Se la regola “follow the money” di “Tutti gli uomini del presidente” – film del 1976 sullo scandalo Watergate con Dustin Hoffman e Robert Redford – è ancora valida, la strada ci porta ora al mondo della salute. Perlomeno se parliamo di investimenti finanziari. Uno degli ultimi esempi è Kyip Capital, società di gestione del risparmio (sgr) che meno di un anno fa ha lanciato il fondo “Kyip Impact Mission” che investe queste risorse tenendo conto dell’impatto sociale del suo operato.
Il veicolo ha raccolto oltre 30 milioni di euro da realtà tra cui il Fondo Italiano d’Investimento e il family office della famiglia Marzotto e, come spiegano in questa intervista Luciano Hassan, presidente e partner fondatore della società e affiancato dal partner e head of impact program Eugenio Conforti, e Clementina Chiari, impact manager, puntano a coinvolgere altri investitori quali banche, casse di previdenza e family office.

Il fondo, classificato come articolo 9 della direttiva Ue sulla sostenibilità nel settore finanziario (SFDR), si concentra su aziende ad alto potenziale di crescita attive nei settori della salute e del benessere, con un focus su nutrizione, cura, prevenzione e promozione di stili di vita sani e sostenibili. Il primo investimento, a inizio febbraio, è stato in Confident, una rete di cliniche odontoiatriche riconosciuta per il suo impegno nella prevenzione e nell’offerta di cure dentali di alta qualità e accessibili per le comunità più vulnerabili, con un fatturato di 10 milioni di euro e un margine lordo del 16%. Ma l’attenzione è anche rivolta, tra gli altri ambiti, alla telemedicina e alla nutrizione.
Come nasce l’idea di lanciare un fondo dedicato all’impact investing?
«Il fondo nasce con la partecipazione del Fondo Italiano d’investimento, che era nostro investitore nel primo fondo che abbiamo lanciato, quale cornerstone investor e promotore dell’iniziativa. Trovo significativo che ci siano delle istituzioni, nazionali o sovranazionali, che facciano partire delle iniziative nuove e soprattutto in un mercato come quello dell’impact investing che è ancora nella fase dell’infanzia. La mission di organizzazioni non private dovrebbe essere proprio questa: essere motori del cambiamento lanciando iniziative simili e aggregando altre realtà private, come le banche o le casse di previdenza, che vedendo la presenza di soggetti qualificati e istituzionali partecipano con maggiore interesse».
Finora avete raccolto 30 milioni, quale è il vostro obiettivo? E con quali investitori?
«L’idea è di arrivare a 50-60 milioni, un target raggiungibile anche considerando che c’è un mercato da costruire, e la direzione è quella giusta. Tra gli investitori vogliamo replicare la stessa equity story del primo fondo che abbiamo lanciato, che contava soggetti istituzionali come Fondo europeo degli investimenti e Fondo Italiano oltre che family office, banche e casse di previdenza».
Perché investire nella salute e peculiarità di questo settore interessano a questo tipo di investitori?
«Gli investitori sono molto sensibili al tema della salute, l’interesse c’è perché c’è sempre più una necessità di stare bene e di stare bene per più tempo. Per questo guardiamo a tutto che può intercettare questo bisogno a livello di servizio ma anche di diagnostica e prevenzione. Guardiamo cioè dove c’è quell’innovazione che ha intercettato un bisogno e, a esclusione del farmaceutico, in tutto ciò che è salute e benessere della società nel suo complesso».
Cosa cercate nelle società dove investite?
«Che ci sia una correlazione tra la strategia aziendale e l’impatto sociale. Oltre ovviamente al business, al settore di riferimento teniamo conto anche di come l’imprenditore ha creato e ha pensato il suo modello di business rispetto al possibile impatto sociale. Quest’ultimo, se positivo, non può essere solo una conseguenza a latere ma deve essere un obiettivo, integrato nei valori dell’impresa. Perché l’impatto crea del valore, che è anche valore finanziario, e questo per noi è un plus e una garanzia di avere davanti un’azienda che può crescere in modo sostenibile».
Quali ambiti state guardando in particolare?
«L’avere come riferimento l’impatto sociale ci consente di guardare in diversi comparti, da quello dei servizi ai pazienti a tutto ciò che è legato all’aged health, passando per la longevity e la diagnostica. Altro settore importante è la telemedicina, così come tutto quello che invece è legato al benessere mentale. Poi c’è la nutrizione, intesa sia come catena di valore sia nelle innovazioni di processo o di selezione degli ingredienti per avere un prodotto finale che è più di alta qualità, più sano, e più sicuro. La nostra società sta diventando sempre più consapevole che l’alimentazione è una chiave fondamentale per la cura di sé stessi e per il proprio benessere».
Come valutate l’impatto?
«Il punto è chiedersi: se l’azienda non ci fosse, cosa cambierebbe? Nel caso del dell’operazione che abbiamo appena concluso, l’imprenditore ha creato la sua società già con la proposition di essere il dentista di famiglia nelle zone periferiche della Lombardia. La società è gestisce attualmente 11 cliniche situate in aree periferiche, e ha un modello di business che unisce la qualità a un prezzo accessibile e soprattutto instaurando con i pazienti un rapporto di fiducia per far sì che si crei continuità. Per questo valutiamo ad esempio come cambiano le abitudini dei pazienti e quindi il tasso di prevenzione medio oltre che la percentuale di penetrazione tra le categorie fragili, come ad esempio gli anziani».