«Investire nel biotech: non è solo una questione di soldi»

«Investire nel biotech: non è solo una questione di soldi»

Picture of Tiziana Tripepi

Tiziana Tripepi

Perché lo abbiamo scelto
Ingegnere biomedico, 38 anni, Pietro Puglisi, insieme a Ciro Spedaliere ha creato la prima società di venture capital in Italia specializzata nel biotech. Si chiama Claris Ventures e il suo primo fondo, Claris Biotech I, ha raccolto 85 milioni di euro. Ha investito a oggi in nove aziende che stanno risolvendo problemi importantissimi.

«Non solo creazione di valore, ma anche impatto sulle vite di tante persone afflitte da gravi patologie: sono questi i due elementi che ci fanno svegliare ogni mattina e decidere su quale startup investire». Pietro Puglisi, ingegnere biomedico, 38 anni, nel 2019 ha fondato insieme a Ciro Spedaliere Claris Ventures, società di venture capital specializzata nel biotech, il ramo delle scienze della vita che si dedica allo sviluppo dei farmaci. Con il primo fondo, Claris Biotech I, i due investitori hanno raccolto 85 milioni di euro e investito in nove aziende che stanno risolvendo problemi importantissimi in campo oncologico, cardio-metabolico, neurologico. Aziende fondate da alcuni dei migliori scienziati del mondo. «Per ogni startup che passa al nostro vaglio cerchiamo di intravedere se nel giro di 10-15 anni sarà in grado di cambiare la vita di migliaia, se non milioni, di persone».

Da ingegnere a venture capitalist: come inizia il suo percorso nel biotech?

«Come molti ingegneri, dopo la laurea sono entrato in una società di consulenza strategica, in particolare in LSC, Lifesciences Consultants, che lavorava con le case farmaceutiche. Sono rimasto colpito da queste aziende fantastiche, impegnate nella risoluzione di problemi enormi, ma vedevo questi progetti sempre un po’ da lontano, non mi sentivo parte della soluzione. È così che quando nel 2012 Innogest ha iniziato a investire nel mondo delle scienze della vita, ho chiesto di entrare a far parte del loro team di investimento».

Prima di lanciare Claris Ventures ha organizzato un round di 6 milioni di euro per Kither Biotech…

«Non è così facile far capire agli investitori che vuoi raccogliere un fondo, di solito vogliono investire direttamente nelle società. Con Ciro abbiamo pensato di investire noi per primi in Kither Biotech, che aveva un prodotto sulla fibrosi cistica, e abbiamo coinvolto altri investitori. Abbiamo avuto la fortuna di raccogliere quasi sei milioni di euro, poi abbiamo detto agli investitori: “La stessa cosa che abbiamo fatto con Kither la vogliamo fare con altre 10 società”. È così che molti di loro sono diventati investitori di Claris. Ad oggi abbiamo raccolto 85 milioni di euro e abbiamo nove società in portafoglio».

Perché vi focalizzate su investimenti early stage?

«Innanzitutto per necessità: in Italia non ci sono prodotti late stage, ma al contrario c’è una grande abbondanza di ricerche che possono diventare prodotti. Ma c’è anche un motivo di opportunità: se siamo così bravi da individuare un prodotto che va a curare una patologia oggi priva di cura, già nelle prime fasi di sviluppo può suscitare l’interesse di una casa farmaceutica, che può comprarlo e con esso comprare l’azienda, generando un ritorno per gli investitori molto elevato rispetto al limitato capitale investito».

Un buon fondo genera un capitale due volte, due volte e mezzo il capitale investito e un rendimento del 20-25% per i propri investitori: è così anche nel biotech?

«I parametri non sono diversi: quello che cambia nel mondo biotech è che quando le cose funzionano possono funzionare molto meglio che in altri settori. Ci sono fondi che avendo portato il prodotto all’approvazione sono riusciti a creare un valore 10-15 volte superiore a quanto investito».

Come si sceglie la startup su cui investire?

«Occorre partire dagli scienziati, dalla bontà delle loro scoperte e dalla replicabilità dei dati. Inoltre cerchiamo di investire in qualcosa non soltanto di incrementale ma di trasformativo, cioè che dia al paziente una possibilità di cura che oggi non esiste. Infine cerchiamo di capire cosa le case farmaceutiche stanno sviluppando oggi e cosa svilupperanno nei prossimi 10 anni, e incastrare il nostro programma di sviluppo nelle loro strategie future».

