La scia positiva registrata nell’ultimo biennio dal mondo delle start up quest’anno rischia di subire una frenata. I numeri del primo semestre non sono confortanti (-57% di investimenti in imprese emergenti secondo quanto riportato da Italian Tech). Per Antonio Danieli, vicepresidente della Fondazione Golinelli e amministratore unico di G-Factor, le previsioni negative sarebbero ancora confermate soprattutto per due aspetti: «Frenata del pubblico (che tanto ha contribuito negli anni scorsi) e frenata del privato corporate, a livello europeo e, ancor più, italiano. Se quest’ultimo comparto aveva finalmente dato l’abbrivio necessario – ha aggiunto – ora le imprese sono guardinghe perché l’inflazione e il costo del denaro consigliano prudenza». Nel frattempo, cresce la voglia di rilanciare il comparto. A dare una boccata d’ossigeno ci pensano programmi come I-Tech Innovation, un percorso personalizzato di accelerazione che offre investimenti, incontri di mentoring e opportunità di business networking, supportato da Fondazione Golinelli e CRIF, arrivato alla sua terza edizione.
Vi aspettavate un cambio di rotta?
«Sapevamo già alla fine dell’anno scorso che gli investimenti sarebbero crollati. Il 2022 è stato un anno record per l’Italia, in questo ambito, inanellando così due anni con incrementi positivi e in un certo senso il Paese si era rimesso in scia dei Paesi europei più virtuosi: sempre distanziati, ma almeno si è iniziato a parlare di ordini di grandezza a nove zeri. Da un lato, dunque, occorrerà vedere come avanzerà il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), capire quali saranno le strategie future di CDP (Cassa depositi e prestiti) e, dall’altro, assistere a quanto sarà confermata la voglia di innovazione delle imprese italiane. Tre, a mio avviso, i punti da cui ri-partire soprattutto per l’ambito Life Sciences».
Quali?
«Conferma della qualità elevata della ricerca italiana, che è sempre più attrattiva anche per capitali internazionali più allenati da sistemi maturi maggiormente propensi all’investimento, anche su iniziativa privata del singolo cittadino investitore, oltre che ovviamente su base professionale istituzionale e corporate. La necessità del mondo imprenditoriale di dimostrare la propria apertura all’innovazione (requisito sempre più richiesto dagli investitori internazionali e dal mercato). Infine, la crescita della cultura del trasferimento tecnologico e dell’approccio traslazionale integrato nel settore della salute, “dai laboratori di ricerca, fino alle corsie in clinica”. Nei prossimi tre anni potremmo contare meno investimenti in fase early stage, ma il lavoro fatto nei quindici anni precedenti potrebbe iniziare a dare i frutti per quanto concerne i casi di successo. Non saranno, in generale, tre anni facili».
Si è conclusa da qualche mese la seconda edizione di I-Tech Innovation Program e si scaldano i motori della terza. Come si strutturano le varie fasi del programma?
«G-Force 2022 si è già concluso con l’accelerazione di 12 start up selezionate tra oltre 250 provenienti da tutta Italia. Dal 2018 ad oggi, nell’ambito di quattro programmi, gli ultimi due dei quali con il nome I-Tech Innovation, sono state esaminate oltre 800 start up da tutta Italia, e ne sono state selezionate e accelerate 31. L’incubatore-acceleratore è entrato come socio nel capitale sociale con quote di minoranza tra il 5 e il 15 per cento in 21 di queste giovani aziende, in ambito Life Science e provenienti e operanti in tutta Italia, investendo complessivamente 2,5 milioni di euro sino ad ora in equity, e realizzando al momento due exit complete. Nel complesso, le start up hanno effettuato più di 20 aucap (aumenti di capitale) raccogliendo per ora circa 17 milioni di euro. È in realtà già aperta la nuova call, il terzo programma I-tech Innovation 2023-24 (quinto bando in assoluto per G-Factor), per cui è possibile iscriversi fino a metà ottobre prossimo. Le giovani aziende saranno selezionate e scelte entro dicembre. Poi dovranno perfezionarsi gli accordi contrattuali ed effettuarsi i passaggi notarili e, a febbraio 2024, inizierà la fase intensiva di accelerazione fino alla fine del mese di aprile; poi, ci sarà la seconda fase di follow up mentoring fino all’investor day a giugno 2024».
