I Business Angel attivi in Italia sono 1671, operano soprattutto nel Nord Italia e crescono di anno in anno, ma solo il 14% degli investitori è donna. Di questi, il 66% è iscritto ad almeno uno dei 33 Business Angel Group (BAG) e Business Angel Network (BAN), che nel periodo 2018-2022 hanno partecipato a più di 120 round di finanziamento, per un ammontare investito di oltre 45 milioni di euro. È quanto emerge dal report “Business Angel in Italia: l’impatto dell’angel investing”, realizzato da Growth Capital, Italian Tech Alliance, il Social Innovation Monitor del Politecnico di Torino e la University of East Anglia (UEA), e presentato l’11 gennaio a Milano, presso Le Village by Credit Agricole. L’analisi, illustrata durante l’evento da Davide Viglialoro (Social Innovation Monitor, UEA) e da Giacomo Bider (Growth Capital), è stata realizzata con l’obiettivo di delineare una mappatura aggiornata a livello nazionale dei Business Angel e delle organizzazioni che li riuniscono, definire le caratteristiche distintive dei Business Angel italiani ed evidenziare il loro impatto sulle startup. Il periodo preso in esame è quello che va dal 2018 al 2022.
Chi sono i Business Angel italiani
I Business Angel attivi in Italia nel periodo preso in esame sono in totale 1671: di questi, il 70% opera nel Nord Italia, con una netta prevalenza nel Nord-est (57% rispetto a tutto il territorio nazionale). Nel Sud e Isole sono appena 21 i BA attivi (4% del dato nazionale).

Fonte: Report “Business Angel in Italia: l’impatto dell’angel investing”.
Come anticipato, sono solo 240 le donne BA in Italia (14% del totale), un chiaro segnale del fatto che sono ancora numerosi gli sforzi da compiere per promuovere in modo efficace l’angel investing al femminile. Una risorsa che – come dimostrano diversi studi – potrebbe rappresentare un significativo valore aggiunto per tutto l’ecosistema per le sue peculiari caratteristiche.
L’età media dei BA in Italia è di 52 anni: si va da un minimo di 23 anni a un massimo di 87. Per quanto riguarda l’istruzione, il 43% detiene un master di secondo livello, il 40% una laurea magistrale o master di primo livello e il 4% un dottorato di ricerca; solo il 6% si è fermato al diploma. È interessante, infine, il dato che riguarda l’esperienza lavorativa attuale dei Business Angel in Italia: solo il 3% risulta essere in pensione. Per il resto, la maggioranza dei BA appartiene alla categoria dei manager o dipendenti di un’azienda privata (45%) e a quella degli imprenditori (33%). Questi dati confermano il trend di ringiovanimento dei Business Angel e la volontà di molti manager e imprenditori di iniziare a svolgere questo ruolo nel pieno della loro carriera lavorativa.

Business Angel Group (BAG) e Business Angel Network (BAN)
Un ruolo molto importante all’interno dell’ecosistema è svolto dalle organizzazioni collettive di angel investing, che in Italia sono in crescita nel numero (sono in tutto 33), nella percentuale degli iscritti (il 66% dei BA aderisce a una di queste forme collettive) e anche nella tipologia (ne stanno nascendo di nuove, con diverse funzioni). Le principali, infatti, sono i Business Angel Group (BAG) e i Business Angel Network (BAN). I BAG sono organizzazioni che riuniscono Business Angel aventi interessi simili e disponibilità a investimenti congiunti in imprese innovative, e al loro interno dispongono spesso di personale dedicato alla ricerca. I BAN sono definiti invece come community che favoriscono lo sviluppo di iniziative imprenditoriali, mettendo in connessione Business Angel e imprenditori o imprenditrici alla ricerca di finanziamenti, fornendo supporto all’investimento e formazione sull’angel investing ai BA aderenti. In aggiunta a queste due tipologie di organizzazioni, la ricerca evidenzia che si stanno sviluppando nuove forme collettive di angel investing, come ad esempio le Business Angel Platform, che operano solo su piattaforme digitali, o i BAG e i BAN a significativo impatto sociale, che hanno l’obiettivo di supportare investimenti che hanno un effetto positivo per ambiente e questioni sociali.

Quanto e in quali settori investono i Business Angel in Italia
Il Report procede analizzando i diversi round d’investimento effettuati in Italia nel periodo 2018-2022. Su un totale di 1241 round, 129 (circa il 10% del totale) sono stati realizzati con BAG/BAN; si evidenzia, inoltre, che l’ammontare investito in round con la presenza di BAG/BAN ha rappresentato circa il 20% del totale investito in Italia, con una percentuale sul totale che cresce di anno in anno. In questo periodo si è passati a un’incidenza dell’ammontare investito con la presenza di BAG/BAN del 5.77% sul totale nel 2018 ad addirittura il 28.3% del totale nel 2022. Quando partecipano a un round, i BAG/BAN coprono mediamente il 5% dell’ammontare investito. La percentuale arriva a circa il 10% se si escludono i megaround (superiori a 100 mln). Il totale complessivo investito nel periodo 2018-2022 da BAG/BAN è di 45 milioni.

È importante sottolineare, inoltre, che i BAG/BAN tendono ad investire principalmente in due settori: Digital (27% del totale) e Life Sciences (25%). Nei round in cui, invece, non sono presenti BAG e BAN, i settori sono equamente distribuiti.
La ricerca, infine, sottolinea l’impatto positivo sulle startup dell’angel investing, prendendo in considerazione quattro variabili e mettendo a confronto il 2018 con il 2021: crescita del fatturato, numero di dipendenti, EBITDA e immobilizzazioni immateriali. In tutte e quattro le variabili di riferimento si può notare l’effetto estremamente positivo generato da società con BAG/BAN, che sono cresciute molto più rapidamente delle altre: ad esempio, hanno quintuplicato il fatturato, rispetto alle altre aziende che lo hanno triplicato nello stesso periodo.

Il settore dei Business Angel e delle relative forme di organizzazione collettiva è in grande crescita, dà slancio agli investimenti in Italia e ha un impatto particolarmente positivo sulle aziende, grazie alle sue caratteristiche peculiari. Per questo motivo, nella parte conclusiva, il Report si concentra sulla necessità di aggiornare la normativa italiana, che risale al 2012, segnalandone i limiti e avanzando alcune proposte con l’obiettivo di arrivare presto a uno Startup Act 2.0. I suggerimenti, che nascono dal confronto con le altre normative, sono legati ai vantaggi fiscali in caso di exit, all’esenzione del vincolo dell’holding period in casi speciali, e alla differenziazione dei benefici sulla base della grandezza dell’investimento e dell’aumento di capitale (come avviene in UK).