Terapie geniche per malattie cardiologiche rare: la missione di Silvia Priori

Terapie geniche per malattie cardiologiche rare: la missione di Silvia Priori

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Simona Regina

Perché ne stiamo parlando
Silvia G. Priori è la nostra innovatrice del mese e, in occasione della Giornata delle Malattie Rare, racconta il suo impegno per trasformare la ricerca  in terapie innovative per la sindrome del QT lungo di tipo 8 e la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa.

È necessario un cambio di paradigma che permetta di tradurre i risultati della ricerca scientifica in terapie per le malattie rare, portandole dai laboratori ai trial clinici. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale incentivare le aziende farmaceutiche a valorizzare i risultati della ricerca e incoraggiare chi fa ricerca a non fermarsi alla sola pubblicazione scientifica. «Perché il nostro lavoro può fare la differenza nella vita delle persone».

Ne è convinta Silvia G. Priori, professoressa di cardiologia all’Università di Pavia e direttrice dell’Unità di cardiologia molecolare dell’IRCCS Maugeri di Pavia, nostra innovatrice del mese.

Priori è esperta di malattie cardiologiche rare: ha identificato diversi geni che causano malattie che portano all’arresto cardiaco. Al centro dei suoi studi, le irregolarità del battito che possono provocare morte improvvisa. E l’Unità di cardiologia molecolare, che ha fondato e dirige, è un centro di riferimento dove, da oltre vent’anni, coniuga ricerca di base e clinica. La sua missione è riuscire a garantire un futuro ai pazienti attualmente senza cure.

In particolare, Priori studia la sindrome del QT lungo di tipo 8, che purtroppo nega il futuro ai bambini e alle bambine che ne sono affetti, e la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa, che colpisce gli adolescenti portandoli, nei casi più gravi, all’arresto cardiaco durante l’attività sportiva o quando provano forti emozioni.

L’abbiamo incontrata per fare il punto su queste patologie cardiache rare e sulle ricerche che sta conducendo.

Partiamo dalla sindrome del QT lungo di tipo 8, professoressa che cos’è?

«È una malattia genetica, trasmissibile dai genitori ai figli, nota anche come sindrome di Timothy. I pazienti presentano l’intervallo QT – che è un intervallo dell’elettrocardiogramma – più lungo del normale. Questa alterata attività elettrica del cuore genera una predisposizione ad aritmie gravi che possono causare un arresto cardiaco. In questo caso, il cuore non riesce più a garantire la funzione circolatoria e a mandare dunque sangue ossigenato a tutti gli organi che ne hanno bisogno. Di conseguenza il paziente rischia di morire se non viene prontamente defibrillato. Parliamo di una malattia congenita molto grave che, purtroppo, non permette di superare la prima infanzia. I bimbi che ne sono affetti sopravvivono in media 2-3 anni, poi un arresto cardiaco causa il decesso».  

Qual è la “tempesta perfetta” che scatena le aritmie?

«Di solito nelle sindromi del QT lungo le aritmie sono innescate da stress emotivo e attività fisica, ma per questa forma più grave non è ancora chiaro quale sia il fattore specifico scatenante.  Una manifestazione che potrebbe suggerire la presenza di malattia è la sindattilia. Allora, ai neonati che nascono con questa patologia, ovvero con le dita delle mani attaccate, andrebbe eseguito un’elettrocardiogramma per escludere la presenza di un intervallo QT prolungato potenzialmente associato alla sindrome».

In caso di diagnosi, ci sono terapie?

«Questo è il problema: terapie utili, efficaci, per salvare questi bambini non ci sono. I piccoli pazienti non rispondono alla terapia cui si ricorre per trattare le altre varianti della sindrome del QT lungo e prevenire le aritmie pericolose, ovvero i betabloccanti».

E allora parliamo di ricerca traslazionale in questo ambito: cosa si sta facendo per cambiare la storia di questa malattia e assicurare un futuro ai piccoli pazienti?

