Quando l’Ai ti salva la vita: il caso della malattia di Castleman

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Simona Regina

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Immagina di soffrire di una malattia rara e fatale, e che la cura sia già sugli scaffali delle farmacie ma nessuno lo sa. Poi, un algoritmo di intelligenza artificiale scova quel farmaco e ti salva la vita.

Sembra la trama di un film, eppure è realtà.

Grazie all’intelligenza artificiale è stato individuato un farmaco già esistente che, fino a oggi, si è rivelato salvavita per un uomo cinquantenne affetto dalla forma più grave della malattia di Castleman, una malattia rara che provoca l’iperattivazione del sistema immunitario e la disfunzione di vari organi vitali. In altre parole, un’infiammazione incontrollata del nostro sistema immune.

Quest’uomo si chiama Alan e soffre della forma idiopatica multicentrica della malattia di Castleman (iMCD), la più severa e difficile da curare, refrattaria ai trattamenti.

Come raccontato in un articolo del New England Journal of Medicine, Alan stava per iniziare le cure palliative quando il team coordinato da David C. Fajgenbaum, professore di medicina traslazionale e genetica umana alla Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania e co-fondatore della non-profit Every Cure, ha individuato il trattamento che avrebbe potuto salvarlo: l’anticorpo monoclonale adalimumab, approvato dalla Fda nel 2002 per altre malattie autoimmuni come l’artrite e il morbo di Crohn.

Il trattamento “off-label” con adalimumab ha avuto un impatto immediato: Alan è entrato in remissione e oggi, a quasi due anni di distanza, non presenta più i sintomi.

Fajgenbaum, anche lui affetto da iMCD e in remissione da oltre dieci anni, ha dichiarato: «Io stesso sono vivo grazie a un farmaco riposizionato che ho scoperto mentre stavo morendo. Ora la mia missione è sbloccare ogni cura, affinché a nessun paziente venga detto che non c’è più nulla da fare, mentre una cura salvavita c’è ed è sugli scaffali delle farmacie».

La storia di Alan e quella dello stesso Fajgenbaum accendono speranze per i pazienti che non rispondono all’unico farmaco attualmente approvato per la malattia di Castleman, siltuximab.

L’Ai e il riposizionamento dei farmaci

Un ruolo determinante nella storia di Alan è stato giocato dal sistema di intelligenza artificiale: Every Cure LinkMap.

Il team di Fajgenbaum ha utilizzato questo sistema di machine learning per analizzare quattromila farmaci esistenti nella farmacopea mondiale, valutandone le potenzialità. E hanno così individuato l’adalimumab come candidato promettente per il trattamento dell’iMCD.

In questo caso, l’Ai è stata un alleata preziosa per identificare una nuova applicazione terapeutica di un farmaco già approvato per altre patologie: strategia nota come drug repurposing. 

Il riposizionamento dei farmaci è particolarmente utile per le malattie rare che soffrono della mancanza di trattamenti specifici e dei limitati investimenti in ricerca e sviluppo (leggi qui: intervista a Francesco Emma dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù).

Secondo Fajgenbaum, l’Ai ha il potenziale per rivoluzionare la ricerca medica: «Questo caso non rappresenta solo una svolta per la malattia di Castleman, ma dimostra come l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata per trovare trattamenti anche per molte altre condizioni».

La malattia di Castleman

Bernardo Rossini, oncoematologo presso l’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari, dove è responsabile dell’ambulatorio malattie immunoproliferative, spiega che la malattia di Castleman è una patologia rara che, come tutte le malattie rare, presenta problemi di diagnosi tardiva e difficoltà nel raccogliere un numero adeguato di casi per studi clinici robusti. La malattia è stata osservata per la prima volta nel 1954 dal medico Benjamin Castleman e può essere distinta in due forme principali: quella unicentrica (più spesso associata a una prognosi favorevole e trattabile chirurgicamente) e quella multicentrica, che coinvolge diversi distretti linfonodali.

