Un progetto dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) lungo 5 anni, finanziato da AIRC e i cui primi risultati sono stati pubblicati su Advanced Healthcare Materials: sviluppare nanoparticelle decorate con le stesse proteine trovate sulla superficie delle cellule cancerose, tratte dal paziente, per consentire un tipo di riconoscimento “amichevole” tra la nanoparticella e la cellula malata, simile al modo in cui due individui possono identificarsi reciprocamente indossando la stessa uniforme. Così facendo alla nanoparticella è concesso l’accesso al microambiente del tumore, dove può condurre in maniera indisturbata e selettiva le terapie, superando anche barriere come quella ematoencefalica. La tecnologia ha dimostrato il suo potenziale negli studi in vitro, ed ora all’IIT è in partenza la sperimentazione su modelli in vivo.
Lo studio in vitro: nano-vettori travestiti da cellule del glioblastoma del paziente
Lo studio condotto nei laboratori dell’IIT si è concentrato sulla prova di efficacia di questa tecnologia per condurre terapie all’interno del glioblastoma multiforme (GBM), il tumore cerebrale più aggressivo e letale. L’approccio proposto ha combinato la chemioterapia con l’ipertermia magnetica locale, e le due terapie sono state trasportate nel tumore da nanoparticelle lipidiche magnetiche, rivestite con estratti di membrane derivate dalle cellule GBM del paziente.
“I frammenti di tumore sono stati forniti dall’Ospedale San Martino di Genova, a seguito di interventi chirurgici per la resezione del tumore cerebrale”, spiega Gianni Ciofani, Coordinatore del Center for Materials Interfaces della sede IIT di Pontedera. “Dalle cellule del tumore di ogni paziente sono state quindi estratte le membrane plasmatiche con cui è stato rivestito il nucleo lipidico delle nanoparticelle”. Dopo il rivestimento, i nano-vettori sono stati caratterizzati per confermare la presenza delle proteine di membrana sulla loro superficie e per assicurare che mantenessero le funzioni terapeutiche desiderate, come la capacità di riconoscimento omotipico, cioè di riconoscere e agganciarsi selettivamente alle cellule tumorali simili, e l’efficacia terapeutica.
Un esempio di medicina personalizzata
“Le nostre cellule possono riconoscersi a vicenda e questo meccanismo di riconoscimento, fondamentale per l’integrità dei tessuti, avviene grazie alla presenza di proteine come le caderine, che consentono, ad esempio, a una cellula della pelle di identificare e posizionarsi accanto a un’altra cellula cutanea”, afferma il Capo Ricercatore dell’IIT. “Anche le cellule tumorali utilizzano proteine di membrana, come le caderine, per il riconoscimento omotipico, ossia tra cellule dello stesso tipo. La variazione di queste proteine da individuo a individuo, specialmente in contesto tumorale, ci ha offerto un’opportunità unica: quella di sviluppare una terapia personalizzata. Le nanoparticelle, recando sulla superficie proteine specifiche di un paziente, possono essere infatti direzionate in modo altamente specifico verso le cellule tumorali di quel paziente”.
I nano-vettori hanno portato nel tumore un chemioterapico e l’ipertermia magnetica localizzata
Lo studio è stato condotto utilizzando sia modelli in vitro 2D che 3D, basati entrambi sulle cellule derivate da pazienti affetti da GBM. I ricercatori dell’IIT hanno progettato i nanovettori per compiere due azioni contemporaneamente. Spiega Gianni Ciofani: “Dovevano rilasciare un farmaco chemioterapico, il regorafenib, direttamente nelle cellule tumorali e generare calore quando attivati da un campo magnetico esterno, perché il calore contribuisce a distruggere le cellule tumorali. Il chemioterapico è un inibitore di tirosina chinasi che ha avuto successo in un trial clinico per le recidive del glioma, condotto da un gruppo italiano”.
“Nei test che abbiamo condotto sui modelli cellulari in vitro, che hanno simulato l’ambiente del GBM, abbiamo visto che i nanovettori portavano le terapie verso le cellule del tumore derivate dal paziente, limitando l’interazione con le cellule sane, ma anche che poteva facilmente attraversare la barriera emato-encefalica”. Per testare la capacità dei nanovettori di superare la barriera emato encefalica, è stato utilizzato un modello in vitro della barriera, che ha incluso cellule endoteliali, astrocti e periciti per simulare la struttura e la funzione della barriera nel cervello umano. “I nanovettori hanno inoltre mostrato una notevole efficacia nel ridurre la vitalità delle cellule tumorali, sia attraverso la chemioterapia che l’ipertermia”.
Dopo il successo della sperimentazione in vitro, il progetto dell’IIT si sposta ora sulla sperimentazione in vivo, dove si auspica di ottenere una conferma dell’efficacia della tecnologia.
L’utilizzo di nanoparticelle specifiche create a partire dalle cellule tumorali del paziente si è pertanto dimostrato un metodo promettente nella personalizzazione della terapia anticancro. Questo approccio non solo evidenzia l’importanza della biologia molecolare e della nanotecnologia nella medicina moderna ma apre anche la porta a trattamenti più efficaci, con minori effetti collaterali per i pazienti.