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Sperimentazione animale, i paradossi italiani che frenano la ricerca

Perché ne stiamo parlando
Nel nostro paese discutere di sperimentazione animale è difficile. Troppi i pregiudizi per riuscire ad affrontare l’argomento con la giusta lucidità. Ne parliamo con Giuliano Grignaschi, responsabile degli stabulari dell’Università di Milano, e Gianni Sava, ordinario all’Università di Trieste e membro SIF.

Sperimentazione animale, i paradossi italiani che frenano la ricerca
Immagine generata utilizzando l'intelligenza artificiale

Fare sperimentazione animale in Italia è più complicato che altrove. Quando 13 anni fa il nostro Paese ha recepito la direttiva europea dedicata alla tutela degli animali per scopi scientifici, sono state infatti aggiunte nuove e più pesanti restrizioni. Di tutti i 26 paesi europei che hanno recepito la direttiva europea in modo integrale, l’Italia è l’unico ad averla di fatto stravolta, per certi versi estremizzandola.

Oggi i ricercatori italiani sono costretti a navigare a vista e a districarsi in un’intricata maglia di regole contraddittorie, proroghe, moratorie che non hanno eguali in Europa e nel resto del mondo. Un esempio lampante su tutti: nel nostro paese sono vietati gli allevamenti di alcune specie di animali destinate alla ricerca biomedica – cani, gatti e primati non umani – per motivi etici. Ma è comunque permesso il loro utilizzo. Questo significa che gli animali devono essere acquistati da allevamenti esteri e poi importati in Italia. Un paradosso all’italiana, che ci porta quindi a importare dall’estero animali necessari affinché un vaccino, ad esempio, venga approvato e utilizzato. “Così succede che compriamo animali, come i primati non umani dalla Cina o dal Madagascar, e senza i quali ad esempio non possiamo sviluppare vaccini per l’uomo”, sottolinea Giuliano Grignaschi, Responsabile del Benessere Animale e degli stabulari dell’Università di Milano, nonché portavoce della piattaforma multistakeholder Research4Life che si occupa di divulgazione nell’ambito della sperimentazione animale. “Eppure, non avremmo avuto un vaccino anti-Covid senza la possibilità di poterli testare prima sulle scimmie”, aggiunge.

Il costo salato e amaro dell’acquisto di animali all’estero

Vietare dunque gli allevamenti in Italia non significa rinunciare agli animali per la ricerca biomedica, ma solo essere costretti a comprare le cavie necessarie all’estero. “Una scelta che ha un costo economico elevato e che ci rende anche fortemente dipendenti da economie poco democratiche”, sottolinea lo scienziato. “Richiede inoltre tempi più lunghi per la ricerca e questo spinge i nostri ricercatori ad andarsene dall’Italia per lavorare in paesi in cui le regole sono meno contorte e più favorevoli alla scienza“, aggiunge. A pensarci bene, l’importazione degli animali da aree diverse da quelle in cui verranno poi impiegati pone problemi di svariata varia natura. “Innanzitutto, in termini di benessere, perché significa imporre agli animali viaggi più o meno lunghi e stressanti, ma anche la necessità di abituarsi a un nuovo ambiente, alla nuova routine del laboratorio”, spiega Grignaschi. “Inoltre, non avere allevamenti ‘in casa’ rende necessariamente più difficile il controllo sull’allevamento: nell’Unione Europea devono essere rispettati criteri ben definiti che garantiscano la salute e il benessere dell’animale, ma le norme possono ovviamente essere molto diverse in altri paesi del mondo, come ad esempio la Cina”, aggiunge. In particolare, i primati non hanno bisogno solo di un ambiente fisico idoneo, con spazi, cibo e acqua adeguati, ma anche di un ambiente sociale di qualità. Per questa ragione, per esempio, non è ammesso che siano separati, se non in casi particolari, ma devono poter vivere almeno in coppie. In secondo luogo, l’importazione dei primati rischia di alimentare il mercato illegale, con esemplari prelevati in natura e usati come riproduttori, o semplicemente dotati di documentazione falsa per l’esportazione. Tutti questi elementi possono ripercuotersi sulla ricerca perché un animale stressato e sofferente risponderà ai test in modo diverso da un animale in buono stato psico-fisico,  soprattutto per alcuni tipi di studi.

