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Accelerare la cura del cancro: la promettente terapia “flash” del CERN raccontata da Manjit Dosanjh

Perché ne stiamo parlando
In occasione dei suoi 70 anni, il CERN, insieme a Fondazione Golinelli, offre la possibilità di dialogare con una delle figure di spicco nelle applicazioni mediche della fisica contro il cancro. Manjit Dosanjh, Professoressa presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Oxford, al CERN ha lavorato per oltre 20 anni. Per INNLIFES l’intervista esclusiva.

Accelerare la cura del cancro: la promettente terapia “flash” del CERN raccontata da Manjit Dosanjh
Manjit Dosanjh, Professoressa, Dipartimento di Fisica, Università di Oxford

Manjit Dosanjh è una figura fondamentale nell’applicazione delle tecnologie sviluppate all’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare (CERN) nel campo medico. Tra i suoi maggiori successi c’è la creazione di una rete europea multidisciplinare che ha catalizzato la costruzione di centri oncologici all’avanguardia dove attualmente si utilizzano adroni (famiglia di particelle a cui appartengono i protoni) nel trattamento del cancro.

La Professoressa Manjit ci racconta come sono nati gli acceleratori di particelle più “pesanti” per mirare precisamente al tumore risparmiando i tessuti sani, l’importanza delle collaborazioni multidisciplinari, e l’ultimissima novità: la terapia di irradiazione “flash”, che protegge i tessuti sani mentre colpisce i tumori con dosi elevate di radiazione in brevi periodi.

Manjit Dosanjh è una degli invitati speciali della Fondazione Golinelli che, insieme al Programma Italiano per Insegnanti del CERN di Ginevra, sta conducendo l’iniziativa “Dal CERN alla Scuola”, una serie di webinar gratuiti progettati per rivoluzionare l’approccio all’insegnamento delle scienze attraverso una prospettiva multidisciplinare.

Quali sono stati evoluzione e impatto delle tecnologie nella radioterapia, fino all’introduzione delle nuove tecniche?

La sfida principale nella radioterapia, utilizzata per trattare il 50-60% dei pazienti oncologici, è sempre stata quella di colpire il tumore minimizzando il danno ai tessuti sani circostanti, il cosiddetto “Santo Graal” del settore. Negli ultimi sessant’anni, lo sviluppo tecnologico si è concentrato su come pianificare il trattamento per circondare il tumore efficacemente, su come localizzare esattamente il tumore per una migliore immagine e rilevazione, e su come proteggere i tessuti sani.

L’adozione della terapia adronica rappresenta un significativo passo avanti in questo ambito. Questa tecnologia si avvale di particelle adroniche che, a differenza degli elettroni, rilasciano energia in modo molto più mirato. Questo permette alle particelle adroniche di fermarsi esattamente nel punto desiderato e di depositare l’energia massima precisamente nel tumore, con minimi effetti collaterali sui tessuti sani circostanti.

Tuttavia, poiché ad esempio il protone è circa 2.000 volte più massiccio dell’elettrone (che non appartiene alla famiglia degli adroni, ndr), le tecniche di trattamento basate sui protoni richiedono una grande quantità di energia e una tecnologia sofisticata, compresa l’imaging avanzata, che è cruciale per localizzare il tumore con precisione e ridurre al minimo il rischio di colpire i tessuti sani.

Come con il CERN avete applicato le tecnologie degli acceleratori di particelle al settore clinico?

Al CERN, la nostra attenzione si indirizzò ai protoni. Lo studio PIM (Proton and Ion Medical Machine Study) di Ugo Amaldi e dei suoi collaboratori ha gettato le basi per trasformare le ricerche in una struttura reale dedicata alla terapia con particelle. Ma solo la collaborazione multidisciplinare ha potuto portare ai risultati che abbiamo oggi. Per concretizzare queste collaborazioni, abbiamo istituito un network europeo, ENLIGHT (European Network of Enlight Ion Hadron Therapy), che ho coordinato dal 2006. Il nome stesso del network riflette le differenze di percezione tra il campo medico e quello fisico riguardo termini come “hadron” e il concetto di “leggero” rispetto a “pesante”. Dovevamo insomma mettere insieme due modi diversi di vedere le particelle e dal punto di incontro si è potuta sviluppare la nuova tecnologia. La collaborazione è stata infatti un pilastro fondamentale per trasferire le tecnologie degli acceleratori dal laboratorio al contesto clinico.

