Malattia di Huntington, chiave per la ricerca sulle patologie neurodegenerative

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Michela Moretti

Perché ne stiamo parlando
La malattia di Huntington è una malattia rara di cui è nota l’origine genetica, e ciò la rende un modello di studio per comprendere e potenzialmente prevenire altre patologie neurodegenerative. Ne abbiamo parlato con il professor Ferdinando Squitieri.

«La malattia di Huntington è legata a una mutazione genetica nota e presenta sovrapposizioni biologiche con altre patologie neurodegenerative, anche non rare. Questo la rende un modello ideale per lo studio della prevenzione e della modulazione del decorso di malattia», spiega Ferdinando Squitieri, Direttore Scientifico della Fondazione Lega Italiana Ricerca Huntington (Lirh), Roma e Responsabile della Unità Huntington e Malattie Rare dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

Huntington: meccanismo patologico simile a Parkinson, Alzheimer e Sla

Molte malattie neurodegenerative condividono meccanismi patologici simili. L’Huntington, per esempio, presenta sovrapposizioni con il Parkinson, l’Alzheimer e la Sla (Sclerosi Laterale Amiotrofica), tutte patologie caratterizzate dall’accumulo di proteine tossiche nel cervello e dalla progressiva perdita neuronale. Squitieri spiega che studiare il modo in cui la mutazione genetica dell’Huntington porta alla neurodegenerazione può fornire preziose informazioni per comprendere meglio anche altre malattie neurologiche più diffuse di cui i meccanismi sono meno noti.

Studiare la forma pediatrica dell’Huntington per capire meglio la forma adulta

«Esiste anche una forma pediatrica della malattia; è più aggressiva, ha sintomi diversi rispetto a quella in età adulta, e ha un decorso più rapido. Studiare questa forma estrema sta ampliando le nostre conoscenze in generale e ci sta insegnando a riconoscere caratteristiche nascoste della malattia nell’adulto che non avevamo ancora rilevato».

Il panorama della ricerca clinica per la malattia

Negli ultimi anni, la ricerca ha sviluppato approcci terapeutici avanzati per le malattie neurodegenerative, sfruttando terapie con tecnologie genetiche e farmacologiche. «Una delle strategie più promettenti – racconta il neurologo – è l’uso di farmaci che interferiscono con l’Rna, basati su acidi nucleici sintetici che riconoscono sequenze di Rna per condizionare la produzione di proteine tossiche».

In Italia un studio di fase 2b con un modulatore di Splicing

Un ambito di ricerca in questo campo si sta concentrando sull’uso di farmaci Antisenso (Aso) che si legano all’Rna favorendone la degradazione o modulatori di Splicing, un meccanismo che permette di modificare l’RNA messaggero inserendo uno pseudo-esone che impedisce la traduzione in proteina. «In Italia stiamo conducendo una sperimentazione di fase 2b su un farmaco, PTC518, che interferisce con lo splicing per ridurre la produzione di proteine dannose nell’Huntington», afferma Squitieri. Questo studio è coordinato dall’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza in collaborazione con Fondazione LIRH e coinvolge anche il Besta di Milano e l’Università di Bologna. Il farmaco è stato recentemente acquisito da Novartis, che svilupperà eventuali fasi ulteriori di studio.

L’uso di microRNA per ridurre la produzione di proteina huntingtina

Un altro studio in fase sperimentale riguarda l’utilizzo di un Adenovirus modificato per trasportare un microRNA in grado di ridurre la produzione della proteina huntingtina. «Questo approccio è ancora in fase iniziale ma sta dando segnali promettenti», sottolinea Squitieri. Il trattamento prevede un’unica somministrazione tramite intervento neurochirurgico, con l’obiettivo di mantenere ridotti stabilmente i livelli della proteina mutata nel cervello.

Terapie che agiscono sul recettore Sigma-1 per proteggere i neuroni

Parallelamente, si stanno studiando farmaci capaci di proteggere i neuroni, come la Pridopidina, che agisce sul recettore Sigma-1.«Il recettore Sigma-1 ha un’azione protettiva sui neuroni, regolando produzione di fattori di crescita, autofagia per smaltimento di aggregati proteici tossici e migliorando la ramificazione dendritica, ovvero la capacità delle cellule nervose di creare nuove connessioni», spiega Squitieri. La pridopidina potrebbe essere combinata con altri trattamenti per migliorare la funzionalità cerebrale e rallentare il decorso della malattia.

Questi farmaci possono essere efficaci anche per altre malattie neurodegenerative

Studi clinici recenti hanno mostrato che farmaci con meccanismi simili potrebbero essere efficaci anche in altre malattie neurodegenerative. Ad esempio, la blarcamesina, un altro farmaco che agisce sul recettore Sigma-1, ha mostrato risultati positivi nella fase 2b/3 per il trattamento dell’Alzheimer. «Questi risultati indicano che agire su determinati processi biochimici potrebbe essere una strategia trasversale per più malattie neurodegenerative», afferma il neurologo.

La soluzione: una combinazione di terapie mirate

Anche se la cura definitiva per l’Huntington non è ancora disponibile, le terapie sperimentali in corso rappresentano un passo significativo verso una migliore gestione della malattia e, in futuro, una possibile prevenzione.

«Non sarà un’unica strategia a risolvere il problema, ma una combinazione di approcci mirati che rallentino il decorso della malattia e migliorino la qualità di vita dei pazienti», sostiene Squitieri.

Altra questione è invece l’accessibilità alle cure e la preparazione delle strutture sanitarie: “Le terapie innovative richiedono competenze specifiche e infrastrutture specializzate. È fondamentale che i pazienti vengano indirizzati ai centri specializzati per una diagnosi e una presa in carico adeguata”.

Le nuove scoperte stanno aprendo prospettive inedite nella lotta contro le malattie neurodegenerative, non solo per l’Huntington, ma anche per patologie più comuni come Alzheimer e Parkinson. Grazie ai progressi nella genetica e nelle biotecnologie, la ricerca sta ponendo le basi per trattamenti sempre più personalizzati, con l’obiettivo di arrestare il decorso di queste gravi patologie.

Keypoints

  • La malattia di Huntington rappresenta un modello chiave per comprendere e trattare altre malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson e Sla
  • Le nuove terapie sperimentali, tra cui farmaci antisenso, modulatori dello splicing e terapie genetiche, mirano a ridurre la produzione della proteina huntingtina tossica e a proteggere i neuroni dalla degenerazione
  • La pridopidina e la blarcamesina, farmaci che agiscono sul recettore Sigma-1, stanno dimostrando potenziale non solo per l’Huntington, ma anche per altre patologie neurodegenerative
  • L’innovazione biotecnologica sta portando a trattamenti sempre più mirati, con studi clinici avanzati in corso in Italia e a livello internazionale
  • L’accesso alle cure e la preparazione dei centri specializzati sono sfide cruciali per garantire ai pazienti trattamenti innovativi e una migliore qualità di vita

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