In Italia prevista doppia approvazione, un meccanismo farraginoso

Lo stesso decreto legislativo (4 marzo 2014, n. 26), che rappresenta il recepimento italiano della direttiva europea 2010/63/EU, dedicata alla tutela degli animali impiegati a scopi scientifici e che vieta gli allevamenti di animali a scopi di ricerca, ha introdotto un ulteriore passaggio farraginoso previsto solo in Italia. Si tratta dell’ennesimo problema che rallenta la ricerca italiana e che può essere anche causa di perdite di opportunità, ad esempio nella partecipazione a bandi europei o internazionale. “Nell’Unione Europea quando un ricercatore decide di fare un esperimento con gli animali deve avere una validazione da parte di un comitato etico” – spiega Gianni Sava, professore ordinario all’Università di Trieste ed esponente della Società italiana di farmacologia – “il comitato etico richiede certe informazioni, ad esempio: a cosa servono gli animali, se per l’esperimento l’animale per cui si fa richiesta è quello a più basso contenuto neurologico utile per ottenere i risultati che si vogliono ottenere, ecc. In Italia – continua – l’approvazione del comitato etico da sola non basta. Nel nostro paese è necessaria anche l’approvazione del Ministero della Salute, che prende in esame il protocollo finale validato dal comitato etico e dà una risposta. Peccato che questa risposta possa arrivare anche dopo sei mesi o più. Troppo tempo quindi, con il rischio concreto di perdere l’opportunità di partecipare a importanti bandi internazionali”.

La spada di Damocle sulla ricerca animale relativa agli xenotrapianti e sostanze d’abuso

Da quando è stato approvato il decreto legislativo sulla tutela degli animali impiegati a scopi scientifici, alcuni gruppi di ricerca stanno lavorando a progetti che hanno di fatto i giorni contati. Sono quelli che prevedono l’impiego dei modelli animali in studi dedicati agli xenotrapianti d’organo e alle sostanze d’abuso, per cui la legge italiana vieta l’utilizzo di animali. Di tutti i 26 paesi europei che hanno recepito la direttiva europea in modo integrale, l’Italia è l’unico ad averla di fatto stravolta, per certi versi estremizzandola. L’applicazione dei divieti sull’uso di animale per gli studi su xenotrapianti e sostanze d’abuso è stata differita con cadenze spesso annuali dal 2014. L’ultima proroga, inserita nel cosiddetto decreto “Milleproroghe”, allunga la moratoria del divieto fino all’1 luglio 2025. “Una nuova spada di Damocle sulla testa dei ricercatori, specialmente quelli impegnati in progetti di ricerca pluriennali, i quali lavorano non sapendo se potranno continuare i loro studi dopo il 2025”, sottolinea Grignaschi. Eppure, la comunità scientifica concorda nel ritenere la sperimentazione animale necessaria per la ricerca sulle sostanze d’abuso e xenotrapianti.

Gli studi sulle sostanze d’abuso utili anche per patologie neurologiche e psichiatriche

