Per la prima volta dopo 25 anni cambia lo standard di cura delle pazienti con tumore della cervice uterina, uno dei tumori più sintomatici e dolorosi che possono colpire la donna. Uno studio multicentrico di Fase III, pubblicato sulla rivista Lancet, ha dimostrato che l’aggiunta di immunoterapia al trattamento standard con chemio-radioterapia offre miglioramenti significativi e clinicamente rilevanti nella sopravvivenza delle donne con una diagnosi di cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio. Il lavoro, ideato e coordinato da Domenica Lorusso, oggi Responsabile della Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X e Professoressa Ordinaria di Humanitas University, mentre era Responsabile UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma, indica quindi un nuovo trattamento in prima linea per le nuove diagnosi di tumori alla cervice localmente avanzati.
L’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioradioterapia migliora la sopravvivenza
Il tumore della cervice è il quarto tumore più comune nelle donne in tutto il mondo e la quarta causa di morte per cancro nelle donne tra i 35 e i 54 anni. Il tumore della cervice in fase iniziale, in genere, non presenta sintomi. Quando invece si presentano, i sintomi sono comuni a molte malattie dell’apparato genitale femminile e questo determina la difficoltà di ottenere una diagnosi precoce. “Contro questa neoplasia, quasi sempre causata dall’HPV, il Papillomavirus umano, la più frequente infezione sessualmente trasmessa, abbiamo a disposizione diversi strumenti anche di prevenzione, dalla vaccinazione contro l’HPV, agli screening, fino a nuovi trattamenti efficaci”, sottolinea Lorusso. “Questo studio è ancora più importante perché la chemioradioterapia, che è stata somministrata nel lavoro, è lo standard attuale che già di per sé è curativa nel 60% delle pazienti, per cui su questa base già molto alta aggiungere pembrolizumab ci aiuta ulteriormente a guarire una quota maggiore di pazienti”, aggiunge.
L’immunoterapia riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 30%.
Lo studio ha coinvolto 1.060 pazienti con una nuova diagnosi di cancro alla cervice ad alto rischio e localmente avanzato, arruolate in 176 centri di 30 paesi nel mondo, tra giugno 2020 e dicembre 2022. Le pazienti sono state assegnate a due gruppi in doppio-cieco (ovvero senza che né loro né i ricercatori conoscessero il gruppo di appartenenza): un gruppo di 529 pazienti a cui è stato somministrato pembrolizumab in aggiunta al trattamento chemio-radioterapico; un gruppo di controllo, con 531 pazienti, a cui è stato somministrato un placebo in aggiunta al trattamento standard. La somministrazione di pembrolizumab (o del placebo) avveniva sia durante i cicli di chemio-radioterapia sia alla fine di questi ultimi, come trattamento di mantenimento. Secondo i risultati dello studio, a due anni dal trattamento, il pembrolizumab riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 30%.
Scambia (Gemelli): “Aperta la strada a un nuovo approccio terapeutico”
Gli effetti del trattamento si sono visti a partire già dalla prima valutazione radiografica e sono proseguiti nel tempo. Per questo i ricercatori credono che la differenza tra i due gruppi in termini di efficacia, e quindi il miglioramento conferito da pembrolizumab, possa aumentare man mano che prosegue il follow-up. “È il primo studio a riportare un miglioramento significativo nella sopravvivenza per il cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio”, commenta Giovanni Scambia, Direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università Cattolica. “Crediamo che questi dati possano aprire la strada a un nuovo approccio terapeutico combinato – immunoterapia e chemio-radioterapia – per questo tipo di tumore”, aggiunge. Recentemente sono stati anche diffusi i dati del primo studio di Fase III che ha valutato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale delle pazienti trattate con questo approccio terapeutico.
Il farmaco immunoterapico toglie il “freno” al sistema immunitario
Il farmaco aggiunto alla trattamento standard è il pembrolizumab, un anticorpo monoclonale che inibisce l’attivazione di una proteina di superficie delle cellule T, chiamata PD-1. Inibire questa proteina durante il trattamento di un tumore è importante perché PD-1 funziona come un freno: quando viene stimolata indebolisce l’azione delle cellule T e quindi di tutta la risposta immunitaria, favorendo la proliferazione del tumore. Non a caso molte cellule tumorali esprimono sulle loro membrane delle proteine che si legano a PD-1 e la attivano, impedendo così alle cellule T di riconoscere e attaccare il tumore. Inibendo PD-1, il pembrolizumab interferisce quindi con uno dei meccanismi che il tumore utilizza per proteggersi dall’attacco del sistema immunitario. Il farmaco sembra dunque avere un effetto significativo anche come trattamento “di prima scelta” per le donne con nuova diagnosi di tumore alla cervice. “Si tratta di un traguardo importante, dal momento che il trattamento convenzionale, in uso dal 1999, ha un’efficacia limitata, soprattutto per le pazienti con la forma localmente avanzata della malattia”, afferma Lorusso. “Studi precedenti avevano già mostrato miglioramenti con l’uso di pembrolizumab, sia da solo che in combinazione con regimi chemioterapici, ma solo in pazienti con cancro cervicale metastatico o in recidiva. Questa – conclude – è la prima volta che testiamo il trattamento in prima linea, per le nuove diagnosi di tumori localmente avanzati”.