Su cosa si basa la vostra selezione?
«Su tanta competenza, tanto senso di responsabilità e tanto coraggio e tradurrei il tutto, in sintesi, in una parola sola: visione. G-Factor, soprattutto nel settore delle Life Science, che è quello di elettivo interesse per Fondazione Golinelli che la controlla ad oggi al 100%, interviene in fase early stage, laddove gli investitori neanche si affacciano perché il tasso di rischio è troppo elevato. Ci posizioniamo di fatto con un piede dentro i laboratori delle più importanti realtà di ricerca pubbliche e private italiane, con cui dialoghiamo direttamente e personalmente senza intermediari. Questo è un terreno ancora troppo rischioso per Venture Capital, per imprese, per business angels e per chiunque altro investitore, ma è un passaggio fondamentale, di fatto il primo architrave del ponte tra i due mondi della ricerca e quello del mercato. G-Factor ha aperto un varco in Italia per molte start up (e i fatti stanno dimostrando che ha avuto ragione a farlo) che altrimenti non avrebbero avuto opportunità».
Questo significa dare speranza per malattie fino ad oggi incurabili?
«Serve la ricerca, e poi è necessario fare arrivare i prodotti della ricerca nei reparti delle cliniche. L’obiettivo è l’impatto positivo sulla società per una risposta concreta ai medical needs e ai medical issues ancora inevasi, valorizzando al contempo i frutti della ricerca italiana e aspirando alla creazione, alla crescita, e all’arrivo al mercato di nuove aziende, e dunque alla creazione di nuovi posti di lavoro, soprattutto per giovani ricercatori e giovani imprenditori. Sicuramente servono molti investimenti, ma inizialmente – per sconfiggere le inerzie e far uscire dai cassetti dei laboratori i brevetti – le priorità invero sono quasi sempre altre, ivi compreso la necessità di superare barriere culturali e di mentalità».
Il ritorno dalle eventuali exit per G-Factor viene re-investito?
«Sì, nella sostenibilità della società e nel turnaround del fondo per gli investimenti futuri in logica rolling forward. Per fortuna, sono tanti i partner strategici con cui si dialoga bene e senza cui sarebbe impensabile lavorare. Infatti, il nostro deve essere un mestiere di rete e di sistema, in cui ogni attore agisce secondo le proprie priorità e peculiarità, ma dialogando per il bene dell’innovazione del sistema Paese. Università, centri di ricerca, acceleratori, investitori, corporate, start up e amministrazioni. Attori pubblici e privati insieme: nessuno ce la fa da solo. Infatti, in questi anni in generale nel sistema Paese si è perso tempo: occorrerebbe avere maggior coraggio di “competere e cooperare” davvero. Si è inneggiato molto alle reti in termini di comunicazione, ma di fatto si è assistito a una scarsa collaborazione e a una forte polarizzazione territoriale. Ben vengano i nodi di una rete, se davvero dialogano tra di loro».
Quale potrebbe essere il problema?
«La cultura italiana prevalente è ancora conservativa, dunque l’inerzia da vincere del sistema nel complesso è ancora forte. Ma sicuramente G-Factor non desisterà: siamo consapevoli che la missione da perseguire è ultra decennale».
Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a scegliere, tra le dieci start up, Aequip e Justep?
