Nell’ambito del CPHI, la più importante manifestazione fieristica per il mercato farmaceutico a livello globale, il BioInItaly Investment Forum, organizzato da Federchimica Assobiotec, mette in contatto le startup biotech nazionali con investitori internazionali per favorire lo sviluppo del settore. Giunto alla sua 18° edizione, il forum ha portato l’attenzione sui Corporate Venture Capitalist e sui Business Developer di grandi multinazionali del biofarmaco e della biodiagnostica, al fine di far crescere il biotech nazionale.
Presenti alla conferenza l’Assessore allo Sviluppo economico Guido Guidesi, Alessia Muzio, responsabile dell’Ufficio Studi e Ricerche dell’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (AIFI), Pierluigi Paracchi, membro del Consiglio di Presidenza di Federchimica Assobiotec, Massimo Carnelos, Capo dell’Ufficio Innovazione, start-up e spazio della Direzione Generale del Sistema Paese presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Maria Cristina Porta, Direttore Generale presso Enea Tech & Biomedical, Elena Paola Lanati, CEO di Indicon SB, Stefano Cottignoli, head of Global Business e Corporate Development presso Chiesi Farmaceutici, Lucia Faccio, Partner di Sofinnova Partners – Telethon Strategy, Pietro Puglisi, co-founder and General Partner presso Claris Ventures e Giovanni Rizzo, Partner Biotech Fund a Indaco Venture Partners.
Europa, Stati Uniti e un nuovo venture
«Il ruolo della politica e delle istituzioni in questo campo è importante», spiega Carnelos. «Il problema è innanzitutto europeo. Bisogna prendere il rapporto Draghi e prima di quello il rapporto Letta, e applicarlo. Perché l’Europa è ormai uno spezzatino. Dal Rapporto Draghi emerge che in realtà l’Europa spende di più degli Stati Uniti, ma tutti questi fondi si perdono in rivoli nazionali, regionali, comunali. Senza fondi provenienti da gruppi transnazionali, non si riesce a mantenere le aziende private in Europa. Senza un’unica borsa tecnologica di grandi valori per l’Europa per contenere questo spezzatino di quotazioni pubbliche micro, un’azienda pilot, un’azienda Life Science con grandi ambizioni non riesce a crescere. Non ha senso quotarsi in una borsa piccola. Inoltre i fondi Venture Capital italiani dovrebbero investire massicciamente negli Stati Uniti, nelle startup statunitensi. Sembra un anatema. Devono riuscire a entrare nella Cap Table (la capitalization table) delle grandi operazioni perché quello è il punto di partenza per creare un rapporto di familiarizzazione con quei fondi a cui poter poi presentare operazioni italiane».
Terzo punto è la reimmaginare il mondo venture sulla base di cambiamenti in corso. «Il biotech è sempre più importante, così come l’AI, il quantum da qui 3 o 5 anni rivoluzionerà tutto, dai servizi ai pagamenti e via dicendo. Questo significa che il rischio tecnologico di queste operazioni e la tempistica di queste nuove tecnologie è tale che il venture così come lo abbiamo conosciuto dal mio punto di vista non è adeguato».
Ricerca eccellente, ma deboli in tech transfer
«Siamo un paese innovatore moderato ma con grandi eccellenze, con dei singoli paesi fortemente innovatori che sono cresciuti molto», precisa Lanati. «Abbiamo quindi un indice superiore alla media europea ed è in continua crescita. L’Italia è il secondo sistema per crescita negli ultimi 10 anni. Tra il 2014 al 2024,è arrivata a essere il secondo paese per crescita di ecosistema dopo la Finlandia. Questo vuol dire che partiamo bassi ma i tassi di crescita sono positivi. Ma per il Tech Transfer occorre trovare soluzioni».
A tal fine la regione Lombardia, con il suo progetto Lombard-IA, ha messo sul tavolo diverse misure per favorire il tech transfer, con lo stanziamento di risorse dedicate di modo che istituti di ricerca e mercato si incontrino.
Secondo il Report Life Science Observatory (Listup), realizzato da Indicon Società Benefit, in collaborazione con Growth Capital, InnovUp e Italian Tech Alliance, tra il 2019 e il primo semestre del 2024, su un totale di 14.160 aziende innovative in Italia, quelle attive nelle Scienze della Vita sono circa 1586. In particolare le realtà presenti nel Digital Health costituiscono il 37%; nel Med Tech il 29%; nei prodotti e servizi sanitari il 24% e nel Biotech/Pharma il 10%.
