofie retiniche 34 anni fa, seguendo circa 4.000 pazienti grazie a un team multidisciplinare,” racconta Francesca Simonelli. “Il nostro lavoro non è solo scientifico; è anche un contributo alla vita di persone che affrontano sfide quotidiane enormi. Vedere i progressi, anche se piccoli, è una motivazione continua.”

Keypoints

  • Il team della prof.ssa Francesca Simonelli ha somministrato, per la prima volta al mondo, una terapia genica sperimentale per la sindrome di Usher di tipo 1B, una rara malattia ereditaria dell’occhio
  • La terapia è in fase di studio I/II, denominato LUCE-1, sponsorizzato da AAVantgarde Bio, con l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’efficacia del trattamento
  • La terapia prevede un approccio di dosaggio incrementale, partendo dal dosaggio più basso. Fino ad ora, non sono stati osservati effetti collaterali significativi nei pazienti trattati
  • La gestione della terapia richiede un team altamente specializzato, data la complessità della sindrome di Usher, che comporta sia sordità che perdita della vista
  • La Clinica Oculistica di Napoli ha trattato il maggior numero di casi in Europa con Luxturna, un’altra terapia genica per patologie oculari, senza riscontrare problemi significativi
  • Oltre alla terapia genica, si stanno esplorando altri filoni di ricerca, come le cellule staminali e l’editing genetico, per trattare le distrofie retiniche e altre malattie genetiche oculari

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