FDA ha dato il via libera anche negli Stati Uniti alla terapia genica per la leucodistrofia metacromatica, gravissima malattia rara neurodegenerativa che, secondo le stime, colpisce 1 bambino ogni 100mila. L’ente regolatorio statunitense ha approvato infatti il farmaco Lenmeldy. In Europa è stato approvato a fine 2020 con il nome di Libmeldy.
Il farmaco più costoso
“Rare genetic disease therapy becomes world’s most expensive drug at $4.25mn”: così lo ha annunciato il Financial Times, evidenziando che questa terapia, efficace per trattare la malattia genetica molto rara che attacca il sistema nervoso centrale e colpisce in media 40 neonati all’anno negli Stati Uniti, è il farmaco più costoso della storia.
Un prezzo giustificato dal suo valore clinico, economico e sociale, secondo Orchard Therapeutics che lo produce (l’azienda biotecnologica recentemente è stata acquistata dal gruppo farmaceutico giapponese Kyowa Kirin).
Lenmeldy è infatti un farmaco salvavita che permette di correggere la disfunzione all’origine della malattia. Frutto dell’attività di ricerca dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano, è una terapia genica che deve essere somministrata una sola volta, tramite un’unica infusione di cellule staminali ematopoietiche del paziente, geneticamente modificate ex vivo.
La recente approvazione negli Stati Uniti riaccende il dibattito sul costo delle terapie avanzate destinate a pazienti con esigenze di cura altrimenti insoddisfatte. Ne abbiamo parlato con Armando Genazzani, Ordinario al Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino e già rappresentante per l’Italia del CHMP, il comitato per i medicinali per uso umano dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA).
Professore, cosa determina il prezzo di un farmaco?
Sicuramente l’utilità del farmaco, quindi il suo valore clinico, ma anche la sostenibilità industriale. In questo caso parliamo di un farmaco per una patologia estremamente rara e di una terapia “one shot”, che va somministrata una sola volta nella vita. Il prezzo dunque è determinato dal suo valore clinico e sociale, ma anche dalla necessità di sostenere l’interesse industriale a mantenere la commercializzazione di una terapia per pazienti che sono estremamente pochi.
Orchard Therapeutics, che produce Lenmeldy, ha comunicato che il costo negoziato con l’FDA riflette l’impatto della terapia sulla vita dei piccoli pazienti e delle loro famiglie e sul sistema sanitario e segue la valutazione fatta da parte dell’Institute for Clinical and Economic Review (ICER).
L’ICER è un’istituzione indipendente equivalente al britannico National Institute for Health and Care Excellence (NICE): sono enti che supportano le valutazioni sul costo-efficacia per l’introduzione di nuovi farmaci.
È importante precisare che negli Stati Uniti il sistema è molto diverso dal nostro: il prezzo di un farmaco viene poi ripartito all’interno di negoziazioni singole con le singole casse assicurative. Questo vuol dire che il costo riferito di 4,25 milioni di dollari per la terapia Lenmeldy non è il prezzo effettivo di cessione, perché questo sarà poi rinegoziato con l’azienda produttrice da ciascuna cassa assicurativa privata che farà le proprie valutazioni economiche a seconda delle polizze assicurative stipulate con i propri assicurati. In altre parole, il sistema USA è molto meno unico rispetto al sistema italiano.
In Italia e in generale in Europa il prezzo come viene negoziato?
In Europa, ogni paese negozia il prezzo a seconda del sistema sanitario che si è dato. Noi, insieme agli inglesi e ai francesi, abbiamo il sistema più lineare: il compratore nella maggior parte dei casi è lo Stato che negozia il prezzo dei medicinali con le aziende farmaceutiche attraverso le proprie agenzie. In Italia è l’AIFA che interviene nel governo della spesa farmaceutica attraverso le procedure di negoziazione del prezzo dei farmaci. Il prezzo poi, una volta definito dall’AIFA, viene pagato dalle Regioni sul Fondo Sanitario. Se il farmaco è innovativo viene pagato dal Fondo dei farmaci innovativi. La Germania ha un sistema simile, ma intervengono anche le casse assicurative nella determinazione del prezzo effettivo dei farmaci.
