Con un finanziamento di oltre 46 milioni di euro ottenuto a settembre, la biotech italiana Genespire, nata dall’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), potrebbe avviare, in tempi brevi, la sperimentazione clinica di una terapia genica per curare una malattia metabolica ereditaria, l’acidemia metilmalonica, in età pediatrica. La startup si è concentrata sulle malattie genetiche del fegato, perché questo organo, con la sua complessa rete di attività metaboliche e la capacità di sintetizzare proteine fondamentali per l’organismo, si presta in modo ideale all’intervento con terapie geniche, specialmente per patologie ereditarie che compromettono il metabolismo o la produzione di proteine vitali.
Fegato, organo bersaglio privilegiato per la terapia genica
«Il fegato è un organo chiave per la terapia genica e il gene editing, grazie alle sue funzioni metaboliche e alla produzione di proteine essenziali per l’organismo», spiega Alessio Cantore, ricercatore presso SR-Tiget e Università Vita Salute San Raffaele, nonché co-fondatore di Genespire insieme a Luigi Naldini. «Essendo al centro di molte malattie genetiche ereditarie, causate spesso da mutazioni nelle cellule epatiche, la terapia genica può intervenire alla radice per correggere questi difetti». La sua microvascolatura facilita l’accumulo dei vettori terapeutici, come particelle virali, che si concentrano nel fegato quando somministrati per via endovenosa, come nel caso delle terapie geniche in vivo.
L’evoluzione della terapia genica al fegato: una disamina
In uno studio recentemente pubblicato su Frontiers, Cantore insieme al suo team e ai ricercatori del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia di Trieste hanno ripercorso l’evoluzione della terapia genica per il trattamento delle patologie del fegato, fino alle ultime tecnologie di editing genetico.
Un aspetto importante di queste terapie riguarda l’utilizzo di vettori virali, i virus adeno-associati (AAV) con i quali si sono prodotti risultati promettenti e, in alcuni casi, hanno portato alla commercializzazione di terapie per patologie come alcune forme di emofilia. «Questi virus modificati trasportano materiale genetico corretto nelle cellule senza replicarsi, ma la loro efficacia può ridursi nel tempo, soprattutto nei bambini, poiché non si integrano nel DNA della cellula e vengono persi con la crescita e il turnover cellulare», spiega Cantore. Per ovviare a questo limite, sono stati creati vettori lentivirali, che integrano il gene terapeutico nel DNA dell’ospite, garantendo un effetto terapeutico più duraturo nel tempo. «Questa integrazione garantisce una produzione stabile della proteina correttiva e potenzialmente rende la terapia duratura per tutta la vita», racconta Cantore.
Lo sviluppo di terapie geniche rivolte al fegato nei bambini
Nel laboratorio del SR-Tiget guidato dal Dott. Cantore, gran parte della ricerca è dedicata allo sviluppo di questi vettori, con particolare attenzione al loro utilizzo nei pazienti pediatrici, in cui è essenziale una correzione genetica stabile. La terapia genica per l’acidemia metilmalonica utilizza proprio questi vettori per trasferire un gene funzionante negli epatociti, le cellule principali del fegato, per consentire la produzione di un enzima carente e contrastare così la tossicità dovuta alla malattia. Gli studi preclinici condotti in SR-Tiget hanno fornito risultati incoraggianti e sarà ora compito della startup fondata dai ricercatori di Milano, insieme a SR-Tiget, aprire le fasi di sperimentazione sull’uomo.
«L’integrazione nel DNA comporta però sempre un, seppur minimo, rischio di interferenza con altri geni, per questo è necessario un monitoraggio continuo della sicurezza della terapia”» ricorda Cantore. E c’è anche una questione di precisione della terapia, per cui le recenti tecnologie sono giunte in aiuto: «Quando una malattia genetica richiede che il gene correttivo sia regolato con precisione o risponda finemente agli stimoli ambientali, l’editing genetico risulta spesso preferibile rispetto al trasferimento genico tramite vettori virali».
L’editing genetico per curare le malattie del fegato
Si parte dalla più nota CRISPR, tramite la quale si taglia il DNA nel punto desiderato inserendo la sequenza corretta, fino agli approcci ancora più recenti, come il base editing; quest’ultimo «rappresenta una promettente tecnica di editing genetico per il trattamento di alcune malattie epatiche, sfruttando un approccio innovativo che non si limita a correggere difetti genetici ma li crea strategicamente per ottenere benefici terapeutici», ricorda Cantore. «Questo metodo permette di inattivare specifici geni per modificare i livelli di altre molecole o recettori coinvolti in malattie metaboliche e cardiovascolari», spiega. Un esempio significativo è il lavoro condotto dalla biotech Verve Therapeutics, che ha portato il base editing in clinica per inattivare il gene PCSK9, un inibitore del recettore delle lipoproteine ricche di colesterolo. Inattivando PCSK9, si aumenta l’attività del recettore delle lipoproteine nel fegato, riducendo così i livelli di colesterolo nel sangue e abbassando il rischio di patologie cardiovascolari.
Dal prime editing all’editing epigenetico
Il prime editing rappresenta un’ulteriore evoluzione nelle tecniche di editing genetico. Utilizza nucleasi inattivate e un enzima capace di “scrivere” DNA sfruttando uno “stampo” di RNA; niente doppio taglio al DNA, dunque. «Questa tecnologia è molto complessa e al momento meno efficiente rispetto ad altre tecniche di editing o al trasferimento genico tramite vettori virali», ammette Cantore, «ma siamo solo agli inizi». E ricorda che nei laboratori dell’Istituto San Raffaele Telethon sono da tempo aperti anche altri studi preclinici, ad esempio per la disattivazione dello stesso gene PCSK9 per abbassare i livelli di colesterolo, questa volta però con un’altra innovativa tecnica, l’editing epigenetico: una tecnologia che regola l’espressione dei geni senza alterare direttamente la sequenza del DNA. Ricerche condotte dal Prof. Angelo Lombardo, che anche in questo caso hanno portato alla creazione di una piattaforma tecnologica che può agire su molti geni, e di una start up, Epsilen Bio, che è stata poi acquisita dall’americana Chroma Medicine; oltre che per il colesterolo, ora l’azienda sta sviluppando una terapia di editing epigenetico anche per un’altra patologia legata al fegato, l’epatite B.