Malattie neuromuscolari rare: verso una cura combinando terapia genica e RNA

Malattie neuromuscolari rare: verso una cura combinando terapia genica e RNA

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Simona Regina

Perché ne stiamo parlando
Fondazione Telethon e Fondazione Cariparo finanziano con oltre 5 milioni di euro studio pilota del VIMM di Padova sulle malattie neuromuscolari rare.

Fondazione Telethon e Fondazione Cariparo uniscono le forze e con 5,3 milioni di euro finanziano un progetto di ricerca sulle malattie rare neuromuscolari, che sarà condotto nei prossimi cinque anni all’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova.

Per la maggior parte delle malattie rare neuromuscolari non esiste ancora un trattamento efficace. L’obiettivo del progetto, allora, è mettere a punto una piattaforma che combini più approcci terapeutici per massimizzarne l’effetto: la terapia genica, per correggere il difetto genetico responsabile, e terapie innovative a base di RNA, per preservare il più possibile la salute delle fibre muscolari.

Ne parliamo con Marco Sandri, professore di patologia clinica all’Università di Padova e responsabile del Laboratorio di Fisiopatologia molecolare neuromuscolare dell’Istituto VIMM, che coordina l’attività scientifica del progetto.

Nell’ambito del progetto, vi focalizzerete su tre malattie neuromuscolari ereditarie, ancora orfane di cura: la distrofia muscolare di Duchenne, l’atrofia muscolare spinale bulbare (o malattia di Kennedy) e la miopatia mitocondriale da mutazioni nel gene POLG. Perchè?

«Per due motivi fondamentali. Il primo è che sono tre malattie completamente diverse tra loro. La Duchenne comporta danni muscolari e attività di degenerazione e fibrosi. L’atrofia muscolare spinale bulbare è un problema sia muscolare che di innervazione. E la miopatia mitocondriale comporta un problema energetico. Quindi vogliamo testare questo approccio terapeutico innovativo su tre malattie diverse, per vedere in quale di questi tre modelli possiamo ottenere maggior successo: laddove c’è un problema metabolico, oppure dove c’è un problema di mantenimento della fibra, oppure un problema che interessa il motoneurone. Il secondo motivo è che qui a Padova ci sono esperti mondiali che lavorano su queste tre malattie: quindi abbiamo modelli preclinici e l’expertise per testare la terapia».

Cosa caratterizza queste tre malattie?

«La Duchenne è una malattia che si manifesta già durante l’infanzia, con una progressiva debolezza che porta all’incapacità di camminare, e infine all’incapacità di respirare. I pazienti muoiono per insufficienza respiratoria o problemi cardiaci, perché anche il cuore è coinvolto.

L’atrofia muscolare spinale bulbare è una malattia legata a mutazioni nel recettore degli androgeni. Si manifesta con una debolezza progressiva in età adulta, dipendente dal testosterone, che porta alla perdita delle capacità motorie.

La miopatia mitocondriale, invece, è una malattia autosomica dominante con oftalmoplegia esterna. È una malattia dei mitocondri e chiaramente colpisce i tessuti che hanno più bisogno di energia: cervello, muscolo, rene e cuore. I pazienti, in base al tipo di mutazione, manifestano un livello importante di debolezza, fin dall’età pediatrica, e anche problemi neuronali. Ma in questo caso ci interessa soprattutto la parte miopatica, quindi quella muscolare.

Sono quindi malattie che insorgono in età diverse, caratterizzate da meccanismi diversi, ma tutte e tre determinano debolezza muscolare, difficoltà respiratorie e motorie e possono portare alla morte».

Perché il muscolo è così difficile da raggiungere con la terapia genica?

