Uno degli obiettivi principali di molte terapie innovative contro il cancro è quello di modificare il microambiente tumorale per renderlo più propenso a sostenere una risposta immunitaria efficace. Lo studio clinico sull’utilizzo di Temferon, la terapia genetica sviluppata da Genenta, ha dimostrato che è possibile raggiungere questo obiettivo nel contesto del glioblastoma multiforme (GBM), il tumore cerebrale noto per la sua capacità di essere fortemente immunosoppressivo, per il quale non sono ancora disponibili cure.
La terapia è a base di cellule staminali ematopoietiche che vengono ingegnerizzate con il transgene che codifica l’interferone alfa (IFNα), una proteina dal noto potere immunomodulatorio. Con questo studio si è cercato di verificare se la tecnologia sviluppata è sicura ed agisce sull’uomo, ossia se queste cellule staminali danno origine a un nuovo sistema ematopoietico che si diffonde anche nel glioblastoma, e se il gene IFNα, che è stato ingegnerizzato per attivarsi solo in questo specifico ambiente, inizia a funzionare e stimola il sistema immunitario a combattere contro il tumore.
I risultati preliminari della fase I/II sono stati presentati al meeting annuale dell’American Society of Gene and Cell Therapies da Bernhard Gentner, co-fondatore insieme a Pierluigi Paracchi di Genenta, e Professore di Immuno-Oncologia dell’Università di Losanna, con 16 anni di esperienza presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica.
Registrato un aumento della sopravvivenza mediana
Al 30 giugno 2023, 21 pazienti con glioblastoma multiforme hanno ricevuto 4 dosi incrementali (da 0.5 a 3.0 milioni di cellule per kg), con un follow-up mediano di 29 mesi. I pazienti trattati con Temferon hanno mostrato una sopravvivenza mediana di 17 mesi. “La sopravvivenza mediana riportata nella letteratura tradizionale per questo sottogruppo di pazienti è di circa 12-12,5 mesi, mentre dati più recenti indicano un leggero miglioramento, portandola a circa 13-14 mesi”, afferma il Prof. Gentner. “Tuttavia, la sopravvivenza mediana osservata con Temferon sembra essere superiore anche a queste cifre aggiornate”.
Circa il doppio dei pazienti sopravvive a due anni dalla diagnosi rispetto ai dati di letteratura
Il tasso di sopravvivenza a due anni dalla diagnosi è stato del 28% (5 su 18 pazienti; 3 pazienti sono stati esclusi dall’analisi a causa di un follow-up inferiore a 12 mesi), superiore a quello riportato in letteratura per questa tipologia di pazienti, che è del 14%. Un paziente è sopravvissuto per oltre 3 anni dopo la diagnosi senza necessità di ulteriori terapie, un risultato particolarmente promettente.
La terapia ha mutato il microambiente del glioblastoma, permettendo l’infiltrazione di linfociti T citotossici
Su 7 pazienti è stata poi svolta una biopsia, spiega il co fondatore di Genenta, in occasione di un secondo intervento chirurgico per l’asportazione del tumore in recidiva, permettendo di comprendere come la terapia ha agito nel cervello.
“Le cellule geneticamente modificate con il gene dell’interferone alfa (IFNα) sono state rilevate nel tumore in una percentuale significativa, pari al 5-6%. Questo dimostra che le cellule possono effettivamente migrare verso il tumore e stabilirsi lì”, specifica Bernhard Gentner. Gli scienziati hanno visto che l’interferone alfa ha trasformato il microambiente tumorale mieloide, tradizionalmente immunosoppressivo. “Abbiamo osservato un aumento dei macrofagi infiammatori, cioè quelli potenzialmente in grado di stimolare la risposta immunitaria, e una diminuzione dei macrofagi pro-tumorali”. Un risultato particolarmente significativo è stato l’aumento delle cellule T CD8+ citotossiche all’interno del tumore. “Queste cellule sono fondamentali per una risposta immunitaria antitumorale efficace e la loro presenza suggerisce che il trattamento con Temferon sta rendendo il microambiente tumorale più accogliente per le cellule T”.
Gentner sottolinea che l’effetto prolungato sulla sopravvivenza potrebbe non essere dovuto solo all’attivazione del sistema immunitario. L’interferone alfa ha diversi effetti: induce l’apoptosi (morte programmata) delle cellule tumorali, rallentando così la crescita del tumore, e inibisce l’angiogenesi, il processo attraverso il quale il tumore sviluppa nuovi vasi sanguigni per alimentarsi.
Per confermare i dati si proseguirà nello studio clinico di fase II che si prevede possa iniziare già con il nuovo anno.
Evitata la tossicità, attraverso la tecnologia del rilascio nel microambiente tumorale
Durante l’intero studio, non sono stati osservati segni di tossicità correlata all’espressione dell’interferone alfa. “Questo è un risultato molto significativo”, spiega il Prof. Gentner, “specialmente considerando che l’interferone alfa, somministrato sistemicamente, è noto per causare effetti collaterali gravi come febbre e dolori articolari, che spesso portano alla sospensione del trattamento. Anche con una dose molto alta di cellule trapiantate, non sono stati riscontrati effetti collaterali significativi, il che indica che l’espressione dell’interferone è stata regolata in modo efficace, e non c’è rilascio di interferone alfa nei tessuti normali o nel sangue”.
Le prospettive per la cura del glioblastoma: l’associazione con immunoterapie
Ora l’azienda nata dai ricercatori del San Raffaele sta anche valutando se una combinazione con altre immunoterapie possa aumentare l’efficacia. “Dobbiamo lavorare sull’attivazione del sistema immunitario, possibilmente attraverso terapie combinatorie. L’obiettivo è spingere la curva di sopravvivenza ulteriormente a destra, ottenendo così una sopravvivenza a lungo termine per i pazienti. Se i pazienti trattati con Temferon mostrassero una sopravvivenza significativamente prolungata, lo scenario terapeutico potrebbe cambiare radicalmente”.
L’estensione dell’indicazione terapeutica anche per il carcinoma renale
È previsto l’avvio di uno studio di fase II per GBM e, contemporaneamente, c’è l’intenzione di esplorare l’efficacia di Temferon anche in un’altra tipologia di tumore. La scelta del carcinoma del rene come seconda indicazione è interessante perché l’interferone alfa ha storicamente mostrato risposte positive in questo tipo di tumore. Questo rende il carcinoma del rene un candidato promettente per ulteriori studi clinici.