Chiamiamola pure corsa all’oro 5.0. Oggi, nel mondo, non c’è settore più attraente di quello delle Life Sciences. In questo l’Italia è un po’ come il fiume Klondike di fine ‘800, una calamita per cercatori d’oro pronti a fare bottino e portarsi tutto via. Perché anche se idee e cervelli sono per il nostro paese una risorsa “naturale”, non è affatto scontata la nostra capacità di trarne il giusto profitto. Il settore delle Scienze della vita in Italia, pur essendo ai primi posti per competitività, produttività e investimenti in R&S, sconta gli effetti di ritardi e politiche poco lungimiranti. Nell’ultimo report “Il ruolo dell’Ecosistema dell’Innovazione nelle Scienze della Vita per la crescita e la competitività dell’Italia” del The European House–Ambrosetti sui dati Farmindustria, Assobiotec e Confindustria Dispositivi Medici, e del report Report BioInItaly 2022, i numeri della filiera Life Science sono in forte crescita. Con 5.536 imprese impegnate nel settore, in aumento dell’8,4% rispetto al 2020, e con un’occupazione in crescita dell’11,6% e un export a +4,8%, il settore delle scienze della vita è il principale target italiano per gli investimenti.
Il settore delle Life Science triplicherà il suo valore entro il 2028
La pandemia e i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) hanno evidenziato l’importanza per il paese di poter contare su un sistema di ricerca scientifica all’avanguardia e di una filiera di produzione e distribuzione di farmaci e dispositivi efficiente e resiliente. In Italia il settore delle Scienze della vita – che include l’industria farmaceutica, quella biotecnologica, quella della produzione di dispositivi biomedici e i servizi sanitari – rappresenta uno degli ambiti di valore ad alta tecnologia più specializzati ed è opinione comune che possa contribuire significativamente allo sviluppo economico nazionale. “Stime dell’Ocse ci dicono che nel 2030 le biotecnologie avranno un peso enorme nell’economia mondiale: l’80% dei prodotti farmaceutici, il 50% dei prodotti agricoli e il 35% dei prodotti chimici e industriali saranno biotech”, spiega Fabrizio Greco, presidente di Assobiotec. “Un recente studio EY conferma la tendenza in crescita: secondo il report ‘Dare Valore e far crescere il settore biotech in Italia’ di prossima pubblicazione, il settore triplicherà fra il 2020 e il 2028 arrivando ad un valore di 1.447 miliardi di euro a livello globale. In questa cornice anche i farmaci biotecnologici sono una risorsa estremamente interessante e in forte sviluppo – continua -. Sempre secondo stime EY, il mercato dei biofarmaci triplicherà entro il 2028, passando da 223 miliardi di euro del 2020 a 731 miliardi”.
Greco: “Le startup giocano un ruolo essenziale”
“In Italia l’industria Biotech italiana ha attraversato una fase di forte crescita – dice Greco – grazie all’eccellenza scientifica sviluppata nel perimetro accademico e industriale e alla capacità delle aziende del settore di assorbire le innovazioni e sviluppare nuovi prodotti e tecnologie promettenti, raggiungendo 777 aziende nel 2020, con una crescita complessiva dal 2011 pari al 30,8%, soprattutto nell’ambito del Red Biotech, che genera il 73% del fatturato Biotech, pari a 8,3 miliardi di euro. Di queste, 422 sono imprese dedicate alla R&S Biotech. Gli investimenti in R&S nel campo biotech valgono 1,8 miliardi di euro, il 15,7% del fatturato complessivo. Il 26,3% di questa quota di fatturato deriva da investimenti realizzati da imprese dedicate alla R&S biotech, confermando un trend crescente di investimenti in ricerca intra-muros (le spese sostenute dall’impresa con mezzi e risorse proprie, ndr). Inoltre, gli addetti impiegati in attività di R&S nel settore Biotech hanno raggiunto i 4876, circa un 2,1% in più rispetto al precedente anno, su un totale di 13 mila addetti nelle imprese biotecnologiche”. Il settore della Salute occupa l’88% del totale di investimenti in R&S intra-muros nel 2020. “Dai dati del Report BioinItaly 2021, si conferma che la quota maggioritaria delle imprese biotech italiane – continua il presidente di Assobiotec – è rappresentata da microimprese (65,9%), seguita dalle PMI (26,6%) e infine dalle grandi imprese (7,5%). Un ruolo essenziale giocano anche le start up, che spesso forniscono specifiche competenze e conoscenze alle aziende più ‘tradizionali’, aventi, invece, le risorse e gli asset necessari per raggiungere il mercato. Nel 2020, i nuovi posti di lavoro nel campo Biotech sono attribuibili proprio alle start up, per una quota pari al 65%”.
