“Tre Cuori White/Black/Yellow” è tra le fotografie più iconiche di Oliviero Toscani: un’immagine anatomica di tre cuori umani realizzata per una campagna della Benetton, nel 1996. Ed è stato proprio il cuore del celebre fotografo a smettere di funzionare bene, a causa dell’amiloidosi. La diagnosi della malattia è arrivata due anni anni fa, come aveva raccontato lui stesso al Corriere della Sera. Questa mattina l’annuncio dei familiari: il fotografo è morto oggi, lunedì 13 gennaio, all’età di 82 anni.
Che cos’è l’amiloidosi
«In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo. E si muore. Non c’è cura». Così Oliviero Toscani aveva descritto l’amiloidosi. Non una, ma un gruppo di malattie, rare e invalidanti, caratterizzate da “proteine impazzite” che si accumulano nell’organismo.
Al momento sono note oltre trenta forme diverse di amiloidosi. Parliamo di patologie caratterizzate dall’accumulo dannoso di sostanza amiloide all’interno dell’organismo sotto forma di piccole fibrille: sono in pratica proteine che si comportano in maniera anomala e, accumulandosi, nel tempo compromettono irrimediabilmente la funzionalità di diversi organi e tessuti: cuore, reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici e occhi.
Il cuore è uno degli organi bersaglio in cui l’amiloide si deposita più frequentemente, dando luogo a una grave forma detta “amiloidosi cardiaca”.
«Non la definirei però incurabile – sottolinea il cardiologo Giuseppe Limongelli, direttore del Centro Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania -. Oggi abbiamo diverse terapie a disposizione, ma come ogni patologia ha diversi stadi e, purtroppo, se viene diagnosticata tardi anche le terapie disponibili non sono efficaci. È la diagnosi precoce a fare la differenza».
In altre parole, il successo terapeutico dipende dallo stadio in cui la malattia viene diagnosticata e trattata: quanto più precoce e tempestivo è l’inizio della terapia, tanto maggiore è la possibilità non soltanto di arrestare la progressione del danno d’organo, ma anche di migliorare la qualità di vita.
Quante persone soffrono di amiloidosi
«Attualmente – continua il cardiologo – non ci sono dati specifici per quanto riguarda la frequenza della malattia. Per la forma ematologica, l’amiloidosi AL, si stimano circa 600 nuovi casi l’anno, con un’incidenza di circa 15 casi per milioni di abitante. L’amiloidoisi da transtiretina nella forma genetica è considerata una forma molto rara, tranne in alcuni paesi (non l’Italia) in cui si riscontrano delle cosiddette mutazioni fondatrici del DNA che si disseminano nella popolazione e si arriva anche a un caso su mille abitanti. Più comune invece è l’amiloidosi da transtiretina wild-type: secondo uno studio condotto sui dati del registro della Regione Toscana e pubblicato nel 2023, la prevalenza è di circa 90 soggetti per milione».
«I casi diagnosticati si contano sulle dita di una mano. Ma tanti sono i casi sommersi che arrivano a diagnosi in età tardiva, nonostante oggi con le opportune conoscenze e gli opportuni strumenti informatici si potrebbe fare diagnosi molto prima» denuncia Gaetano Piccinocchi, membro della Giunta nazionale della Società Italiana di Medicina Generale e rappresentante SIMG al Comitato Nazionale Malattie Rare del Ministero della Salute
«Si consideri che il 10-15% degli scompensi cardiaci nascondono una amiloidosi» aggiunge Limongelli, sottolineando quello che secondo lui è il messaggio chiave: «se facciamo cultura e formazione su questa malattia, possiamo arrivare a un percorso di diagnosi più accelerato e a terapie che, se fatte precocemente, possono evitare un percorso nefasto».
