Trapianto di isole pancreatiche: i risultati di 20 anni di monitoraggio e le innovazioni del futuro

Picture of Michela Moretti

Michela Moretti

Perché ne stiamo parlando
Il trapianto di isole pancreatiche si prepara a una svolta epocale. Obiettivo: trasformare questa terapia da soluzione di nicchia a trattamento accessibile su larga scala, migliorando la qualità di vita di milioni di pazienti nel mondo.

Uno studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha analizzato gli esiti a lungo termine del trapianto di isole pancreatiche nei pazienti con diabete di tipo 1 trattati presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano tra il 2001 e il 2023. Coordinato dal professor Lorenzo Piemonti, Primario dell’Unità di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti, direttore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Endocrinologia di UniSR Università Vita-Salute San Raffaele, lo studio rappresenta una delle analisi retrospettive più ampie al mondo su questa terapia e fornisce preziose indicazioni per lo sviluppo delle future tecniche innovative, tra cui il gene editing.

«Questi dati sottolineano l’importanza di proseguire la ricerca per migliorare e perfezionare le terapie cellulari destinate ai pazienti con diabete di tipo 1, per garantire trattamenti sempre più efficaci e sostenibili nel lungo periodo», sostiene Piemonti.

Il valore del monitoraggio ventennale

Il trapianto di isole pancreatiche rappresenta il gold standard per la sostituzione delle cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1, ma presenta alcune limitazioni legate alla disponibilità di donatori e alla necessità di immunosoppressione. L’analisi retrospettiva di oltre 20 anni di trapianti di isole pancreatiche al San Raffaele ha permesso di raccogliere dati fondamentali per migliorare l’efficacia di questo trattamento e fornire una direzione per terapie più avanzate.

«Il trapianto di isole, se applicato correttamente, può eliminare la dipendenza dalla terapia insulinica nei pazienti con diabete di tipo 1 anche per lunghi periodi, anche se va sempre valutato il rapporto rischio beneficio. Inoltre, lo studio sui pazienti trapiantati fornisce preziose indicazioni per migliorare le future terapie cellulari, basate sul differenziamento delle isole pancreatiche da cellule staminali pluripotenti», dichiara il professor Piemonti.

La ricerca ha coinvolto 79 pazienti di età compresa tra i 18 e i 67 anni. Nei soggetti trattati con una dose di almeno 10.000 IEQ/kg e il protocollo immunosoppressivo del San Raffaele, la sopravvivenza mediana delle isole trapiantate è stata di 9,7 anni, con il 72,7% dei pazienti che ha mantenuto l’indipendenza dall’insulina per un periodo tra i 6 e i 7 anni. Sono emersi alcuni effetti collaterali legati alla terapia immunosoppressiva, come infezioni e riduzione della funzionalità renale. «I risultati ottenuti non solo aiutano a comprendere meglio gli effetti dell’immunosoppressione, ma anche a determinare le dosi ottimali di isole per garantire trapianti futuri sicuri ed efficaci», aggiunge Piemonti.

Dai limiti del trapianto attuale alle potenzialità delle nuove tecnologie

L’esperienza maturata nel trapianto di isole pancreatiche conferma che esso rimane un’opzione accessibile solo a una piccola nicchia di pazienti, come ricorda il primario dell’Unità di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti del San Raffaele. Il primo limite è la scarsità di donatori, che impedisce di estendere il trattamento a tutti i diabetici di tipo 1.

«Il numero di donatori è insufficiente rispetto alla domanda, anche nella migliore delle ipotesi. Per un trapianto efficace servono almeno 10.000 isole per kg di peso corporeo, il che significa che un paziente di 70 kg necessita di circa 700.000 isole. Questo richiede spesso di combinare più donatori per un singolo ricevente», spiega il professor Piemonti.

Inoltre, circa il 70% delle cellule trapiantate non sopravvive alla prima settimana a causa delle difficoltà di attecchimento (engraftment), e la necessità di terapia immunosoppressiva comporta effetti collaterali importanti: «Osserviamo un aumento del rischio infettivo e una riduzione della funzionalità renale, in particolare a causa della tossicità del tacrolimus, farmaco fondamentale ma con impatti a lungo termine», sostiene il professore del San Raffaele.

Le innovazioni in corso

Il futuro del trattamento si sta orientando verso la bioingegnerizzazione di cellule beta derivate da cellule staminali pluripotenti, che potrebbero essere personalizzate per ogni paziente, eliminando il rischio di rigetto: «Stiamo lavorando su queste cellule ottenute da cellule staminali pluripotenti all’interno di trial internazionali e sviluppando nuovi approcci per migliorare la resistenza delle cellule trapiantate e ridurre la necessità di immunosoppressione», dichiara Piemonti.

Una possibilità riguarda l’editing genetico, che potrebbe rendere le cellule trapiantate invisibili al sistema immunitario, evitando così la necessità di immunosoppressione. «Attualmente – spiega Lorenzo Piemonti esistono già trial clinici che hanno dimostrato che queste cellule possono avere una performance simile a quella delle isole pancreatiche, anche se su un numero ancora ristretto di pazienti».

Oltre il trapianto: una visione per il futuro

«Non si tratta più solo di sostituire le cellule mancanti, ma di ripensare completamente il modo in cui affrontiamo il diabete di tipo 1», sottolinea Piemonti. Se oggi il trapianto di isole pancreatiche è riservato a una ristretta nicchia di pazienti, le nuove tecnologie potrebbero in tempi relativamente brevi rivoluzionare il panorama terapeutico.

Keypoints

  • Lo studio del San Raffaele ha analizzato 79 pazienti con diabete di tipo 1, mostrando una sopravvivenza mediana delle isole di 9,7 anni e indipendenza dall’insulina fino a 7 anni nel 72,7% dei casi
  • Il trapianto è efficace ma limitato dalla scarsità di donatori, dalla bassa sopravvivenza cellulare (solo il 30% supera la prima settimana) e dagli effetti collaterali dell’immunosoppressione
  • L’analisi ventennale aiuta a migliorare la terapia, definire le dosi ottimali di isole e ridurre gli effetti avversi dell’immunosoppressione
  • Si studia ora la bioingegnerizzazione di cellule beta da staminali pluripotenti per ridurre il rischio di rigetto e migliorare la terapia
  • Tecniche di gene editing potrebbero rendere le cellule invisibili al sistema immunitario, eliminando la necessità di immunosoppressione
  • Le innovazioni mirano a rendere il trapianto una terapia accessibile, rivoluzionando il trattamento del diabete di tipo 1

Altri articoli