Non dev’essere un compito facile…

«Il segreto, una volta individuato lo scienziato che sta portando avanti una ricerca importante, è coinvolgere nella due diligence altri esperti del settore che ci dicono se stiamo facendo o meno un buon lavoro. Cerchiamo di diventare anche noi tra i più grandi esperti di quella malattia».

Ci fa qualche esempio di scienziato sul quale avete investito?

«Eccone due: Alberto Bardelli, Direttore Scientifico dell’IFOM (Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare) è uno dei più grandi genetisti oncologici del mondo. Ha già fondato una società (Horizon Discovery) venduta per quasi 400 milioni di dollari. Con NeoPhore sta portando avanti una ricerca che mira a rendere i tumori solidi visibili al sistema immunitario. Il Professor Mauro Giacca, a capo della cardiologia del King’s College di Londra, è uno dei più grandi esperti al mondo in rigenerazione cardiaca. Lo abbiamo convinto a fondare con noi Hequet Therapeutics».

Quali sono le direzioni più promettenti?

«L’oncologia, in particolare dove si parla di targeted therapy, cioè la terapia mirata contro un preciso tumore del paziente. Come quella portata avanti da ALKemist Bio, l’ultimo nostro investimento in ordine di tempo, che cura tumori che esprimono solo un particolare oncogene che si chiama ALK. Negli ultimi anni poi sta avendo grande rilevanza il metabolismo e sta tornando il cardiovascolare, grazie a nuove modalità di cura che si basano sull’interazione con l’RNA».

A differenza di altri settori economici dove lo scopo è fare un prodotto da vendere, nel biotech c’è forse qualcosa di più: quel prodotto oltre a essere venduto dovrà salvare vite umane… c’è una spinta diversa nel vostro lavoro?

«Non è inusuale per noi essere contattati da persone che ci scrivono chiedendoci se il nuovo farmaco sul quale stiamo investendo riuscirà a guarire la loro patologia. Spesso siamo noi stessi a convincere i ricercatori a creare un’impresa e portare con loro i farmaci in sviluppo fino in clinica. È successo per esempio con IAMA Therapeutics, che abbiamo costituito da zero insieme all’Istituto Italiano di Tecnologia: dopo due anni dal nostro investimento sta facendo già gli studi clinici, ed è una cosa bellissima. Per noi l’impatto sul paziente e la creazione di valore vanno di pari passo: sappiamo di fare una cosa buona».

Le dimensioni del venture capital in Italia in campo biotech sono sufficienti a generare valore e soluzioni?

«Oggi in Italia, oltre al nostro, ci sono altri tre-quattro fondi attivi nel mondo biotech: ognuno di questi fa circa tre-quattro investimenti l’anno, quindi in tutto in Italia ogni anno ci sono 10-12 investimenti rilevanti in questo campo. È certamente un ottimo risultato, considerando che fino a pochi anni fa non c’era niente. Ma ci sono margini di crescita. Si potrebbe moltiplicare questo numero almeno per tre, e arrivare a una trentina di investimenti l’anno. E si potrebbe aumentare l’entità degli importi investiti, per poter noi stessi avere una quota più grande in queste società in cui crediamo davvero».

Keypoints

  • Pietro Puglisi, 38 anni, è il Fondatore, insieme a Ciro Spedaliere, di Claris Ventures, prima società di venture capital in Italia interamente focalizzata sul biotech
  • Con il fondo Claris Biotech I, i due venture capitalist hanno raccolto 85 milioni di euro e investito in nove aziende che stanno risolvendo problemi importantissimi, in campo in campo oncologico, cardio-metabolico, neurologico. Si chiamano Kither Biotech, NeoPhore, Hequet Therapeutics, Resalis Therapeutics, IAMA Therapeutics, Sibylla, Page Therapeutics, Repron Therapeutics e, ultima in ordine di tempo, ALKemist Bio
  • L’investimento nel biotech ha una particolarità: se si individua un prodotto che va a curare una patologia priva di cura, già nelle prime fasi di sviluppo può suscitare l’interesse di una casa farmaceutica, che può comprarlo, generando un ritorno per gli investitori molto elevato rispetto al capitale investito
  • Oggi in Italia, oltre a Claris Ventures, ci sono altri tre-quattro fondi attivi nel mondo biotech. In totale effettuano 10-12 investimenti rilevanti all’anno. Un ottimo risultato, ma che potrebbe essere moltiplicato almeno per tre, per arrivare a una trentina di investimenti l’anno

Altri articoli