«Questo è il nostro obiettivo e da anni lavoriamo per mettere a punto una terapia. Ma a tal proposito, mi preme innanzitutto lanciare un messaggio: raro o troppo raro non significa poco importante. Come evidenziato dall’articolo di Nature BioTechnology dal titolo “A call to arms against ultra-rare deseases”, è importante fare emergere la problematica etica legata allo sviluppo e alla produzione di terapie geniche per le patologie rare. Difficilmente infatti le grandi aziende farmaceutiche si interessano alla produzione di farmaci per la cura di queste malattie, a causa del limitato numero di pazienti affetti e degli elevati costi di produzione. Ma il costo sociale dell’ospedalizzazione o della morte di una persona giovane è di gran lunga maggiore. Serve dunque un cambio di paradigma, che possa incentivare e sostenere il mondo delle pharma e delle aziende biotech a investire anche in questo ambito, in particolare perché a volte con una singola somministrazione del farmaco siamo in grado potenzialmente di proteggere il soggetto per tutta la vita».

Lei, con il suo team, ha sviluppato una terapia genica per la sindrome QT lungo di tipo 8.

«Sì. Nell’ambito di un finanziamento dell’European Research Council (Erc), ottenuto nel 2015, abbiamo sviluppato il primo modello suino della sindrome QT lungo di tipo 8 che ci ha permesso di indagare la malattia, capire il meccanismo e sviluppare una terapia genica per contrastarlo. 

Il maiale è l’animale da esperimento che ha il cuore più simile al cuore umano, tanto che ci sono diversi gruppi di ricerca che lavorano per modificare il sistema immunitario dell’animale in modo che il cuore suino possa diventare un giorno trapiantabile senza rischio di rigetto, risolvendo la carenza di organi per i trapianti.  Ebbene, per cambiare il corso della prognosi dei bambini con sindrome QT lungo di tipo 8, la nostra terapia si basa sull’Rna». 

Ce la illustra?

«In biologia esiste un meccanismo che si chiama interferenza dell’Rna che riesce a sopprimere la trascrizione, cioè la produzione, della proteina malata. Nel nostro caso, quella che non permette al canale che porta il calcio all’interno del cuore di chiudersi in tempi fisiologici, con conseguente sovraccarico di calcio nel cuore, che poi determina l’aritmia. 

In laboratorio, la dottoressa Rossana Bongianino è riuscita a identificare la molecola che è in grado di silenziare solo la produzione della proteina mutata preservando il normale livello della proteina funzionante. E abbiamo quindi messo a punto la terapia per testarla nei modelli animali. La terapia viene veicolata da virus resi innocui, cioè incapaci di riprodursi: una volta entrati nelle cellule cardiache iniettano nel nucleo la molecola terapeutica. 

I risultati sono stati sorprendenti. Siamo riusciti a normalizzare l’elettrocardiogramma e eliminare le aritmie. Ora il desiderio è proseguire il percorso per portare in clinica la cura di questa malattia».

E qui entrano in gioco le aziende biotech e farmaceutiche. 

«Esattamente. Per far arrivare al paziente una terapia è fondamentale che un’azienda scelga di investire nel prodotto per portarlo alla sperimentazione clinica. Ma quando la popolazione di pazienti è molto ridotta, è difficile trovare sponsor, quindi biotech company o aziende farmaceutiche, che vogliano prendere in carico una terapia per malattie rare e ultrarare, perché a fronte di grandi investimenti i ritorni sono ridotti. Stiamo quindi cercando di fare gioco di squadra con altri gruppi di ricerca impegnati nell’identificazione di terapie per malattie molto rare che si basano sull’interferenza di Rna per spegnere i geni patologici. Per esempio, con i finanziamenti Pnrr, in Italia è nato un consorzio che unisce oltre venti università impegnate su questo fronte, per favorire la nascita e la crescita di iniziative imprenditoriali per valorizzare i risultati della ricerca. Questa partnership è importante per cercare di sviluppare farmaci all’avanguardia e, quindi, anche far diventare realtà la nostra terapia». 

Professoressa, lei lavora anche sul fronte della tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa: che cos’è?

