Non si torna più indietro. Un’innovazione unica nell’ambito di interventi mininvasivi e dispositivi miniaturizzati. Il pacemaker leadless è progettato per migliorare la vita delle persone che ne abbiano bisogno, ampliando le possibilità di intervento senza incorrere in pericolo di vita da parte del paziente. Il dispositivo salvavita regola il battito del cuore agendo su entrambe le camere cardiache ed è impiantabile attraverso un intervento semplice e mininvasivo
La progressiva crescita sia dell’aspettativa di vita che delle patologie croniche hanno determinato, nel tempo, l’aumento delle aritmie cardiache, considerate una delle cause più frequenti di mortalità. Secondo la European Society of Cardiology, un terzo della popolazione mondiale potrebbe sviluppare aritmie cardiache. Ne hanno parlato Claudio Tondo, Direttore del Dipartimento di Aritmologia, Centro Cardiologico Monzino IRCCS di Milano e Professore Associato del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche, Università Degli Studi di Milano, Antonio Curnis, Responsabile del Laboratorio di Elettrofisiologia ed elettrostimolazione, Spedali Civili di Brescia, Stefano Guarracini, Primario della Cardiologia e Responsabile Emodinamica, Clinica Pierangeli di Pescara, Marcello Mestriner, Country Manager Cardiac Rhythm Management di Abbott Italia.
Facile da applicare, facile da recuperare.
Generalmente, la procedura chirurgica per impiantare un pacemaker tradizionale prevede un’anestesia locale tale da permettere l’inserimento di elettrocateteri realizzati con fili metallici di 60 centimetri, che passano per una grossa vena, e un’incisione sottocutanea per posizionare il generatore computerizzato.
Il pacemaker bicamerale leadless, piccolo quasi come una batteria AAA, viene invece inserito direttamente nel ventricolo e nell’atrio destro del cuore passando attraverso la vena femorale e senza ricorrere a incisioni o tagli. Il tutto in anestesia locale. Nessuna cicatrice e nessuna complicanza post-operatorie. Per Curnis questo strumento è pensato per essere facile da recuperare in caso di sostituzione o nel caso fosse necessario modificare la terapia di un paziente. «L’assenza di fili garantisce il minor rischio di malfunzionamenti per danni ai cavi», spiega. «Non è eterno, ma ha una batteria a lunga durata può assicurare un utilizzo di 5-6 anni, di molto superiore quindi a quelli standard».
Sincronizzati e programmabili.
«Questi strumenti sono dotati di accelerometri», prosegue Curnis. «Se il paziente ha di base una frequenza di 30 battiti al minuto, inizia a camminare ea muoversi, il device ha un generometro che sente l’attività fisica del paziente e si adatta alle sue esigenze: accelera quando la persona si muove e torna alla frequenza di base quando si ferma. Si attaglia come un vestito, caso per caso. E una volta impiantati possiamo pure interrogarli e programmarli dall’esterno senza nessun problema».
Aggiunge Tondo, del Monzino, primo centro italiano, e tra i pochi al mondo a impiantare questo innovativo device: «Tutto ciò consente di allargare le indicazioni, e dunque il numero di pazienti che può fruire dei pacemaker senza fili, una delle più grandi innovazioni nella cura nel mondo dei pacemaker degli ultimi dieci anni».
La tecnologia “implant to implant”
Permette ai dispositivi atriali e ventricolari di comunicare tra loro per fornire una stimolazione cardiaca sincronizzata o coordinata in base alle esigenze cliniche del paziente. Le trasmissioni avvengono attraverso impulsi sotto-soglia bassa energia, che si avvalgono della natura conduttiva del corpo. Vengono inoltre emessi impulsi di dati in concomitanza ad ogni evento stimolato o rilevato, senza che vi sia alcun impatto sulla stimolazione.