La sintomatologia della malattia (febbre, perdita di peso, sudorazione, gonfiore dei linfonodi, ecc.) è causata da una tempesta di citochine, in particolare l’interleuchina-6 (IL-6), una proteina pro-infiammatoria che è iperprodotta nella forma multicentrica idiopatica dell’iMCD. Questo meccanismo è il target del farmaco siltuximab, approvato nel 2014 per il trattamento di questa patologia.

«Non tutti i pazienti, però, rispondono a questo trattamento» puntualizza Rossini. «Poiché la malattia è associata a meccanismi ulteriori, che potrebbero essere affrontati con terapie mirate. Tra questi, l’attivazione delle vie di segnalazione di mTOR e JAK-STAT. E farmaci come il ruxolitinib (inibitore di JAK2) e il sirolimus (inibitore di mTOR) potrebbero rappresentare nuove opzioni terapeutiche per i pazienti con la malattia di Castleman».

L’intelligenza artificiale, attraverso la profilazione avanzata dei pazienti, permette di identificare «target inesplorati ma potenzialmente efficaci». Come sottolinea infatti Rossini, «il fatto che il paziente di questo studio sia entrato in remissione grazie all’adalimumab significa che questo farmaco ha colpito il driver principale della malattia».

Nel caso di Alan, le analisi condotte dal team hanno evidenziato che l’adalimumab agisce bloccando il fattore di necrosi tumorale (TNF), una proteina che, a quanto pare, gioca un ruolo chiave proprio nelle forme più gravi di iMCD. L’Ai ha permesso di individuare questa correlazione in tempi rapidissimi, mentre esperimenti di laboratorio hanno confermato che le cellule immunitarie dei pazienti con iMCD producono livelli anomali di TNF.

L’Ai per il futuro della medicina di precisione

«Il caso di Alan – continua Rossini – mette bene in evidenza il potenziale di un nuovo approccio che combina dati omici, studi sperimentali e modelli di apprendimento automatico per accelerare il processo di traslazione dalla ricerca alla realtà clinica e identificare rapidamente nuove strategie terapeutiche per le malattie rare». L’Ai, insomma, è un alleato della medicina di precisione personalizzata: aiuta a selezionare il trattamento più adatto per ciascun paziente, profilandone le caratteristiche.

In merito al riposizionamento dei farmaci e alla profilazione dei pazienti, anche Marco De Vivo, che dirige il laboratorio Molecular Modeling and Drug Discovery all’IIT di Genova, sottolinea la forza dell’Ai: «È un potente acceleratore di analisi dati che ci permette di vedere pattern e connessioni difficili da rilevare con i metodi tradizionali e in così poco tempo. In campo genomico, dunque, può davvero fare la differenza». Oggi, infatti, possiamo sequenziare il genoma di una persona in modo rapido ed economico. «Accumuliamo quindi una mole enorme di dati che con l’Ai possiamo analizzare velocemente per identificare target specifici».

Per quanto riguarda invece la ricerca farmacologica, De Vivo è cauto nel cavalcare l’hype. «È un fronte sicuramente promettente. Ma c’è il limite del numero circoscritto di esempi disponibili – cioè di farmaci approvati – da cui l’Ai può imparare, a fronte delle innumerevoli molecole (10 alla 60) che possono potenzialmente diventare un farmaco». Il suo ruolo rimane pertanto complementare agli studi preclinici e clinici, che restano essenziali. «Ma l’approccio è sicuramente interessante e fruttuoso: accelera l’iter e sicuramente lo farà ancora di più in futuro, aumentando la possibilità di successo di ciò che testiamo in laboratorio. Ma c’è ancora tanto da fare e studiare».

La strada, però, sembra tracciata. Il futuro della medicina personalizzata passa per la caratterizzazione molecolare di ogni paziente. E come sottolineato da entrambi gli esperti che abbiamo consultato, la combinazione di Ai, dati omici e ricerca sperimentale è la chiave per accelerare la scoperta di nuovi farmaci e migliorare le cure anche attraverso il riposizionamento di farmaci già disponibili.

Keypoints

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