Sempre secondo Listup, le PMI del settore rappresentano un pilastro importante per l’innovazione italiana. Dal 2019 al primo semestre del 2024, sono state registrate 343 PMI impegnate nelle Scienze della Vita, pari al 14,5% delle PMI innovative italiane (343 su 2.362). Nel primo semestre 2024 sono state registrate 36 nuove PMI innovative nelle Life Sciences (17,5% delle 206 totali), mostrando una crescita rispetto alla media.
La maggior parte delle PMI sono presenti nel Med Tech (36%), e a seguire su Digital Health (26%), Prodotti e Servizi Sanitari (24%) e Biotech/Pharma (14%). Nell’ambito Ricerca e Sviluppo, il 77% delle PMI vi investe almeno il 15% delle proprie risorse. Il 74% ha almeno un brevetto o un software registrato, contro il 69% della media complessiva. E il 64% impiega personale altamente qualificato, rispetto al 59% delle altre PMI innovative. La prevalenza femminile tra i fondatori è maggiore rispetto al totale (10% contro 8%), ma inferiore rispetto alle startup.
Il 15% delle PMI ha una capitalizzazione inferiore a 10mila euro, rispetto al 18% del totale, e il 41% genera ricavi superiori a 1 milione, rispetto al 48% del totale.
I Venture Capital
«Come Sofinnova abbiamo creato startup nel mondo terapeutico partendo da zero, tutte quante in Italia», racconta Faccio. «Bisogna partire con un semino. È una corsa nella quale stiamo prendendo velocità: se consideriamo il lasso di tempo intercorso tra il 2018 e oggi, vediamo che sono nati molti altri fondi, anche italiani, dedicati al biotech. E questo è un segnale positivo. Questi fondi poi hanno dimostrato di creare delle company, che hanno attratto investitori stranieri. Dobbiamo creare dei casi di successo e questo viene con l’exit, ovvero quando si arriva in clinica e con una proper concept clinica. Occorre però capire il settore per essere in grado di aiutare chi crea l’azienda da zero, non solo con il denaro, ma con delle competenze. E quindi il management che deve essere adeguato».
«La competizione è cortissima, ma è una competizione meritocratica», puntualizza Puglisi. «Si tratta di arrivare il prima possibile e dimostrare in clinica che abbiamo qualcosa che funziona. Quindi ecco il mio messaggio: c’è una nuova opportunità, si tratta soltanto di lavorare alzando l’asticella della qualità».
«Siamo in crescita ed è bellissimo vedere questi numeri», precisa Rizzo. «Però se vediamo gli investimenti pro capite, siamo molto al di sotto della media dei paesi principali dell’Europa. È un dato importante. Si sta facendo molto, ma dobbiamo fare di più per aiutare i fondi». Rizzo ha inoltre aggiunto l’importanza del ruolo della politica e delle istituzioni per tutelare la ricerca italiana e il tech transfer. A tal proposito, ha citato diversi esempi di startup innovative divenute poi importanti realtà, grazie a massicci investimenti, che, per diventare tali, hanno dovuto spostarsi all’estero anziché proseguire la propria evoluzione in Italia. Il risultato è che pochi sanno che all’origine queste sono italiane.
Le aziende: puntare al mercato americano
«Credo sia importante pensare di mettere a sistema comune la prospettiva di investitori, aziende farmaceutiche, università, e riuscire a connettere tutte queste realtà», osserva Cottignoli. «Chiesi è un’azienda italiana, con una prospettiva globale. Questo è il messaggio importante per le startup italiane. L’anno scorso abbiamo raggiunto 3 miliardi di fatturato e abbiamo investito 750 milioni in ricerca e sviluppo: numeri ancora piccoli, ma per la dimensione di Chiesi è importante. Il nostro focus è stato molto più all’estero rispetto all’Italia, ma non perché siamo contro l’Italia, ma perché la prospettiva è veramente globale e quindi noi, anche come mid-size company, ci troviamo a competere in certe aree, con competitor 10 volte più grandi di noi. La competizione oggi per le aziende farmaceutiche, comprese quelle italiane, è alta e il mercato principale rimane quello degli Stati Uniti. Noi abbiamo fatturato circa 500 milioni di fatturato con gli USA. Questa è la prospettiva che il sistema Italia, in termini di innovazione, deve abbracciare, non necessariamente solo in Italia, ma anche in Europa e soprattutto negli USA».