«Parlando di malattie neuromuscolari, ce n’è solo una per le quali esiste finora una terapia efficace: la SMA. Uno dei problemi principale è che i muscoli sono più di 600 e sono distribuiti in diverse parti del corpo: i muscoli respiratori, come il diaframma e quelli intratoracici, i muscoli delle gambe per camminare, quelli per rimanere in piedi, o per evitare la scoliosi, quelli che ci permettono di mangiare e deglutire, quindi l’orofaringe e parte dell’esofago, quelli degli occhi per tenere le palpebre aperte e muovere gli occhi…

Colpirne solo uno – come per esempio quello della respirazione, o quello che ci tiene in piedi – è riduttivo. Se ho la scoliosi, non respiro. Se mangio male, il cibo va nei polmoni e ho una broncopneumopatia ostruttiva che non mi fa respirare. Se non riesco a consumare zuccheri o ne consumo troppi vado incontro a rischio di acidosi lattica o ipoglicemia.

Quindi il problema principale è che non si tratta di un solo muscolo, o di un solo organo localizzato in un punto preciso. I muscoli sono diffusi in tante sedi anatomiche e raggiungere e correggere tutti questi siti è complesso».

Voi assocerete quindi il DNA editing per la correzione del gene mutato con l’uso di piccole molecole di RNA. Qual è lo scopo di queste terapie a RNA: promuovere la crescita e la funzionalità muscolare?

«Sì. Tipicamente si va dal medico quando si ha già un problema: quando, per esempio, si fa fatica a camminare o a respirare. Quindi il medico fa la diagnosi, che si tratti di un bambino o un adulto, quando già si è persa massa muscolare. Ebbene, con il DNA editing possiamo correggere le fibre muscolari esistenti, ma quelle che abbiamo perso, sono perse ormai. Quindi il primo scopo del nostro progetto è associare la correzione della mutazione genetica alla ricrescita muscolare.

Perché se vado dal medico che sono già debole, e faccio la terapia genica, al massimo stabilizzo ciò che ho. Ma se sono debole, resto debole. Se ho un problema respiratorio, continuo ad averlo. E questa è l’ipotesi più ottimistica perché, come dicevo prima, i muscoli sono tanti, la possibilità di fare un DNA editing delle cellule muscolari è difficile e non è mai efficace al 100%. In altre parole, solo alcune cellule muscolari verranno corrette. E questo significa che il paziente continuerà a perdere massa muscolare.

Da qui nasce l’idea di associare alla terapia genica anche la terapia a RNA, per modulare le vie che fanno crescere il muscolo. Grazie alla ricerca di base, abbiamo imparato a conoscere quali sono i segnali molecolari che controllano la crescita dei muscoli, il loro metabolismo energetico, e che preservano innervazione e la produzione della forza o promuovono la re-innervazione e l’aumento di forza. Le molecole di RNA potranno perciò diventare bersagli su cui intervenire per mantenere le fibre in salute. L’RNA è una molecola molto versatile, che possiamo disegnare e modificare per ottimizzare il target terapeutico e la sua l’azione in base al tipo di malattia, all’età e al sesso dei pazienti.

Quindi, vogliamo correggere la mutazione genetica nelle fibre esistenti, per stabilizzare o rallentare la perdita di massa muscolare, e allo stesso tempo riprogrammare le fibre in modo che crescano. Così, non solo il paziente non peggiora, ma auspicabilmente la massa muscolare cresce e così riesce a respirare meglio, a stare dritto, a non avere problemi di disfagia, di cibo nei polmoni, e può avere un metabolismo glicemico-lipidico quasi normale».

È uno studio pilota?

«Sì, attualmente questo approccio, che combina due tecnologie all’avanguardia – il gene editing, per la correzione del DNA, con gli RNA, per modulare le vie di segnale intracellulari – non è mai stato testato. Noi vogliamo capire se abbinando queste due tecnologie, possiamo massimizzarne l’effetto benefico. È il primo studio a livello mondiale che vuole testare la combinazione di queste terapie. Ed è il frutto della sinergia di gruppi diversi e diverse expertise, perché per la complessità delle domande a cui vogliamo rispondere è necessario un approccio multidisciplinare e sinergico.

