L’invecchiamento è spesso percepito come un processo universale e inevitabile. Tuttavia, nuove ricerche stanno ribaltando questa convinzione dimostrando che non tutti invecchiamo nello stesso modo o con lo stesso ritmo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel nostro sangue, dove mutazioni genetiche legate all’invecchiamento possono comparire decenni prima che emergano segni visibili.
«Per alcune persone questi cambiamenti iniziano già a 30 o 40 anni dove si cominciano ad accumulare mutazioni in geni specifici, responsabili dell’invecchiamento del sistema ematopoietico», spiega Raffaella Di Micco, Professoressa associata in Patologia Generale alla Scuola Universitaria Superiore di Pavia e group leader dell’Unità “Senescenza nell’invecchiamento delle cellule staminali, differenziazione e cancro” all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) di Milano.
Tali mutazioni non sono semplici indicatori di invecchiamento, ma possono predisporre a condizioni gravi come il cancro, le malattie cardiovascolari e la neuro-degenerazione. «Le cellule del sangue possono influenzare quelle di altri organi. Ad esempio, un problema nelle cellule staminali ematopoietiche è molto probabile che impatti la progenie di queste cellule, che circola nel sangue, invade gli organi e, se malfunzionante, può contribuire a causare degenerazione dei tessuti», spiega. Questo solleva una domanda: è possibile intervenire per rallentare l’invecchiamento e migliorare le condizioni ad esso associate?
L’Italia e la sfida dell’invecchiamento
Al TIGET di Milano, Di Micco e i colleghi ricercatori stanno cercando di rispondere a questa domanda. Il loro lavoro si concentra sul sistema ematopoietico, dove le cellule del sangue invecchiate possono innescare segnali infiammatori che accelerano il declino di altri organi. Utilizzando tecniche avanzate di ingegneria genetica, il team del TIGET sta modellando le mutazioni legate all’invecchiamento per comprenderne gli effetti e sviluppare possibili interventi.
«Partendo da una caratterizzazione funzionale del sistema ematopoietico di soggetti giovani e soggetti anziani abbiamo identificato un nodo metabolico specifico che si è rivelato fondamentale per mantenere giovani le cellule staminali», afferma la professoressa Di Micco. Puntando a questo nodo, i ricercatori sperano di ritardare o persino invertire l’invecchiamento delle cellule staminali ematopoietiche. Questo lavoro non solo contribuisce alla comprensione fondamentale dell’invecchiamento, ma apre anche la strada a terapie trasformative che potrebbero migliorare la qualità della vita di milioni di persone.
CAR-T contro le cellule senescenti
Tra gli approcci più innovativi esplorati dal TIGET c’è l’adattamento della terapia con cellule CAR-T—tradizionalmente usata contro i tumori—per colpire le cellule senescenti. «In una innovativa linea di ricerca del mio laboratorio stiamo anche testando le terapie CAR-T in modelli di invecchiamento prematuro. Queste cellule sono progettate per eliminare le cellule senescenti nel sistema ematopoietico, con l’obiettivo di verificare se è possibile ripristinare la funzionalità e la capacità di differenziamento delle cellule», racconta Di Micco. Nei modelli preclinici di fibrosi, le CAR-T hanno dimostrato di recente un grande potenziale nel rimuovere queste cellule invecchiate, ripristinando la funzionalità di altri organi, come il fegato e i polmoni.
«Il nostro obiettivo è sviluppare una terapia definitiva che elimini le cellule senescenti, offrendo benefici duraturi senza necessità di trattamenti ripetuti», spiega.
Uno sforzo collettivo europeo sull’invecchiamento
Gli sforzi del gruppo della professoressa Di Micco rientrano in un’iniziativa europea più ampia per affrontare le sfide legate all’invecchiamento. Il team collabora con centri d’eccellenza in Spagna, Regno Unito, Svezia, Germania, nell’ambito del progetto UNION, finanziato dalla Commissione europea, formando una rete dedicata allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici e alla formazione di giovani scienziati con competenze in questo campo. Queste collaborazioni non solo convalidano le scoperte su popolazioni diverse, ma accelerano anche il passaggio dalla ricerca di laboratorio alle applicazioni pratiche.
La capacità di intervenire nell’invecchiamento a livello cellulare potrebbe trasformare il nostro approccio alla salute e alla longevità. Sebbene queste terapie possano richiedere anni prima di entrare nella pratica clinica, i progressi fatti al TIGET e in altri centri suggeriscono le opportunità sono più vicine di quanto immaginiamo.
«Abbiamo fatto così tanti passi avanti che credo davvero che queste terapie potrebbero essere disponibili entro il prossimo decennio», afferma Di Micco. «Non si tratta solo di allungare la vita, ma di migliorare la qualità degli anni che viviamo».
Forse non potremo mai fermare l’orologio ma potremmo presto imparare a rallentare il suo ticchettio.