
La valutazione delle tecnologie sanitarie o Health Technology Assessment (HTA) è un processo multidisciplinare che sintetizza le informazioni su temi clinici, economici, sociali ed etici legati all’uso di una tecnologia sanitaria, in modo sistematico, trasparente e imparziale. Scopo dell’HTA è fornire strumenti con cui contribuire alla messa a punto di politiche sanitarie sicure, efficaci, efficienti, incentrate sui pazienti e mirate. Fra i temi che considera, figurano sia quelli clinici (rapporto fra salute e uso attuale della tecnologia, caratteristiche tecniche, sicurezza, efficacia clinica) sia non clinici (costi ed efficacia economica, analisi etica, aspetti organizzativi, aspetti sociali, aspetti legali). Intervenendo all’Health Innovation Global Forum, Rosanna Tarricone, Associate Dean presso SDA Bocconi School of Management, illustra le prossime sfide e di come un uso corretto dell’HTA sia una soluzione.
Roberta Rondena, Country Value & Access Head di Novartis, Francesca Patarnello, Vice President Market Access Government Affairs presso AstraZeneca, Monica Gibellini, Government Affair, Policy & Patient Engagement Director di Johnson & Johnson Innovative Medicine, Paolo Fedeli, Corporate Affair Head presso Sandoz, e Walter Ricciardi, Professore Ordinario d’Igiene e Medicina Preventiva all’Università del Sacro Cuore, esprimono il loro parere in merito.
Sfida demografica: meno figli e più anziani
«Nel 2023 in Italia vivevano quasi 59 milioni di persone con una percentuale di oltre 65 anni che non arrivava al 20%», spiega Tarricone. «Si prevede che nel 2100 non arriveremo a 37 milioni di persone, quindi avremo una decrescita importante, ma soprattutto con una percentuale di oltre 65 anni che sfiora il 40%. Ciò avrà un impatto sul nostro welfare in generale, non solo sul sistema sanitario. Il nostro sistema di assistenza sociale, pensato decenni fa, avrà delle grosse difficoltà se da 59 si arriva a 36 milioni di cui quasi la metà non lavora più. Si creerà uno squilibrio tra chi contribuisce alla sostenibilità del sistema sanitario e del welfare system e chi ne usufruisce. C’è un tema di dipendenza. L’Age dependency ratio, ovvero la percentuale di popolazione lavorativa, ci dice che se avevamo un indice pari a 76 a livello globale, poi sceso a 55 nel 2022, in Italia questo ratio è pari a 20 ed era pari a 20 già nel 2020».
Sostenibilità della spesa sanitaria e patologie croniche
Sempre più anziani, per di più complessi. «Sono in aumento sia tutte le patologie croniche, sia la comorbidità. Il paziente diventa sempre più complesso. Circa il 40% delle persone che ha più di 65 anni vive con almeno due o più patologie croniche, che rappresentano un fardello economico importante. Secondo il Global Economic Burden of Disease, se consideriamo la perdita economica a livello cumulativo delle patologie croniche tra il 2010 e la proiezione fino al 2030, essa rappresenta o rappresenterà il 75% del PIL globale calcolato rispetto ai dati iniziali della stima. In totale, nel 2038 ci si aspetta che il 46% della popolazione italiana, bambini compresi, avrà almeno una patologia cronica, con un’ulteriore sofferenza della spesa sanitaria: già nel 2022, il 60% della spesa pubblica italiana è stata impiegata nella gestione delle patologie croniche».
Innovazione tecnologica: quanta ne serve e come assorbirla
«Rispetto a qualsiasi innovazione, il limite è dato dalla capacità di misurare il valore. La domanda non è tanto se funziona quell’innovazione, quanto se ne vale la pena. Il legislatore deve avere il coraggio di dire anche che non è necessaria. Quanto possiamo permettere questa innovazione? Bisogna misurarne il valore».
Usare bene l’HTA
«L’errore è credere che l’HTA sia una valutazione in cui si confrontano alternativa A e alternativa B. L’HTA non è una comparazione miope tra i costi sanitari e i suoi risvolti. L’HTA raccoglie tutte quelle evidenze che rispecchiano aspettative e bisogni di tutti gli stakeholder, ovvero la società. Già, perché finché si tratta di un sistema sanitario pubblico, finanziato dalla contribuzione fiscale dei cittadini, ci si rivolge alla società nel suo complesso. Quindi la società è lo stakeholder, e si compone di chi acquista, chi usa le tecnologie, chi le subisce perché è un paziente. Ci vuole una visione pragmatica: come allocare le risorse, quindi qualificare questa spesa in modo da massimizzare la produzione di salute. Per massimizzare la funzione di utilità di una società intera bisogna conoscerne le aspettative, diverse se non addirittura contrastanti».