Buona ricerca e tante pubblicazioni non sono sufficienti
“L’Italia in questo settore – commenta Greco – vanta imprese d’eccellenza, ma se paragoniamo alcuni dei nostri numeri con quelli di paesi a noi anche molto vicini, ci accorgiamo che la buona ricerca e le tante pubblicazioni non sono sufficienti a rendere il Paese attrattivo e competitivo. Nel 2020 gli investimenti in R&S nelle Life Science erano 1.660 milioni di euro, in Francia quasi 4.500, in Germania circa 7.800. Quelli in VC Biotech Life Science, seppure in crescita di circa il 50% rispetto al 2019, si attestavano a 62 milioni di euro rispetto agli 884 milioni della Francia, cresciuti dell’88% rispetto all’anno precedente”. Molti i punti di forza del biotech italiano, ma molti ancora i punti di debolezza. “Abbiamo un’eccellente ricerca di base, uno straordinario capitale umano, importanti competenze produttive – spiega il presidente di Assobiotec – alle quali però si devono sommare scarsa capacità di attrarre investimenti, un debole sistema di trasferimento tecnologico, carenza di brevetti, lentezza della burocrazia, frammentazione regionale e soprattutto la mancanza di una politica dell’innovazione. Fattori che pregiudicano fortemente la crescita e il rafforzamento di un comparto strategico per il Paese. Pensiamo a quanto il biotech con vaccini, diagnostica e bio-farmaci ha fatto in tempo di Covid e quanto oggi le biotecnologie applicate all’agricoltura e all’industria possono fare per conciliare crescita e sviluppo sostenibile”.
I fattori abilitanti che possono liberare le energie del biotech
L’Italia è dunque in forte ritardo in questa corsa 5.0. “Bisogna inserire la marcia per recuperare il terreno perso”, sottolinea Greco. “C’è un’immagine che uso spesso per spiegare la complessità dell’ecosistema delle biotecnologie e come, dal nostro punto di vista, sarebbe opportuno muoversi come sistema Paese. È il biotech journey: un’immagine di un viaggio, quello che percorre un’idea dalla sua nascita sino a trasformarsi in soluzione innovativa, per i pazienti o per i cittadini. Lungo questo viaggio – continua – si incontrano tante stazioni con numerosi nodi da sciogliere. I fattori abilitanti per liberare le energie del biotech sono, dal nostro punto di vista, la formazione, la ricerca di base e lo sviluppo clinico, il trasferimento tecnologico e le collaborazioni pubblico-privato, la crescita e lo sviluppo di start-up e pmi, la produzione, l’accesso ma anche la semplificazione normativa e burocratica. Un ecosistema vitale dovrebbe consentire l’interazione dinamica e positiva tra tutte queste componenti. Ogni passaggio richiede specifici approfondimenti e l’identificazione di soluzioni condivise che possono essere semplici o complesse ma che necessitano di una comune visione sull’importanza delle biotecnologie e sulla consapevolezza che continuare con lo status-quo lascerà l’Italia ai margini della competizione globale”.
L’innovazione è un problema quando si parla di prodotto
Si sente la forte l’esigenza di conciliare il bisogno di innovazione con quello di sostenibilità. “Innovazione e sostenibilità non sono due linee parallele che mai potranno incontrarsi”, sottolinea il presidente di Assobiotec. “Al contrario proprio investire e riconoscere il forte valore dell’innovazione è la strada per garantire la sostenibilità. Nel nostro paese – prosegue – esiste un paradosso: l’innovazione è un valore quando si parla di ricerca ma poi diventa un problema quando si trasforma in prodotto. Per conciliare innovazione e sostenibilità nelle Life Sciences serve ridisegnare la governance farmaceutica, riconoscere il valore dell’innovazione in termini socio-economici, lavorare a nuovi modelli di finanziamento, ma anche garantire un adeguato finanziamento all’innovazione. È necessario cambiare prospettiva e focalizzarsi nella generazione di salute, competenze e valore economico, così da avere le risorse necessarie per poterci permettere le nuove terapie e generare un ciclo virtuoso di benessere per il Paese”. Fondamentale è la partnership pubblico-privato. “Nel settore delle Scienze della Vita, in particolare, l’interazione tra privato e pubblico – aggiunge Greco – è elemento chiave che scorre lungo tutto il viaggio del prodotto biotech e che deve essere sviluppata per il progresso scientifico. Una collaborazione intensificata è più che auspicabile. È un obiettivo da perseguire che potrà far ulteriormente crescere il nostro Paese, restituendo al territorio un tessuto produttivo rafforzato, costruito sulla frontiera dell’innovazione, alimentando un circolo virtuoso di conoscenza e valore per il settore e per il paese”.
