La digitalizzazione sta trasformando radicalmente il settore della medicina di laboratorio, introducendo nuove efficienze e capacità diagnostiche. Tuttavia, questa trasformazione non procede in modo uniforme e presenta diverse sfide, sia sul fronte dell’implementazione tecnologica che su quello della formazione professionale. Ne abbiamo parlato con l’esperto Marco Manca, Co-Founder and Chairman of the Board of Directors at SCimPulse Foundation.
Quali sono le principali “criticità” o sfide nell’adozione del digitale nel laboratorio medico oggi?
«ll futuro è già qui ma non è equamente distribuito. Questo significa che, mentre alcuni settori e laboratori sono all’avanguardia nell’adozione di tecnologie digitali e robotiche, altri rimangono indietro. Ad esempio, i laboratori pubblici tendono a essere meno avanzati. Negli ospedali universitari c’è la necessità di bilanciare la flessibilità con l’importanza della formazione e dell’educazione delle nuove generazioni, il che spesso si traduce in un maggiore lavoro manuale rispetto ai grandi laboratori aziendali completamente robotizzati.
Questo è anche influenzato da considerazioni sui costi del lavoro, dato che pagare un dottorando in un ospedale universitario può essere più economico rispetto a un tecnico di laboratorio in una grande azienda. Sul fronte della formazione, una criticità emergente è la necessità che i futuri professionisti della medicina acquisiscano esperienza pratica con le soluzioni digitali per comprendere le loro modalità di fallimento e i bias che possono introdurre.
L’Italia, in particolare, è “un po’ più indietro” nell’offrire esperienze di apprendimento basate sui problemi e nella promozione di collaborazioni interdisciplinari, cruciali per interagire efficacemente con figure come gli ingegneri»
Quali competenze saranno fondamentali per i futuri professionisti della medicina in un contesto ibrido tra scienza della vita e scienze dei dati?
«Ci sono due considerazioni parallele da fare. In primo luogo, i professionisti del futuro dovranno avere più competenza negli aspetti umani della loro pratica. Man mano che le macchine assumono competenze tecniche e ci sollevano da lavori interpretativi sarà sempre più legittimo aspettarsi una maggiore capacità di integrare altri livelli della complessità della cura, come le condizioni cliniche e sociali del paziente. In secondo luogo, un buon operatore sanitario del futuro dovrà avere esperienza pratica e non solo teorica, con le soluzioni digitali, incluso il machine learning».
In che modo oggi la digitalizzazione sta influenzando i laboratori medici?
«Oggi il digitale permea l’intero percorso del laboratorio medico: dalla gestione avanzata dei magazzini al tracciamento dei materiali biologici per assicurare la conservazione della catena del freddo o l’identificazione di eventuali contaminazioni per gli audit. Copre anche l’acquisto e lo smistamento dei reagenti. In alcuni laboratori esistono catene completamente robotizzate, dove piccolissimi volumi di campioni biologici possono essere analizzati con alta precisione in atmosfere controllate. I tecnici, in questi ambienti, sono diventati esperti digitali, focalizzati sull’ottimizzazione dei protocolli e sul debugging degli errori, mentre l’intera pipeline è robotizzata.
Oggi si parla di patologia digitale, dove l’acquisizione dei vetrini avviene tramite microscopi programmati con componenti robotiche per lo scanning e il cambio dei campioni. Le librerie digitali sono gestite su registri certificati da soluzioni moderne e l’interpretazione è spesso aumentata dal co-piloting tra operatori, anche a distanza, o da sistemi di intelligenza artificiale che individuano aree di interesse o suggeriscono diagnosi.
L’intelligenza artificiale, come dimostrato dal lavoro di DeepMind sul folding delle proteine (AlphaFold), ha anche rivoluzionato la chimica di laboratorio, accelerando processi che prima richiedevano anni di lavoro umano a pochi minuti, democratizzando l’accesso a conoscenze di altissimo livello».
Quali modelli educativi e approcci formativi sono suggeriti per l’acquisizione delle competenze necessarie ai futuri professionisti, in particolare per quanto riguarda l’integrazione di esperienze pratiche e l’uso dell’intelligenza artificiale?
«Per acquisire le competenze necessarie, i futuri professionisti dovrebbero condividere spazi fisici e dialogare con figure diverse, come gli ingegneri. Questo implicherebbe una formazione condivisa entro certi limiti, in cui, attraverso esperienze comuni, imparino a comunicare e collaborare efficacemente. Modelli educativi come il “problem based learning”, diffuso in Olanda, sono molto apprezzabili. Questo metodo sostituisce le lunghe letture formali con esperienze di laboratorio guidate e scenari in cui i gruppi possono sperimentare anche il fallimento, comprendendo poi cosa è successo e come avrebbero potuto agire diversamente.
Questi percorsi sono spesso interdisciplinari. Sebbene l’Italia sia ancora molto brava nella preparazione teorica, offre meno esperienze pratiche di questo genere nei programmi di studio rigidi. Si suggerisce di includere una parte di queste esperienze basate sul problem based learning già nel primo semestre del primo anno di medicina, anche per chi poi potrebbe indirizzarsi verso altre carriere come biologia o farmaceutica.
Inoltre, la formazione dovrebbe insegnare agli studenti a sfruttare l’intelligenza artificiale in modo maturo e intelligente nel loro percorso di studi, arricchendo le proprie performance piuttosto che seguirla pedissequamente. L’intelligenza artificiale deve essere vista come un ottimo supporto, ma non un sostituto dello studente o del professionista».