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Lo spazio fa bene al cervello: cosi la microgravità aiuta le cellule

Perché ne stiamo parlando
La ricerca in microgravità sta offrendo nuove prospettive sulla comprensione delle malattie neurodegenerative. Uno studio a cui hanno partecipato due scienziati italiani, ha esplorato come lo spazio influenza i neuroni.

Lo spazio fa bene al cervello: cosi la microgravità aiuta le cellule

Andare nello spazio fa bene al cervello. La microgravità, stando a uno studio internazionale, influenzerebbe infatti lo sviluppo delle cellule cerebrali, promuovendo una maturazione più rapida e riducendo la tendenza alla divisione cellulare, senza però accelerare l’invecchiamento.

Nel team di ricerca compaiono anche due italiani, Davide Marotta, Program Director, In-Space Biomanufacturing della Stazione Spaziale Internazionale (National Laboratory), e Valentina Fossati, Senior Research Investigator allo New York Stem Cell Foundation Research Institute.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) sono stati inviati organoidi cerebrali, rappresentazioni semplificate di specifiche regioni del cervello umano, modelli che si sono rivelati ottimali. «Il nostro obiettivo è sfruttare l’opportunità di studiare le cellule neurali in orbita terrestre bassa», sostengono i ricercatori, «per comprendere meglio e trattare le malattie neurodegenerative sulla Terra, e per aiutare a migliorare potenziali effetti neurologici avversi dei viaggi spaziali; i dati riportati nel nostro studio costituiscono la base per ulteriori esplorazioni».

Sviluppo degli organoidi

Per questa “missione” gli organoidi sono stati creati utilizzando iPSC derivate da fibroblasti provenienti da persone con sclerosi multipla primaria progressiva e morbo di Parkinson, rispettivamente differenziandoli verso neuroni corticali e dopaminergici, per modellare le cellule neuronali più vulnerabili nella sclerosi multipla e nel Parkinson. «Abbiamo scelto questi due tipi di cellule neuronali perché sono colpiti da diverse malattie neurodegenerative», sostengono i ricercatori. «Abbiamo incorporato microglia, che sono un importante tipo di cellula immunitaria nel sistema nervoso centrale, al fine di monitorare possibili effetti immunologici della coltura a lungo termine in microgravità».

I neuroni corticali svolgono un ruolo fondamentale in funzioni cognitive superiori come memoria, attenzione, percezione, consapevolezza e coscienza e subiscono degenerazione in presenza di malattie come la sclerosi multipla, l’Alzheimer, la demenza fronto-temporale, la malattia di Huntington. I neuroni dopaminergici producono e rilasciano dopamina, un neurotrasmettitore cruciale per il controllo motorio e altre funzioni cerebrali. La degenerazione o perdita di neuroni dopaminergici è una caratteristica distintiva di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson.

Due gruppi di colture create: una nello spazio e una sulla Terra

“Abbiamo sviluppato un nuovo approccio per la coltura di organoidi, posizionando singoli organoidi in crioviali (piccoli contenitori cilindrici progettati per conservare materiali biologici a temperature estremamente basse e con chiusura ermetica, ndr)”, riporta il gruppo di ricerca nello studio. “Questa strategia è stata intrapresa per evitare potenziali problemi di perdita di altri contenitori di coltura sotto i cambiamenti di gravità”. I campioni sono stati inviati alla ISS tramite la missione SpaceX CRS-19 e mantenuti per 30 giorni in condizioni di microgravità, a una temperatura identica a quella corporea, mentre un set parallelo è stato coltivato sulla Terra come controllo.

L’analisi post-volo

Al ritorno sulla Terra, gli organoidi sono stati analizzati utilizzando sequenziamento dell’RNA, immunocitochimica e analisi delle proteine secrete. Ciò che ha sorpreso i ricercatori è che gli organoidi neurali coltivati in condizioni di microgravità sulla Stazione Spaziale Internazionale “hanno mostrato un’accelerazione nella maturazione neuronale rispetto ai controlli coltivati sulla Terra. In particolare, questi organoidi presentavano livelli più elevati di espressione genica associata alla maturità dei neuroni e livelli inferiori di geni legati alla proliferazione cellulare”.

