Negli Usa si parla di screening mammografico a 40 anni. E in Italia?

Negli Usa si parla di screening mammografico a 40 anni. E in Italia?

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Michela Moretti

Perché ne stiamo parlando
Il carcinoma mammario resta il tumore più frequente tra le donne; oltreoceano consigliano di iniziare lo screening a 40 anni, ma nel nostro Paese i dati suggeriscono che non serve. Si ragioni invece su disuguaglianze regionali, e modelli uniformi per la prevenzione, sostiene la ginecologa Elsa Viora.

Lo screening mammografico già a partire dai 40 anni. È quanto suggerisce, negli Stati Uniti, l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG). Una raccomandazione motivata dall’aumento dei casi di carcinoma invasivo tra le donne di età compresa tra i 40 e i 49 anni, con un incremento medio annuo del 2% tra il 2015 e il 2019. Una decisione che andrebbe considerata anche in Italia? Secondo Elsa Viora, past-president dell’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), i dati sul carcinoma mammario nel nostro Paese forniscono indicazioni diverse.

Dati epidemiologici in Italia: un quadro diverso

«In Italia, le proiezioni sul carcinoma mammario indicano un aumento moderato dello 0,2% all’anno», spiega la dottoressa Viora. «Questa patologia continua a essere il tumore più frequente nelle donne, rappresentando circa il 30% di tutte le diagnosi oncologiche femminili. Tuttavia, la situazione italiana è diversa rispetto agli Stati Uniti: i dati non suggeriscono la necessità di anticipare l’età dello screening a 40 anni».

La mortalità per carcinoma mammario in Italia è in costante calo, con una riduzione dello 0,8% annuo. Questo miglioramento è attribuibile principalmente a due fattori: la maggiore diffusione dello screening mammografico, che permette di diagnosticare la malattia in stadi più precoci, e i progressi terapeutici, come spiega la nota ginecologa. «Dal 2007 al 2019, abbiamo registrato una riduzione del 6% nelle morti oncologiche per carcinoma mammario, un dato che evidenzia l’efficacia dei programmi di screening», sottolinea.

Mammografia: efficacia e limiti

«Ricordiamoci poi che la mammografia non è priva di rischi e limiti», ricorda Elsa Viora. «Si tratta di un’indagine che utilizza radiazioni, quindi va eseguita con giudizio. Questo è il motivo per cui si è scelto un intervallo di due anni tra un controllo e l’altro: un monitoraggio annuale comporterebbe un rischio maggiore per la salute legato alle radiazioni, rispetto ai pochi casi diagnosticabili in più».

Alternative come l’ecografia e la risonanza magnetica sono limitate. «L’ecografia non ha la stessa efficacia della mammografia ed è utilizzata solo come test di secondo livello. La risonanza magnetica, sebbene più efficace, è troppo costosa e complessa per essere applicata su vasta scala come strumento di screening», specifica.

Inoltre, va considerato il rischio di sovradiagnosi. «Lo screening può portare a trattamenti invasivi non necessari, con un impatto negativo sulla qualità di vita. È per questo che ogni decisione deve essere basata su dati epidemiologici solidi e aggiornati».

Le sfide del sistema italiano

Nonostante i risultati positivi, il sistema di screening mammografico in Italia presenta alcune criticità. «Una delle principali sfide è la frammentazione dovuta all’organizzazione sanitaria regionale», afferma la ginecologa. «Ogni Regione ha autonomia nella gestione del programma di screening, il che porta a differenze significative: alcune regioni iniziano a 45 anni su richiesta della donna, altre mantengono l’inizio ufficiale a 50 anni, mentre alcune estendono lo screening fino ai 75 anni su base volontaria».

Questa autonomia regionale può creare disuguaglianze nell’accesso? «È essenziale che tutte le donne abbiano la possibilità di accedere ai programmi di screening, indipendentemente dalla regione in cui vivono. Al momento, il ministero della Salute può fornire linee guida, ma l’attuazione dipende dai decreti delle singole Regioni», aggiunge la dottoressa Viora.

Altra questione è poi l’adesione ai programmi di screening. «Anche nelle Regioni dove esiste un programma strutturato, non tutte le donne partecipano. È fondamentale sensibilizzarle, soprattutto nelle aree con bassa partecipazione. Campagne di informazione ben mirate possono fare la differenza», sottolinea.

Il futuro: nuove tecnologie e intelligenza artificiale

Sebbene non ci siano strumenti diagnostici innovativi, a parte quelli citati, l’intelligenza artificiale (IA) può indirizzare ad una diagnosi più precisa. «L’IA sta entrando in vari ambiti della radiologia e potrebbe migliorare sensibilità e specificità della mammografia», afferma Elsa Viora. «Siamo ancora in una fase di ricerca, ma ci possiamo aspettare che a breve l’IA contribuisca a migliorare le performance diagnostiche, rendendo lo screening ancora più efficace».

Lavorare su educazione sanitaria

«La prevenzione è fondamentale», conclude Viora. «Invito tutte le donne a partecipare ai programmi di screening mammografico. Una diagnosi precoce può fare la differenza e salvare vite. Grazie ai progressi della medicina, oggi abbiamo strumenti sempre più efficaci per affrontare il carcinoma mammario. Ma è essenziale continuare a lavorare sull’educazione sanitaria e sull’equità nell’accesso ai servizi».

Keypoints

  • Negli USA, l’ACOG raccomanda di iniziare lo screening mammografico a 40 anni, a causa dell’aumento del 2% annuo dei casi di carcinoma invasivo nelle donne tra i 40 e i 49 anni
  • In Italia, i dati indicano un incremento moderato dello 0,2% nei nuovi casi e un calo della mortalità dello 0,8% annuo, attribuibile a screening e progressi terapeutici
  • La mammografia in Italia è efficace, ma non priva di limiti: utilizza radiazioni e può comportare rischi di sovradiagnosi e trattamenti invasivi non necessari
  • Il sistema sanitario frammentato crea disuguaglianze regionali nell’accesso allo screening, con differenze nell’età di inizio e nei criteri di partecipazione
  • L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità promettente per migliorare sensibilità e specificità dello screening mammografico, ma è ancora in fase di ricerca
  • La prevenzione resta fondamentale: occorre sensibilizzare le donne e garantire l’accesso uniforme ai programmi di screening per ridurre ulteriormente la mortalità e migliorare la qualità della vita

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