«Aequip è un esempio di intelligenza artificiale applicata all’imaging a scopo diagnostico preventivo. Si possono così salvare molte vite. È una tecnologia avanzata e di urgente adozione in Italia. La penetrazione da parte degli early adopters e dei final user nel sistema sanitario è il tema focale. Ergo: occorrerebbe sempre più, in ambito Life Sciences, in Italia cambiare approccio culturale e aver il coraggio quantomeno di provare a immaginare e a perlustrare nuove modalità procedurali e giuridico amministrative nell’ambito degli assetti del sistema sanitario. Non stupiamoci poi se le nostre start up innovative migrano all’estero, che poi l’internazionalizzazione peraltro è auspicabile e fisiologica nello sviluppo di una impresa».
Justep?
«In realtà è stata scelta dal partner EmilBanca del Gruppo Iccrea, come esempio molto interessante di utilizzo della tecnologia in ambito social impact. G-Factor, infatti, per know-how e provenienza, investe tradizionalmente in ambito Life sciences (molecole, dispositivi, bio-informatica/bio-ingegneria, digital health) ma le competenze maturate in questi anni hanno attratto la possibilità di collaborazione con altri partner industriali per la realizzazione di programmi di accelerazione in altri settori verticali, che sono ad oggi: fintech/insurtech, agritech/foodtech, social impact, industry 4.0, smart mobilities and travel. Oltre alla già citata EmilBanca, i partner industriali ed istituzionali principali ad oggi di I-Tech Innovation 2023 sono: Crif Group (co-promotore assieme a Fondazione Golinelli), il Competence Center Bi-Rex, la Città metropolitana di Bologna, il Comune di Bologna, il Comune di Imola, l’aeroporto di Bologna e Search on. Come detto, il programma ha orizzonte nazionale ed il bacino di azione di G-Factor è euro-mediterraneo».
L’intelligenza artificiale come impatterà sul mondo delle start up?
«L’impatto mondiale sarà enorme ed ineluttabile nei prossimi anni. Poi occorre fare dei distinguo settoriali e geografici. Se Microsoft ha investito 10 miliardi in OpenAI è perché si aspetta un ritorno di almeno uno, se non due, ordini di grandezza superiori. L’IA, soprattutto gli LLM, cioè l’IA applicata al linguaggio, contribuirà all’economia globale per 7 trilioni di dollari entro 10 anni, pari a 6/7 punti di Pil (Prodotto interno lordo) dell’economia mondiale. Spesso la IA arriva al mercato attraverso le start up, che poi scalano da sole fino a divenire unicorni, o incrociano le corporate nella logica della open innovation; dunque il loro ruolo sarà fondamentale e da protagoniste. E non sarà una moda passeggera. Certamente la questione è molto complessa, e non possiamo qui omettere: la portata epocale del fenomeno e che gli impatti economico, sociali e culturali andranno monitorati, compresi e gestiti, perché – a certe velocità e livelli di potenza tecnologica – i conflitti per le egemonie, per non dire supremazie, sui mercati potranno essere anche molto aspri».
Nello scacchiere internazionale, come si posizionano Italia ed Europa?
«Sono indietro e più deboli, rispetto al resto del mondo, sia come investimenti sia come prontezza dei sistemi regolatori e giuridici ad accogliere la IA; ovviamente la contrapposizione forte si avrà soprattutto tra i quadranti Atlantico e Pacifico. Nel settore Life Sciences l’applicazione della IA, per esempio: alle neuroscienze, alla genetica, alla robotica, alla scoperta di nuove molecole, all’imaging, alle nanotecnologie, alla bio-informatica, alla bio-ingegneria, alla prevenzione e screening, all’efficientamento dei sistemi sanitari, alla medicina di precisone, alla biologia quantistica e a molto altro, porterà innegabili benefici e saranno generate inaspettate innovazione e cure sino ad oggi impensabili. Per questo, occorre continuare ad investire in ricerca, ma anche in formazione, cultura dell’innovazione ed in educazione sin dalle scuole, per cercare di non rimanere troppo indietro come Paese a livello internazionale».