Quanto sono diffuse ad oggi le tecnologie per la terapia adronica?

La prima terapia adronica su un paziente è stata effettuata nel 1954. Dopo 70 anni, esistono circa 140 di queste macchine, con 350.000 pazienti trattati. Parallelamente, ad esempio, l’Africa, con una popolazione di 1,2 miliardi di persone, dispone di soli 400 apparecchi, mentre gli Stati Uniti, con 300 milioni di abitanti, ne hanno 4.000.

Per superare queste sfide, è essenziale lavorare sulla produzione di macchinari più robusti, economici, compatti, e migliorando la formazione del personale e l’accessibilità delle tecnologie di imaging.

C’è da dire poi che negli ultimi vent’anni, si è assistito a un incremento nell’uso di tecnologie di imaging avanzate, come la PET (Tomografia a Emissione di Positroni), inizialmente poco diffusa, ma ora sempre più presente anche grazie alla combinazione con la TC (Tomografia Computerizzata), per ottenere immagini precise e informazioni fisiologiche dei tessuti.

In Europa esistono ad oggi solo quattro sincrotroni di grandi dimensioni capaci di produrre un ampio spettro di ioni, da protoni a ioni anche più pesanti. Si trovano a Pavia (al Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, CNAO), nei pressi di Vienna, a Marburg e a Heidelberg. La loro esistenza è frutto della stretta collaborazione con il mondo della fisica.

A che sfide state lavorando attualmente?

Una delle innovazioni più promettenti è la terapia di irradiazione flash, osservata per la prima volta nel 2014 all’Institut Curie. Questo tipo di terapia utilizza dosi di radiazione molto elevate in tempi molto brevi, proteggendo selettivamente i tessuti sani mentre mantiene l’effetto dannoso sui tumori. Questa scoperta rappresenta un importante avanzamento poiché sembra funzionare, su tutti i tessuti e in tutti gli animali testati, con tutti i tipi di particelle, inclusi gli elettroni, che sono particolarmente interessanti per il CERN data la loro potenziale compattezza e convenienza economica.

Il CERN sta quindi esplorando l’uso di elettroni ad alta energia che possono penetrare profondamente nel corpo umano, similmente agli adroni, e potrebbero essere utilizzati efficacemente in combinazione con la terapia flash. Ciò potrebbe portare alla realizzazione di acceleratori lineari compatti in grado di offrire trattamenti profondi senza la necessità di infrastrutture cliniche di grandi dimensioni. Il CERN sta collaborando con un ospedale a Losanna per sviluppare una macchina futuristica che integri queste tecnologie, e si stanno conducendo esperimenti presso la struttura del CERN, l’unica al mondo in grado di testare elettroni fino a 200 MeV in contesti biologici.

L’obiettivo è che queste innovazioni possano essere implementate molto più rapidamente rispetto al passato, superando le sfide legate alla biologia, alla fisica e alla chimica mentre la macchina viene costruita, con la speranza di rendere questi avanzamenti disponibili per i pazienti in un tempo significativamente ridotto.

Keypoints

  • Per il settantesimo anniversario del CERN una celebrazione con focus sulle applicazioni mediche delle tecnologie fisiche nel trattamento del cancro, con Manjit Dosanjh
  • Per Manjit Dosanjh la collaborazione multidisciplinare è fondamentale per applicare le tecnologie degli acceleratori di particelle al contesto clinico
  • La scienziata del CERN, ora a Oxford, parla degli avanzamenti significativi nella precisione dei trattamenti contro il cancro, con focus sull’utilizzo di particelle pesanti come protoni per mirare ai tumori
  • Dopo 70 anni dalla prima terapia, ci sono circa 140 macchine disponibili con 350.000 pazienti trattati, e una crescente necessità di rendere la tecnologia più accessibile globalmente
  • La Prof. Dosanjh annuncia un’innovazione, la terapia di irradiazione flash
  • È una tecnica che protegge i tessuti sani con dosi elevate di radiazione in tempi brevi, promettente per il suo potenziale di applicazione universale

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