«Capire come saranno il mercato e il sistema sanitario»
«Come aziende», commenta Patarnello di AstraZeneca, «lavoriamo in un ambito in cui la ricerca e sviluppo impone anni per mettere a punto qualche tecnologia che paga. Non è detto che quando è pronta troverà un sistema come quello che era all’inizio dello studio, con le stesse prospettive di risorse allocate, le stesse aspettative, abitudini o linee guida. Oggi dobbiamo concentrarci su come usare bene i farmaci nel nostro sistema e come adattarli sempre di più a quello che è un contesto, anche in termini di allocazione delle risorse».
Nuovo regolamento HTA: «Un’occasione per l’Italia»
Il nuovo Regolamento europeo sull’HTA, entrato in vigore quest’anno e che da gennaio 2025 vedrà la sua piena applicazione, ha come novità la centralizzazione e l’armonizzazione. Le tecnologie sanitarie verranno valutate su dati ed evidenze cliniche a livello centrale. Fino a poco tempo fa, ogni paese adottava il proprio sistema, con il risultato che la valutazione di un vaccino, farmaco o dispositivo medico variava tra i 27 Paesi Membri. «Il nuovo Regolamento parte dal presupposto che lo sviluppo delle tecnologie sanitarie sia un motore fondamentale per la crescita economica dell’UE ed è essenziale per il conseguimento di un elevato livello di protezione della salute», precisa Rondena di Novartis. «È un’opportunità di cambiamento, di evoluzione nella valutazione del valore delle tecnologie sanitarie e di promuovere un accesso appropriato, tempestivo e sostenibile dei pazienti alle tecnologie sanitarie, ai farmaci in particolare. L’Italia ha un’ulteriore occasione di regole sempre più chiare sempre più trasparenti e anche che danno prevedibilità. Ciò aumenterà la nostra attrattività come hub per la ricerca e sviluppo e per la produzione».
«L’Italia può guidare la leadership in Europa»
«C’è bisogno di ammodernare, di essere più veloci, come fanno Francia e Germania, per un diverso riconoscimento del valore che possa permettere al nostro sistema di attrarre capitali esteri. E guidare questa leadership perché abbiamo le competenze per farlo», osserva Gibellini di J&J Innovative Medicine.
«Poco risalto a quei risparmi che le componenti off-patent portano a sostenibilità e ricerca»
«Occorre ragionare sulla sostenibilità e proponibilità della tecnologia che, diventando sempre più iper specialistica, ha un costo per paziente molto alto», spiega Paolo Fedeli di Sandoz. «Dobbiamo lavorare come sistema paese per rendere i determinanti di sostenibilità non così semplici. In questo, io rappresento un’azienda che di per sé si occupa di farmaci off-patent. Nella governance generale della farmaceutica, viene dato poco risalto a tutti quei risparmi che le componenti off-patent possono portare per sostenere l’innovatività e la ricerca. Molto può essere fatto andando a lavorare in termini non di stravolgimento ma di ottimizzazione di capitalizzazione delle governance di autosostenibilità della filiera del farmaco. Penso che ci possano essere molti punti di comune accordo tra le varie aziende e le sensibilità».
«La politica deve avere una visione della sanità legata all’economia»
Per Walter Ricciardi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Il problema è legato alla mancanza di chiarezza. «L’HTA è giustissimo ma se si colloca in uno scenario in cui la politica ha un certo tipo di priorità, dove la salute è posta ai primi livelli in quanto legata all’economia e alle persone. Allora si vive meglio. Si vive meglio nei paesi in cui non c’è frammentazione regionale, dove una volta garantita una politica a livello nazionale, questa viene realizzata automaticamente in tutto il paese. Il 45% dei medici stranieri che lavorano in Europa sono italiani. È chiaro che bisogna applicare quanto detto all’Italia in cui appunto la politica non mette la sanità al primo posto e dove prevale la frammentazione regionale».