Che si tratti della ricerca dei vettori per far arrivare alle cellule gli RNA e i geni terapeutici, o di verificare che le terapie abbiano davvero un impatto sull’energia, sul metabolismo e sulla funzionalità del muscolo, non basta essere medici o biologi molecolari.

Serve chi disegna le molecole, chi analizza gli effetti sulla struttura, sulla funzione, sull’espressione genica e sulla cromatina, chi analizza i modelli, chi i dati di trascrittomica, chi crea modelli in vitro che mimano i pazienti. In altre parole, fisici, matematici, bioinformatici, biologi, medici, farmacologi devono lavorare insieme».

Lei è un biologo molecolare, quando ha iniziato e perché a occuparsi di malattie neuromuscolari?

«L’interesse è nato quando ero ancora uno studente di medicina: durante le lezioni di patologia, un professore chiese se qualcuno volesse provare a fare un periodo di ricerca nel suo laboratorio. Io ero curioso, mi piaceva l’aspetto della ricerca, e ho iniziato a frequentare quel laboratorio

che lavorava proprio sulle patologie muscolari, in particolare sulla Duchenne. E così ho mosso i primi passi nel mondo della ricerca e sono stato introdotto alla complessità delle patologie muscolari. Da allora, ormai più di trentacinque anni fa, lavoro sulle patologie muscolari».

Tornando alle malattie neuromuscolari su cui lavorerete nell’ambito del progetto, come diceva c’è la questione diagnosi. Spesso arriva tardi, quando sono già andate perse massa e forza muscolare, che non possono essere ripristinate dalla terapia genica che, correggendo il difetto genetico, può preservare solo le fibre muscolari esistenti e non quelle già perse. E allora cosa si può fare per arrivare prima?

«Ci sono dei biomarcatori che possono dirci se il muscolo è in salute o meno. In parte li usiamo in clinica: sono marcatori molecolari nel sangue. La presenza, cioè, di certi enzimi muscolari nel sangue indica che le cellule muscolari si sono rotte e hanno rilasciato enzimi che normalmente non dovrebbero circolare. Lo screening genetico però è costoso. Fare il sequenziamento e poi analizzare i geni – abbiamo più di 20mila geni nel nostro corpo – è costoso.

E sappiamo che le malattie muscolari non dipendono solo da geni delle proteine, ma da geni che coinvolgono diversi aspetti della biologia cellulare. Per cui è difficile avere uno screening che ci dica con certezza che stiamo andando incontro a una patologia neuromuscolare, se non quando compaiono i sintomi.

A proposito di biomarcatori, però, questo progetto vuole anche identificare biomarcatori nel sangue utili per capire se le terapie stanno funzionando e i pazienti stanno rispondendo. Marcatori precoci che ci dicano se il muscolo sta bene e sta ricrescendo.

A proposito di diagnosi prenatale, questi marcatori potrebbero teoricamente essere usati per fare un eventuale screening o, comunque, potrebbero essere usati dal medico per capire se, quando una persona dice che fa fatica a salire le scale, a camminare, ecc., ci sia alla base una malattia muscolare. Magari in futuro potranno essere usati anche in questo senso».

Keypoints

  • Studio pilota all’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova su tre malattie neuromuscolari rare
  • Il progetto, finanziato con 5,3 milioni da Telethon e Cariparo, durerà cinque anni.
  • L’obiettivo è combinare terapia genica e RNA per massimizzare l’efficacia terapeutica.
  • Verranno studiate tre patologie: distrofia di Duchenne, atrofia spinale bulbare e miopatia mitocondriale da mutazioni POLG.
  • I muscoli, fondamentali per molte funzioni vitali, sono difficili da trattare con la terapia genica.
  • Le terapie a RNA aiuteranno a stimolare la ricrescita muscolare
  • La terapia genica punta a correggere il difetto genetico e a preservare la funzione delle fibre esistenti.
  • Lo studio punta anche a individuare biomarcatori per il monitoraggio dell’efficacia terapeutica.

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