Percorsi formativi per i MMG per arrivare prima alla diagnosi
Il riconoscimento tempestivo della malattia e la definizione accurata del tipo di amiloidosi sono dunque fondamentali per instaurare un corretto percorso clinico e terapeutico. «Ma poiché la proteina si deposita in vari organi, il corteo sintomatologico è variegato, e molto spesso il medico interpreta i sintomi iniziali come una patologia del singolo organo» commenta Piccinocchi. «E così si arriva tardi alla diagnosi».
La diagnosi di amiloidosi è eseguita nei Centri specialistici di riferimento e si basa su osservazione clinica, valutazione di biomarcatori di danno d’organo, individuazione e caratterizzazione delle fibrille di amiloide, indagini di imaging, prelievi bioptici di tessuti e analisi genetica, se è necessario identificare l’eventuale gene mutato.
Anche se «la diagnosi è delegata a strutture specializzate di terzo livello, è fondamentale il sospetto diagnostico che arriva dalla medicina territoriale»: in altre parole, spiega il referente SIMG, «il medico del territorio al sospetto di patologia dovrebbe inviare tempestivamente il paziente alle strutture specialistiche. Oggi però manca la cultura del sospetto diagnostico. Per questo abbiamo avviato percorsi formativi per i Medici di Medicina Generale e progetti di interlocuzione tra i MMG aderenti alla SIMG e i centri di riferimento per le amiloidosi».
Amiloidosi cardiaca
«L’amiloidosi cardiaca è una delle patologie emergenti dell’anziano – prosegue Limongelli – ma è sotto- diagnosticata e soprattutto diagnosticata tardivamente». Per questo è fondamentale promuovere la conoscenza dei potenziali campanelli d’allarme e il dialogo con i centri di riferimento, ed è imprescindibile il coinvolgimento del medico di medicina generale (MMG).
«Un medico attento e opportunamente formato – spiega – è in grado di porre domande specifiche sulle sintomatologie che possono essere correlate all’amiloidosi. Ancora meglio se dispone di un database organizzato, attraverso il quale può facilmente rendersi conto di altri potenziali sintomi (magari un’ipertrofia già diagnosticata, o un intervento per tunnel carpale)».
In questo modo, anziché indirizzare il paziente verso un ambulatorio generico, può contattare direttamente il Centro di coordinamento regionale malattie rare oppure il Centro di riferimento per l’amiloidosi della regione, guadagnando tempo prezioso. «Per questo motivo sostengo fortemente la necessità di spostare l’attenzione sulla medicina di base, informandola e formandola sul mondo delle malattie rare e delle malattie rare dell’adulto, di cui l’amiloidosi rappresenta oggi una delle più frequenti. E per questo lavoriamo in stretta sinergia con la Società Italiana Medici di Medicina Generale».
Attenzione, per esempio ai pazienti scompensati che presentano anche la sindrome del tunnel carpale, patologia articolare alle mani. «Queste due condizioni, se associate, danno alto indice di probabilità di amiloidosi cardiaca» continua Piccinocchi. «Per questo noi stiamo estraendo dai nostri database tutti qui pazienti che presentano nelle loro cartelle cliniche la concomitanza di queste due patologie per invitarli al centro di riferimento per l’amiloidosi della Campania».
Terapie e trial clinici in corso
Il quadro clinico e il decorso della malattia non è uguale per tutte le forme di amiloidosi. Così come il trattamento dipende dal tipo di proteina impazzita che si accumula nell’organismo, per cui anche dal punto di vista terapeutico le amiloidosi sono un gruppo eterogeneo. «Le prospettive di trattamento però ci sono» spiega Limongelli. «Stanno migliorando nel corso degli anni e nuove speranze riponiamo nei trial clinici in corso». Di fatto, il cardiologo spiega che per le principali forme di amiloidosi oggi abbiamo terapie specifiche che possono preservare la qualità di vita dei pazienti.