L’utilizzo di animali per studiare le proprietà d’abuso dei farmaci è un argomento dibattuto nell’opinione pubblica, poiché numerosi movimenti contrari alla sperimentazione animale etichettano la pratica come “inutile” ed “egoistica”. I critici ritengono che lo scopo esclusivo di studiare le sostanze d’abuso sia solo per porre rimedio al semplice “vizio” umano. In realtà, la ricerca sulle proprietà d’abuso dei farmaci non riguarda esclusivamente le sostanze che vengono definite genericamente come “droghe”, ma è richiesta per legge anche per consentire l’approvazione e l’immissione in commercio di nuovi farmaci che agiscono a livello del sistema nervoso centrale. Ogni farmaco in grado di superare la barriera ematoencefalica, la struttura che circonda il cervello, deve essere testato per valutarne la possibile capacità di dare assuefazione e dipendenza. Tra queste sostanze sono compresi anche, per esempio, i farmaci oncologici, gli analgesici, i farmaci per i disturbi neurologici e così via. L’applicazione definitiva del divieto di utilizzo di animali per le ricerche sui farmaci d’abuso avrebbe quindi effetti devastanti non solo per le persone che soffrono di dipendenze, ma anche per tutti coloro che soffrono di altre patologie neurologiche e psichiatriche, che vedrebbero quindi annullata la possibilità di ricevere nuove terapie più efficaci, dal momento che lo sviluppo delle stesse subirebbe un’interruzione. C’è inoltre da considerare che le dipendenze patologiche, al pari di altre patologie che interessano il cervello, necessitano di adeguati trattamenti e non possono essere derubricate semplicemente a “vizio“. Infatti, numerose prove sperimentali dimostrano che la dipendenza patologica è un fenomeno che si può manifestare anche negli animali e che le basi neurobiologiche di questo fenomeno sono sovrapponibili tra essere umano e animali.

La ricerca sugli xenotrapianti per rispondere alla carenza di organi per trapianti

Altrettanto fondamentale è la ricerca sugli xenotrapianti d’organo, ossia i trapianti che prevedono l’impiego di organi e tessuti provenienti da una specie diversa dalla nostra. Si ritiene necessaria per prevenire le migliaia di morti registrate nel mondo, ogni anno, a causa dell’impossibilità di trovare organi per il trapianto perché la domanda terapeutica supera abbondantemente l’offerta. Basta considerare la difficoltà nel trovare donatori compatibili per evitare reazioni di rigetti che renderebbero del tutto inutile l’operazione e alla necessità, in molti casi, d’impiegare organi o tessuti provenienti da persone decedute. Solo pochi trapianti, e più nel dettaglio quelli di fegato, reni e midollo osseo, possono infatti avvenire con un donatore vivente. È in questo contesto che s’inserisce la ricerca sugli xenotrapianti d’organo. Molti studi in questo campo si sono concentrati sui primati, a causa della loro elevata prossimità evolutiva con l’essere umano. La ricerca degli ultimi anni ha però evidenziato come siano i maiali i candidati più idonei per gli xenotrapianti d’organo, soprattutto in ragione delle dimensioni e strutture che sono molti simili alle nostre. La possibilità d’intervenire sugli animali con tecniche avanzate di biologia molecolare, quale l’editing genetico, potrebbe poi consentire di avere organi nei quali il DNA è stato modificato con grande precisione per limitare i problemi d’incompatibilità che potrebbero portare al rigetto dell’organo, o addirittura renderli ancora più compatibili con il nostro organismo inserendo sequenze del genoma umano.

La sperimentazione animale rappresenta, ancora oggi, un passaggio fondamentale nello sviluppo di nuove terapie farmacologiche e, più in generale, nell’avanzamento delle conoscenze biomediche. Per questo il dibattito se sia giusto o meno vietarla o limitarla ulteriormente, più di quanto facciano gli altri paesi in Europa e nel mondo, è ormai sterile. Più di 10 anni di discussioni, svariate proroghe e risorse destinate all’acquisto di animali all’estero dovrebbe indurre le istituzioni a fare una riflessione lucida e concreta sull’effettiva utilità e applicabilità della legge italiana in materia.

Keypoints

  • Nel nostro paese sono vietati gli allevamenti di alcune specie di animali destinate alla ricerca biomedica, ma si possono usare per fare ricerca
  • Questo significa che gli animali devono essere acquistati da allevamenti esteri e poi importati in Italia
  • Gli ostacoli alla sperimentazione spingono i ricercatori a lasciare l’Italia e a portare avanti il loro lavoro all’estero
  • Gli studi sugli animali relativi agli xenotrapianti e alle sostanze d’abuso hanno i giorni contati
  • Di tutti i 26 paesi europei che hanno recepito la direttiva europea in modo integrale, l’Italia è l’unico ad averla di fatto stravolta, per certi versi estremizzandola
  • La sperimentazione animale utile per la ricerca sulle sostanze d’abuso utili può avere ricadute anche contro le patologie neurologiche e psichiatriche

 

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