L’adozione dell’Intelligenza artificiale (Ai) nel settore sanitario sta accelerando rapidamente, promettendo di trasformare radicalmente la medicina moderna sotto tanti punti di vista, dalla diagnostica alla programmazione. Ma quali sono le applicazioni pratiche? Quali i risvolti legali da tenere in considerazione? E come si sta posizionando l’Europa rispetto agli Stati Uniti nella regolamentazione della nuova tecnologia? A queste domande hanno provato a dare risposta Oreste Pollicino, Full Professor of Constitutional Law & AI Regulation, Bocconi University e Founder della OP AIDVISORY; Francesca Aurora Sacchi, componente del Consiglio direttivo SIIAM – Società italiana Intelligenza Artificiale in Medicina e Noemi Conditi, avvocata presso lo Studio Legale Stefanelli & Stefanelli e dottorata presso l’Università di Bologna in Law, Science and Technology, nel libro Is Ai the perfect doctor? (Egea).
Il testo, in uscita a marzo 2025, esplora le complesse implicazioni dell’Ai nel settore sanitario, offrendo una prospettiva multidisciplinare che unisce policy pubblica internazionale e aspetti legali.
Dai target terapeutici alla gestione delle procedure ospedaliere
Prima di capire il framework normativo è bene individuare in quali perimetri questa nuova e dirompente tecnologia viene usata in ambito sanitario a livello globale. Le applicazioni sono infatti molteplici, spiega Sacchi in collegamento da Boston: «L’Ai può accelerare significativamente processi come l’individuazione di target terapeutici ma anche fornendo supporto alla diagnosi e all’analisi dei trend epidemiologici per i policymaker, quindi aiutando a capire ad esempio i trend di alcune patologie, se ci sono popolazioni più a rischio e come programmare le cure».

Inoltre, aggiunge Conditi, «l’Ai sta rivoluzionando l’organizzazione ospedaliera, dalla gestione interna alle interazioni con i pazienti, ad esempio attraverso l’uso di chatbot». Conditi enfatizza inoltre il ruolo dell’Ai nella personalizzazione delle cure, sia come supporto decisionale per i medici nella scelta del percorso terapeutico sia attraverso dispositivi wearable, il che, nota, «apre a una serie di tematiche, tra le quali la trasparenza e la comprensione dei sistemi nonché il digital divide».
Le sfide, dai tecnicismi alla privacy
Considerando i molteplici usi – nonché la velocità con cui questa tecnologia sta evolvendo – incastrare l’Ai in un framework legale non appare un compito facile. E infatti i Paesi del mondo vanno in ordine sparso, seguendo direttrici più protezionistiche (l’Ue) con l’Ai Act o meno invasive (gli Usa).
In generale, Conditi racchiude le sfide in due macro-ambiti, il primo è tecnico-regolatorio: «In Europa qualunque operatore – anche gli utilizzatori – che adoperi dispositivi Ai deve navigare tra l’AI Act e il regolamento Ue MDR del 2017, che norma l’uso di dispositivi medici, con requisiti sempre più stringenti che vanno dalla sicurezza del software fino ad alcune caratteristiche tecniche del dispositivo». Di conseguenza, «chi produce ad esempio un dispositivo indossabile con Ai deve verificare quali requisiti rispettare e talvolta può doverlo fare validare da soggetto esterno. Insomma, gli obblighi sono aumentati e alcuni sono finiti anche in capo a chi utilizza il sistema Ai, cioè di solito chi ha la responsabilità dell’erogazione della prestazione, quindi la struttura o il medico, che dovranno verificare di poter usare quel sistema». Fondamentale sarà dunque «che chi fornisce questo sistema sappia utilizzarlo e compiere ogni passo correttamente, a partire dall’inserimento dei dati», aggiunge.

Secondo ambito, non meno rilevante, è quello legato a privacy e cybersicurezza. «La gestione dei dati rimane una sfida cruciale», osserva l’avvocata. «Il problema principale – aggiunge – è dove si vanno a reperire i dati e come vengono utilizzati, specialmente se si adottano software open source». A tal proposito l’Ai Act «ha esplicitamente esteso all’Ai la normativa esistente riguardo alla protezione dei dati con relativa modalità di trattamento già indicata ad esempio nella direttiva Gdpr , anche se le possibili differenziate applicazioni potrebbero causare problemi di sicurezza e ricadute sui pazienti. Ciò che manca è un’armonizzazione completa su alcuni aspetti del Gdpr».
Tema questo che dovrebbe essere affrontato nello European health data space (EHDS), cioè la proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sullo spazio europeo dei dati sanitari del 3 maggio 2022 che punta a istituire uno spazio europeo dei dati sanitari prevedendo disposizioni, norme e prassi comuni, infrastrutture e un quadro di governance per l’uso primario e secondario dei dati sanitari elettronici.
Confronto Europa-USA
Si tratta di un regolamento molto atteso anche perché, osserva Pollicino, «nell’AI Act europeo manca un approccio univoco e onnicomprensivo per la sanità, lasciando irrisolto il dilemma tra protezione dei dati e loro utilizzo nell’ecosistema IA». E negli Stati Uniti? «Mentre l’Ue ha normative stringenti e cerca di liberalizzare l’uso dei dati, gli Usa partono da una base normativa più debole, basti pensare che la principale legge sulla privacy dei dati sanitari in vigore, la HIPAA, risale al 1996. Alcuni Stati, tuttavia, fra i quali la California, hanno lavorato per innalzare gli standard di sicurezza», spiega Sacchi.

L’arrivo di Donald Trump nel suo secondo mandato quale Presidente degli Stati Uniti potrebbe promette di mantenere le maglie larghe: «Trump, ma gli Usa nella loro storia, hanno sempre avuto un approccio favorevole alla deregolamentazione per promuovere l’innovazione. Con Barack Obama prima e con Joe Biden dopo c’è stata maggiore attenzione a costruire un quadro basato sui principi e sull’etica, ma per Trump le priorità appaiono più rivolte alla cybersicurezza,alla protezione dall’esterno e alla competitività con altri paesi come la Cina». Oltre Oceano la circolazione dei dati è dunque più libera, ma ciò solleva preoccupazioni sulla privacy. «La sfida vera è trovare un equilibrio che protegga da applicazioni inappropriate dell’Ai, consentendo al contempo innovazioni per la tutela della salute», conclude Sacchi.
Prospettive future
Pollicino sottolinea poi la necessità di una maggiore centralizzazione a livello Ue: «Serve una legge ponte che possa unificare il mercato europeo, attualmente frammentato», dice.
Gli autori concordano sulla crucialità dell’alfabetizzazione digitale, dal personale sanitario ai pazienti fino agli enti regolatori. «L’Ai stessa potrebbe fornire soluzioni, ad esempio nella traduzione di concetti medici complessi», suggerisce Sacchi.