Per l’amiloidosi AL, per esempio, che è la più comune forma sistemica, non ereditaria, che colpisce spesso il cuore, ma può coinvolgere anche altri tessuti e organi nello stesso paziente (reni, fegato, sistema nervoso periferico), il trattamento si fonda sulla chemioterapia per eradicare le cellule che causano la malattia. Ma più recentemente si può fare ricorso all’immunoterapia con anticorpi monoclonali, diretti specificamente contro queste cellule. «Queste nuove terapie immunologiche biologiche riescono, in alcuni casi, a portare anche alla remissione della patologia. Mentre per l’amiloidosi legata alla transtiretina, sia ereditaria sia acquisita, abbiamo terapie sempre più precise che colpiscono l’RNA: ci sono trial in corso di anticorpi monoclonali che puntano a demolire il tessuto amiloide» puntualizza Limongelli.
La sfida è quindi rendere più tempestiva la diagnosi.
«Perché – come aggiunge Piccinocchi – è vero che alcune forme di amiloidosi possono già trovare beneficio nelle immunpoterpaie con anticorpi monoclonali, che impediscono quasi totalmente il deposito delle proteine a livello degli organi periferici in modo che non sviluppino alcun danno o solo in modo molto lieve e lento. Questo, però, vale solo se i pazienti sono trattati precocemente. Se il deposito di proteina anomala si potrae negli anni, infatti, il danno tissutale è irreparabile. Invece, se la diagnosi è precoce, con queste terapie innovative si riesce a ritardare e a rallentare moltissimo il deposito e i relativi danni, con una lunga prognosi per i pazienti».
Aggiunge inoltre Limongelli: «se passano tanti anni tra la comparsa della patologia e la diagnosi, il paziente arriva che è più avanti con l’età, potrebbe sviluppare anche delle comorbilità, diventare un paziente fragile e avere meno probabilità di rispondere ai farmaci».
Il primo PDTA per l’amiloidosi cardiaca
A fine 2024, la Rete Italiana dell’Amiloidosi Cardiaca ha presentato il primo PDTA nazionale per i pazienti con questa malattia.
«La Rete è nata dalla collaborazione tra Società Italiana di Cardiologia e l’Associazione nazionale di medici cardiologi ospedalieri. Facendo gioco di squadra, abbiamo messo insieme una rete di centri di expertise su questa patologia, evidenziato una serie di prospettive future per migliorare la diagnosi e la cura e abbiamo costruito un documento nazionale che possa servire da modello per le regioni, affinché ciascuna costruisca il proprio PDTA». Come spiega Limongelli, si tratta di uno strumento per promuovere appropriatezza, buone pratiche cliniche ed equità nel trattamento dei pazienti.
E proprio insieme ai pazienti, nonché ai clinici e alle istituzioni, le società scientifiche hanno lavorato al Position Paper dei bisogni non risposti dei pazienti. Un documento che avanza sette istanze per tutelare le persone con malattie rare e complesse come l’amiloidosi.
Queste in sintesi: migliorare i tempi di diagnosi dell’amiloidosi; coinvolgere i medici di medicina di base nel percorso di diagnosi precoce; garantire ai pazienti un equo accesso ai percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali; garantire ai pazienti fragili una presa in carico olistica; garantire ai pazienti e ai loro caregiver il supporto psicologico; continuare a fare awareness sull’amiloidosi; creare normativa sull’ageismo, con particolare riferimento alle malattie rare.
«Il Position Paper è stato realizzato in collaborazione con Osservatorio Malattie Rare (OMaR) e nasce dal diritto di ogni paziente con una patologia cronica e/o rara a una diagnosi precoce, perché l’odissea diagnostica è una realtà molto dolorosa, e dalla consapevolezza che l’amiloidosi è una patologia beffarda» spiega Limongelli. Si può presentare con una miriade di segni e sintomi «che possono essere aspecifici e possono mimare una serie di condizioni comuni, tali per cui molto spesso i pazienti si ritrovano a girare da uno specialista all’altro senza un clou finale. E quando si perde molto tempo, spesso purtroppo si arriva tardi. Come è successo ad Oliviero Toscani che, nato il 28 febbraio, giornata mondiale delle malattie rare, è morto proprio per una malattia rara».
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