In Italia il prezzo di un farmaco proposto dall’azienda farmaceutica deve essere giustificato dal suo valore ma anche dal suo impatto sul budget, ovvero quanto quel farmaco impatta rispetto al totale della spesa farmaceutica italiana. Se, come pubblicato in Gazzetta, il prezzo per la terapia genica per la leucodistrofia metacromatica in Italia è di 2,8 milioni, l’impatto del costo di questo trattamento sul budget totale della nostra spesa sarebbe comunque basso considerati i pochissimi pazienti.
Si consideri che nella maggior parte dei casi la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale è prioritaria. Ma per le malattie ultra rare diventa prioritario anche valutare la sostenibilità della commercializzazione di quel farmaco.
Cioè?
Ci sono dei costi fissi per portare un farmaco sul mercato, costi che riguardano il sistema di produzione, l’assicurazione di qualità, la macchina organizzativa dietro… Se la quantità di pezzi venduti per il prezzo unitario del farmaco non è in grado di garantire un profitto che sia significativo per l’azienda si va incontro a una perdita di interesse da parte delle aziende farmaceutiche con il rischio che lo tolgano dal mercato per investire su altri settori. Questo è il problema dei farmaci orfani e ultra orfani che hanno un numero molto limitato di pazienti. Ricorderete la storia di Strimvelis, farmaco per la terapia genica dell’ADA-SCID che, dato il numero di pazienti (l’ADA-SCID è una malattia rara) per il prezzo negoziato, ha smesso di essere di interesse per il settore industriale. Lo è però per i pazienti, le loro famiglie e il Sistema Sanitario Nazionale. E così una charity, la Fondazione Telethon, si è assunta la responsabilità della produzione e distribuzione della terapia.
Professore, dunque per i farmaci rari come Strimvelis o Libmeldy è necessario adottare altri sistemi di negoziazione dei prezzi che da un lato possano compensare i costi di investimento in ricerca e sviluppo e dall’altro garantire l’accessibilità ai farmaci?
Per i farmaci rari e ultra rari bisogna necessariamente immaginare dei sistemi di rimborso diversi. È plausibile pensare che i farmaci per malati rari e ultra rari beneficerebbero di un “sistema flat” che in Europa potrebbe essere fatto a livello centrale: in pratica si garantisce una determinata cifra all’azienda produttrice a fronte del trattamento di tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Attualmente non è così, perché ogni paese negozia per sé e negozia per paziente, col risultato che si arriva a questo tipo di cifre. Alla maggioranza delle persone risulta davvero difficile comprendere come sia possibile che un singolo farmaco possa essere pagato 4 milioni di dollari e perché Libmeldy possa costare più di 2 milioni di euro mentre il Ramipril ne costa 3, essendo entrambi farmaci salvavita. Il punto è che ci sono dietro questioni industriali e gli interessi e le opportunità di tutti gli stakeholder portano di fatto a queste cifre. Ma sarebbe meglio ripartirle in maniera diversa, garantendo un tot di euro all’azienda farmaceutica produttrice indipendentemente dal volume di pazienti che tratterà.
Anche perché alla fine, parlando di Lenmeldy/Libmeldy, questo tipo di prezzo per paziente se lo possono permettere pochissimi paesi al mondo, il che vuol dire che un bambino con questa malattia nato in più della metà dei paesi dell’Unione Europea non ne avrà accesso. Ecco perché sarebbe molto meglio fare un contratto unico europeo che garantisca l’accesso a tutti i pazienti europei.
Ci si sta muovendo in questa direzione?
Si comincia a parlare di questo sistema di pricing detto flat. La principale esperienza viene da un altro settore, quello degli antibiotici. Anche se in questo caso la situazione è opposta: gli stati hanno interesse affinché vengano sviluppati nuovi antibiotici, ma non hanno interesse a immetterli sul mercato, per salvaguardarli per l’antibiotico resistenza. Ebbene, per incentivare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici necessari per rispondere a questa esigenza, la Gran Bretagna ha deciso di procedere con i primi contratti flat (subscription model, una sorta di modello Netflix degli antibiotici), concordando una cifra fissa da dare alle aziende, che assicuri un ritorno sull’investimento indipendentemente dai volumi di antibiotici venduti. Come chi sottoscrive un abbonamento Netflix: il costo dell’abbonamento è lo stesso indipendentemente se guarda una serie o ne guarda dieci.