Novel food? Ai sensi della normativa europea, è tale qualsiasi alimento non consumato in modo rilevante prima del 1997. «Alimenti, cioè, che non hanno una storia di uso tradizionale prima del 15 maggio 1997» puntualizza Maria Daglia, Professoressa ordinaria di Chimica degli Alimenti al Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli.
Risale infatti a tale data il primo regolamento relativo all’immissione sul mercato comunitario di nuovi alimenti.
«Parliamo – spiega Daglia – di nuovi prodotti o nuovi ingredienti alimentari, per esempio nutrienti chimicamente modificati, per cui è necessaria la valutazione tossicologica della sicurezza; oppure prodotti che provengono da paesi terzi, dove hanno già una storia di uso consolidato, ma anche di alimenti ottenuti con nuove tecnologie e processi produttivi che fino al 1997 non erano ancora impiegati».
Sull’attuale quadro regolatorio europeo, Daglia ha fatto il punto nel corso del convegno “Integratori alimentari: analisi del mercato e prospettive di sviluppo” che si è svolto a Roma, il 4 luglio, alla Camera dei Deputati.
Novel food sulle nostre tavole
Dall’alga spirulina ai semi di chia, dall’olio di krill all’olio estratto da batteri e funghi, dal frutto del baobab al ribes del Capo: sono diverse le tipologie di Novel Food autorizzate in Europa e a cui si guarda anche come nuove opportunità per soddisfare in modo sostenibile i bisogni alimentari della popolazione mondiale. Si pensi, per esempio, alla carne coltivata in laboratorio.
Per essere immessi in commercio, i cosiddetti novel food devono essere sicuri per i consumatori, e il nuovo regolamento in materia, adottato a novembre 2015 ed entrato in vigore il 1 gennaio 2018, centralizza il processo di valutazione e autorizzazione.
Alla Commissione Europea spetta il compito di autorizzare i nuovi prodotti alimentari e, nell’ambito della procedura, l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, valuta i rischi per stabilirne la sicurezza prima della loro immissione in commercio. Per esempio, valuta la sicurezza dell’uso degli insetti in cucina come alternativa alle fonti tradizionali di proteine animali o di nanomateriali ingegnerizzati sotto forma di integratori alimentari.
«Lo spirito della normativa è tutelare la salute dei cittadini e delle cittadine, aspetto irrinunciabile non solo per il legislatore ma anche per gli operatori del settore alimentare che hanno la responsabilità legale dell’immissione in commercio di alimenti sicuri» spiega Daglia, ricordando anche l’ulteriore finalità del Regolamento novel food. «Garantire l’efficace funzionamento del mercato interno».
Nel corso dell’applicazione, continua la titolare della cattedra in Nutraceutica alla Federico II di Napoli, sono state però riscontrate alcune criticità.
«L’aggiornamento del Regolamento del 2015 ha riguardato prevalentemente gli alimenti provenienti dai paesi terzi, come l’uso degli insetti nell’alimentazione umana, e ha semplificato la procedura di autorizzazione di tali novel food. Ma oggi, con la rapida evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle metodologie usate per la caratterizzazione degli alimenti e la valutazione della sicurezza, queste leggi non sono più al passo coi tempi».
Una criticità riguarda l’«incongruenza tra alimenti provenienti da paesi terzi e alimenti europei». Per alimenti che hanno una storia sicura e comprovata di consumo in un paese extra UE, il regolamento prevede infatti una procedura agevolata per l’immissione sul mercato dell’Unione.
«In altre parole, alimenti tradizionali di paesi terzi per essere immessi in commercio devono avere almeno 25 anni di uso tradizionale. Invece, per la valutazione di un novel food made in Europa il riferimento è il 1997, per cui un nuovo alimento o un nuovo ingrediente deve avere un uso tradizionale superiore, ad oggi, ai 27 anni, l’anno prossimo sarà superiore ai 28 anni e così via. Un’altra difficoltà nell’applicazione della normativa novel food riguarda il fatto che gli ingredienti che si vogliono utilizzare all’interno di un integratore alimentare devono avere un uso tradizionale negli integratori antecedente al 1997, ma la normativa europea che norma gli integratori alimentari risale al 2002. Altra difficoltà riguarda le modalità con cui dimostrare l’uso tradizionale di un alimento. Il consumo tradizionale dell’alimento o dell’ingrediente deve essere provato da fatture e bolle di consegna all’interno del mercato europeo, che gli operatori del settore alimentare non hanno più nei loro archivi, in quanto tali documenti all’epoca erano cartacei dato che stiamo parlando di un periodo in cui l’informatizzazione non era ai livelli di oggi».
Verso un cambiamento della normativa
Da qui l’intento emerso nel corso del convegno di farsi promotori di proposte concrete per aggiornare la normativa. «L’Italia, che da sola copre quasi un terzo dell’intero mercato europeo degli integratori alimentari, può essere promotrice del cambiamento. Promuovendo anche la validazione di metodi in vitro per il cosiddetto Safety Assessment, come già regolamentato per i cosmetici: oggi la dimostrazione della sicurezza degli alimenti viene condotta tramite studi tossicologici su animali, molto costosi e difficili da realizzare anche dal punto di vista legislativo».
Parola chiave: sicurezza
Gli integratori non sono farmaci e, in quanto tali, non possono vantare proprietà terapeutiche: la Direttiva 2002/46 stabilisce esplicitamente il divieto di fare riferimento ad attività di prevenzione e cura di patologie umane e di attribuire effetti comparabili ai medicinali.
«Ai sensi della direttiva 2002/46, gli integratori sono alimenti. E, come qualsiasi alimento, devono essere sicuri. La proposta quindi di aggiornare la normativa sui novel food non è da intendersi come la ricerca di una scappatoia dalla dimostrazione di sicurezza, perché la sicurezza è irrinunciabile, ma è il tentativo di rendere una normativa che ormai ha 27 anni al passo con le nuove conoscenze scientifiche e la disponibilità di nuove metodologie analitiche» conclude Daglia che, al fine di un buon uso degli integratori alimentari, sottolinea l’importanza della formazione continua di farmacisti e operatori sanitari.
«L’integratore non è una panacea di tutti mali, contiene ingredienti di origine alimentare e non principi attivi di tipo farmaceutico, non cura ma può contribuire a mantenere l’omeostasi dell’organismo e va assunto, quando necessario, nel contesto di una dieta corretta ed equilibrata».