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Life science: servono nuove alleanze tra accademia e industria

Perché ne stiamo parlando
In occasione di Selecting Italy, due giorni di confronto organizzati da Regione Friuli Venezia Giulia e la Conferenza delle Regioni, si è discusso anche di trasferimento tecnologico e attrazione di investimenti esteri nel settore delle Scienze della Vita. Facciamo il punto con Ennio Tasciotti, Scientific Advisor del Cluster Scienze della Vita del Friuli Venezia Giulia.

Life science: servono nuove alleanze tra accademia e industria
Ennio Tasciotti, Scientific Advisor, Cluster Scienze della Vita FVG

Si è svolta a Trieste “Selecting Italy – Attrazione investimenti esteri e catene regionali del valore”. Seconda edizione dell’evento organizzato dalla Conferenza delle Regioni per l’attrazione degli investimenti esteri in Italia: due giorni di confronti e tavoli di lavoro nel corso dei quali rappresentanti delle imprese hanno incontrato rappresentanti del mondo accademico e delle istituzioni.

Tra i temi al centro dei lavori anche il settore Life science nel panel “Investments in Good Health. La catena del valore delle scienze della vita opportunità per nuovi investimenti tra ricerca, trasferimento tecnologico e mercato” che ha riunito attorno al tavolo policymaker, stakeholder industriali e scientifici. Tra questi, Ennio Tasciotti, Direttore dell’Human Longevity Program dell’IRCCS San Raffaele di Roma, Professore al Dipartimento di Scienze Umane e Promozione della Qualità della Vita dell’Università San Raffaele di Roma e Scientific Advisor del Cluster Scienze della Vita Friuli Venezia Giulia.

“Per permettere all’Italia di restare competitiva e attrattiva per i capitali esteri bisogna creare programmi congiunti di valorizzazione dell’innovazione tra università e industria. È fondamentale – ha detto Tasciotti – fare una pianificazione a lungo termine, coinvolgendo sia il settore pubblico che privato”.

Tre i pilastri su cui erigere lo sviluppo, la competitività e quindi l’attrattività del nostro Paese in un settore strategico quale quello delle scienze della vita, secondo Tasciotti: il capitale umano e quindi la formazione nelle discipline STEM; il trasferimento tecnologico, quindi la valorizzazione economica delle scoperte fatte nei centri di eccellenza per la ricerca scientifica e clinica; e le alleanze tra accademia e sistema industriale.

Lo abbiamo incontrato a margine della tavola rotonda.

Professor Tasciotti, in Italia il capitale umano nel campo della ricerca scientifica non manca, mancano però competenze per creare valore, economico e sociale, dal lavoro di ricerca. Che fare?

L’Italia può contare su un capitale umano altamente qualificato. L’Italia è al secondo posto in Europa per il numero di pubblicazioni scientifiche settoriali, nonostante prendiamo una frazione dei finanziamenti che prendono nazioni che ci seguono nella classifica. E proprio il capitale umano è il nostro biglietto da visita: la reputazione che l’Italia ha all’estero è difesa dalla massa consolidata di ingegneri, scienziati, ricercatori e clinici che occupano posizioni di rilevo in giro per il mondo e alimentano la stima per la scienza italiana.

Detto questo, però, dobbiamo cercare di compensare l’esodo dei cervelli e lo scarso tasso di rientro. E dobbiamo cercare di incentivare ancora di più i giovani a intraprendere carriere nel campo delle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e medicina), perché, purtroppo, siamo vicini al fanalino di coda, in ambito europeo, per quanto riguarda i laureati STEM. Proprio qualche giorno fa a Roma Roberto Cingolani ha sottolineato con preoccupazione la difficoltà a reperire persone laureate in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche.

Nello specifico, per quanto riguarda la formazione di competenze congrue alle nuove esigenze delle Scienze della vita, da un lato gli Istituti Tecnici Superiori possono contribuire a indirizzare i ragazzi verso una serie di nuove professioni in ambito sanitario e tecnologico per le quali al momento non esiste una formazione specifica in ambito universitario: non esiste ancora, per esempio, un esperto di Intelligenza Artificiale capace di processare e interpretare le immagini radiologiche, ma questa figura sarà sempre più richiesta dal mercato.

Dall’altro bisogna colmare una grossa lacuna formativa che contribuisce al ritardo italiano nella gestione della proprietà intellettuale e nella valorizzazione delle scoperte che nascono all’interno delle università e dei centri di ricerca.

Intende figure esperte di trasferimento tecnologico che si occupano di biotech?