Boggetti (Confindustria DM): “Aziende in sofferenza per il nodo payback”
“Abbiamo una ricerca in Life Science molto in fermento anche per effetto del PNRR”, sostiene Massimiliano Boggetti presidente di Confindustria Dispositivi Medici. “Al contrario per quanto riguarda invece la parte ospedaliera, quindi la ricerca sanitaria, a mio avviso, stiamo soffrendo molto l’effetto al legato al tema ‘payback’ che riguarda il mondo dei dispositivi medici”. Il “payback sanitario” è un meccanismo che ha lo scopo di fronteggiare l’aumento di spesa sanitaria pubblica, quando le regioni superano i tetti di spesa sanitari preventivati al 4,4%. Questo meccanismo chiama in causa le imprese che nell’annualità di riferimento hanno commercializzato i dispositivi medici a ripianare lo scostamento dal tetto di spesa stabilito, in concorso con la regione. Questa “tassa”, ovviamente molto osteggiata dalle imprese, secondo Boggetti, potrebbe rallentare e compromettere l’impegno dell’Italia verso lo sviluppo delle Life Science. “Si tratta di una difficoltà solo italiana perché il mondo della scienza della vita a livello globale sicuramente è molto attivo”, dice il presidente di Confindustria Dispositivi Medici. “Nei paesi più sviluppati l’emergenza Covid ha portato a investimenti importanti, a una maggiore focalizzazione sul mondo della salute e quindi il mercato è attivo. Ci sono poi paesi in via di sviluppo dove gli investimenti stanno crescendo. Poi ci sono altre aree geografiche – continua – che hanno capito che alcuni modelli sanitari richiedono investimenti nel mondo della scienza della vita. A livello globale, dunque, le Life Sciences sono un settore in forte sviluppo”.
Il settore Life Science è tanto attivo quanto complicato
Ma c’è un altro aspetto, spesso sottovalutato che può avere un impatto importante sul settore ed è quello della complessità regolatoria. “Oggi diventa sempre più complicato riuscire a reimmettere nel mercato innovazione. Poi c’è il tema molto complesso della cybersecurity, un fattore molto critico. Insomma – continua Boggetti – il nostro mondo è molto bello perché è molto attivo, ma sta diventando giorno dopo giorno sempre più complicato e più capital intensive. Questo richiederebbe nel nostro paese un intervento politico molto specifico”. L’industria fa fatica a orientarsi. “L’industria dei dispositivi medici è disarmata perché è chiaro che in una situazione come quella attuale, il risentimento è molto forte. È un momento di attesa – aggiunge il presidente – e ci auguriamo che questo governo comprenda e capisca. Non è solo il payback, ma ci sono altri nodi che vanno risolti: dal nuovo codice degli appalti ai tempi della burocrazia fino all’osservatorio nazionale dei prezzi. In questo momento ci sono tante domande a cui non abbiamo risposte chiare”. Tuttavia, anche Boggetti è convinto che non possiamo più rimanere fermi in questa impasse. “L’innovazione è l’unica chiave di lettura di un paese come il nostro che ha un trend demografico in calo – sottolinea – e una popolazione che invecchia in cattiva salute. I problemi che abbiamo sono oggettivi, quindi bisognerà capire come esattamente dovremo muoverci perché non è pensabile che senza innovazione si possa gestire una popolazione con sempre più bisogni di salute e un Servizio sanitario nazionale che non è in grado di farvi fronte”. Il PNRR è un inizio, ma non la soluzione. “Non è la panacea per tutti i nostri mali, ma è una piccola iniezione, quello che si spera è che sia un catalizzatore di investimenti”, conclude Boggetti.
Nonostante la filiera Life Science possa essere un motore per la crescita del paese, continuano a permanere “vecchi” problemi culturali e politici che impediscono al settore italiano di esprimere al meglio le proprie potenzialità e di trarne il massimo vantaggio. Senza interventi politici mirati a sostegno della filiera, il nostro paese non riuscirà ad affrontare e gestire la complessità crescente del settore Life Science, rischiando di perdere tutto il vantaggio iniziale.