«È una malattia congenita rara, che si stima abbia una prevalenza di un soggetto ogni 10.000, e si manifesta nell’adolescenza intorno ai 12-14 anni con aritmie ventricolari maligne scatenate dall’attività fisica o da forti emozioni. Anche in questo caso, un canale alterato (chiamato RyR2) non riesce più a preservare il corretto flusso di ioni calcio nella cellula cardiaca, creando un sovraccarico che genera aritmie che possono portare a un arresto cardiaco fatale.

In questo caso la strategia terapeutica che abbiamo sviluppato si basa sulla over espressione della proteina calsequestrina (CASQ2), che ha il ruolo di mantenere il canale RyR2 chiuso. E in effetti, aumentando il livello di questa proteina, abbiamo riscontrato negli studi preclinici un effetto benefico, riuscendo a evitare l’insorgenza di aritmie maligne. Anche in questo caso utilizziamo un gruppo di virus resi innocui per veicolare nella cellula cardiaca il Dna che permette di produrre più calsequestrina». 

Anche questa terapia è ancora ferma al bancone del laboratorio?

«In questo caso abbiamo una buona notizia. Questa terapia, la prima terapia genica per la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa, è stata recentemente acquisita da un’azienda biotech statunitense che ad agosto 2025 inizierà il primo trial clinico, in Usa. Questa è una storia di traslazione positiva che ci fa ben sperare di raggiungere lo stesso risultato anche per la sindrome del QT lungo di tipo 8».

Professoressa, che fare per innescare il necessario cambio di paradigma al fine di consentire alle terapie innovative per le malattie rare di approdare dai laboratori di ricerca ai trial clinici e quindi arrivare ai pazienti?

«Proprio in queste settimane sono usciti dati relativi a terapie geniche per altre malattie cardiache che sono molto incoraggianti sul fronte della sicurezza e questo probabilmente accelererà l’entrata in clinica dei prodotti che nei prossimi anni verranno scoperti. Le terapie geniche e cellulari stanno diventando il nuovo orizzonte terapeutico, ma cominciamo ora a muovere i primi passi. In futuro, quindi, è plausibile sperare che si procederà più velocemente.

In merito alla difficoltà di portare in clinica terapie per le malattie molto rare, è importante ribadire che anche le malattie rare, e le malattie cardiologiche rare, meritano l’attenzione del mondo della ricerca e di quello farmaceutico e che quindi è importante investire anche in questo ambito. Perché è evidente che le aziende debbano avere un ritorno sull’investimento fatto. Ma è drammatico pensare che i pazienti con malattie così gravi non riescano a vedere arrivare in clinica, in tempi ragionevoli, trattamenti per loro salvavita. Detto questo, però, è necessario promuovere anche un cambiamento di mentalità in chi fa ricerca. Non bisogna cioè puntare solo alla pubblicazione scientifica, anche se dalla pubblicazione non si può prescindere per la carriera accademica. Ma è fondamentale guardare oltre: brevettare cioè la propria scoperta, in modo da tutelarne la proprietà intellettuale e renderla cedibile a un’azienda affinché possa svilupparla.

Il brevetto è fondamentale per percorrere le vie che portano alla traslazione clinica e contribuire così, con le nostre conoscenze, a produrre ciò che serve effettivamente alle persone, ai malati. Inoltre, è importante anche coinvolgere i pazienti in questo percorso, incentivandoli a partecipare alle sperimentazioni cliniche, che sono uno step necessario per rendere disponibile una nuova terapia».

Keypoints

  • Silvia G. Priori è esperta di malattie cardiologiche rare e dirige l’Unità di cardiologia molecolare dell’IRCCS Maugeri
  • La sua ricerca si concentra sulle aritmie genetiche che causano arresto cardiaco e morte improvvisa
  • Studia la sindrome del QT lungo di tipo 8, una grave patologia infantile senza cure efficaci
  • Ha sviluppato una terapia genica basata sull’RNA per normalizzare l’attività cardiaca
  • Un’altra sua ricerca riguarda la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa negli adolescenti
  • La terapia genica per questa malattia è stata acquisita da un’azienda biotech e inizierà i trial clinici nel 2025
  • Priori sottolinea la necessità di incentivare le aziende farmaceutiche a investire nelle malattie rare
  • A marzo riceverà il Valentin Fuster Award dell’American College of Cardiology per il suo contributo all’innovazione scientifica

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