Esattamente. Non esiste una laurea in tal senso. L’opportunità da perseguire in Friuli Venezia Giulia è di attivare insieme al MIB dei master che preparino i nuovi amministratori delegati delle startup biotech. Oggi in Italia non mancano i ricercatori che prendono l’iniziativa e fondano una startup, ma non poche volte l’avventura naufraga perché amministrare un’azienda e farla crescere è un mestiere diverso dal fare ricerca. Servono figure che conoscano le leve economiche e i processi gestionali per far crescere l’azienda.

In effetti nel corso della tavola rotonda lei ha ribadito l’importanza e l’urgenza di potenziare il trasferimento tecnologico dei centri di ricerca italiani, perché è una leva importante per attrarre investimenti dall’estero e far crescere l’ecosistema dell’innovazione.

In Italia abbiamo tanti centri di eccellenza scientifica, eppure la maggior parte dei fondi esteri che attraiamo sono legati alla ricerca clinica e quando il finanziamento privato arriva così a valle, anche se porta un beneficio per il paziente e il sistema sanitario nazionale e regionale, porta poco valore al territorio perché non supporta l’avanzamento e la trasformazione delle idee innovative accademiche in startup. Sarebbe allora auspicabile riuscire a incentivare gli investimenti delle aziende farmaceutiche in progetti di partenariato con i centri di ricerca universitari perché ne deriverebbe un maggior vantaggio per il sistema paese.

Del resto i dati parlano chiaro: UK attrae quasi 3 miliardi di finanziamenti americani in startup life science, l’Italia meno di mezzo miliardo e questo è indicativo della poca fiducia nel sistema burocratico italiano rispetto ai bisogni operativi di realtà dinamiche come le startup innovative.

Anche in questo caso le chiedo: che fare?

Avere un’agenzia governativa che possa affiancare l’investitore estero per guidarlo e facilitare alcuni passaggi aiuterebbe molto. Manca inoltre una mappatura delle facilities e delle competenze che i centri di eccellenza italiani possono mettere a disposizione delle aziende. Mappare la ricchezza e l’unicità dal punto di vista delle infrastrutture per la ricerca sarebbe molto utile per potenziare contatti e contratti tra industria e accademia, perché l’industria potrebbe essere interessata a demandare alle università parte delle loro ricerche anziché dotarsi internamente delle competenze e delle strumentazioni necessarie. Questa è proprio una delle attività che sta portando avanti il Cluster Scienze della Vita Friuli Venezia Giulia e in quest’ottica abbiamo accompagnato AstraZeneca a visitare Elettra Sincrotrone e il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB) per far conoscere i diversi tipi di sperimentazioni che si potrebbero condurre in questi due centri di eccellenza del territorio.

E arriviamo così al terzo pilastro: favorire e consolidare alleanze tra accademia e sistema industriale.

Certo. Nel campo farmaceutico l’Italia ha uno dei miglior comparti industriali in Europa – siamo secondi in UE – e si distingue per un’elevata produttività farmaceutica: facciamo l’1% del PIL, quasi 30 miliardi di euro. Ma facciamo poco leva sulle realtà farmaceutiche come volano di crescita.

In altre parole, avrebbe senso creare dei centri di aggregazione e favorire delle partnership tra accademia e aziende farmaceutiche, che sono ben caratterizzate dal punto di vista del tipo di prodotto, dell’area clinica, del segmento terapeutico, e potrebbero accompagnare i ricercatori universitari in percorsi esplorativi utili a capire come portare una scoperta dal bancone al letto del paziente. Ma per fare tutto ciò servono interventi programmatici, piani a lungo termine, programmi congiunti tra università e industria che mirino alla valorizzazione dell’innovazione. Su questi temi ci giochiamo il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale dell’innovazione.

Keypoints

  • Si è svolto a Trieste Selecting Italy, organizzato da Regione Friuli Venezia Giulia e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy
  • Tra i temi al centro dei tavoli di lavoro anche il settore Life science
  • Di come attrarre investimenti esteri si è discusso nel panel “Investments in Good Health. La catena del valore delle scienze della vita opportunità per nuovi investimenti tra ricerca, trasferimento tecnologico e mercato”
  • Tra gli speaker, Ennio Tasciotti, Direttore dell’Human Longevity Program dell’IRCCS San Raffaele di Roma, Professore al Dipartimento di Scienze Umane e Promozione della Qualità della Vita dell’Università San Raffaele di Roma e Scientific Advisor del Cluster Scienze della Vita Friuli Venezia Giulia
  • Tre, secondo Tasciotti, i pilastri su cui erigere lo sviluppo, la competitività e quindi l’attrattività dell’Italia nel campo delle Scienze della vita: il capitale umano; il trasferimento tecnologico; le alleanze tra accademia e sistema industriale

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