Questo suggerisce che la microgravità potrebbe influenzare lo sviluppo delle cellule cerebrali, promuovendo una maturazione più rapida e riducendo la tendenza alla divisione cellulare. «È importante notare che questa è evidenza di maturazione accelerata, non di invecchiamento accelerato», fa notare Jeanne F. Loring del Dipartimento di Medicina Molecolare del noto Scripps Research Institute. «L’invecchiamento si manifesta diversamente in diversi organi e tipi di cellule, e non esiste un metodo uniforme per determinare la loro età biologica». Lo studio ha anche dimostrato che è possibile mantenere nello spazio con successo colture complesse di neuroni derivate da iPSC.

Limiti della conoscenza

«I rapporti fino a ora pubblicati sono incoerenti», ammettono i ricercatori. “«Ad esempio, è stato riportato che gli organoidi cardiaci avevano tassi più elevati di proliferazione, o maturità potenziata, o entrambi, sulla ISS o in microgravità simulata». Man mano che vengono riportati più studi di ricerca dovrebbe esserci una convergenza di metodi che aiuterà nell’interpretazione degli effetti della microgravità su più tipi di cellule umane. Il prossimo passo, dicono gli scienziati autori dello studio, sarà concentrarsi sul morbo di Alzheimer. «Con ogni volo, stiamo espandendo gli esperimenti, includendo ulteriori linee cellulari, alcune con forme genetiche di malattie neurodegenerative, ulteriori tipi di cellule neuronali e metodi di analisi più sofisticati».

Quanto la microgravità influenza il nostro organismo?

Già da molti anni è noto il fenomeno per cui gli astronauti perdono tra l’1 e il 2% della densità ossea per ogni mese che trascorrono nello spazio; una ricerca della Università di Ottawa e dell’Ottawa Hospital Research Institute ha scoperto che il nostro sistema immunitario subisce un rapido indebolimento nello spazio, deficit che sparisce però a seguito del rientro a Terra; ciò è dovuto al fatto che nello spazio alcuni geni perdono la capacità di produrre alcune proteine e macromolecole (probabilmente per lo spostamento interno dei fluidi corporei) da cui ne consegue l’indebolimento del sistema immunitario.

L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha condotto ricerche rilevanti nel contesto spaziale. In particolare, il progetto PROMETEO dell’IIT ha studiato lo stress ossidativo, un fenomeno che può influenzare vari tessuti, inclusi muscoli e ossa, durante l’esposizione alla microgravità e alle radiazioni cosmiche. E recentemente uno studio coordinato dalla University of California ha dimostrato come l’esposizione prolungata alla microgravità causi un’alterazione anche al microbiota intestinale nei topi inviati nello spazio, a confronto con il gruppo di controllo sulla Terra.

Keypoints

  • Uno studio internazionale, con la partecipazione di due scienziati italiani, ha indagato l’influenza della microgravità sul sistema nervoso centrale utilizzando organoidi cerebrali coltivati sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS)
  • La microgravità promuove una maturazione neuronale accelerata, riducendo la proliferazione cellulare, senza però causare un invecchiamento delle cellule cerebrali
  • Gli organoidi sono stati creati a partire da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) derivate da pazienti con sclerosi multipla primaria progressiva e morbo di Parkinson, modellando rispettivamente neuroni corticali e dopaminergici
  • Le microglia, cellule immunitarie del sistema nervoso centrale, sono state incorporate negli organoidi per monitorare eventuali effetti immunologici della microgravità
  • Gli organoidi sono stati coltivati in crioviali, progettati per mantenere le cellule in condizioni stabili durante i 30 giorni in microgravità a bordo della ISS
  • Al ritorno sulla Terra, le analisi hanno mostrato livelli più elevati di geni associati alla maturità neuronale negli organoidi spaziali rispetto a quelli coltivati sulla Terra
  • Le conclusioni pongono le basi per ulteriori esperimenti, tra cui l’indagine sul morbo di Alzheimer, con metodi di analisi più avanzati e nuove linee cellulari

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