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IRCCS e trattamento dei dati, Pelicci (IEO): «C’è eterogeneità tra le strutture, serve ridurre gap»

Perché ne stiamo parlando
Tre anni fa è iniziato il progetto Health Big Data per definire e creare una piattaforma tecnologica per la gestione, raccolta, condivisione e analisi di dati clinici e scientifici. Le strutture “corrono” alla stessa velocità ma il divario rimane. Tendenzialmente, il Nord sta messo meglio rispetto al Centro e al Sud.

IRCCS e trattamento dei dati, Pelicci (IEO): «C’è eternogeneità tra le strutture, serve ridurre gap»
Pier Giuseppe Pelicci, Co-Direttore Scientifico, Istituto Europeo di Oncologia (IEO)

Creare una piattaforma tecnologica per mettere in rete dati clinici e scientifici dei cinquantuno IRCCS italiani: è la mission del progetto HBD (Health Big Data). Il cloud federato è stato creato ed è pronto il primo draft. L’obiettivo è ambizioso e la strada è già tracciata. Ma non mancano le criticità. «Per quanto riguarda la partecipazione dei singoli IRCCS, sicuramente in questi tre anni sono stati fatti dei passi in avanti giganteschi», racconta Pier Giuseppe Pelicci, Coordinatore Scientifico del progetto. Adesso serve ridurre il gap tra le strutture. «Il problema è l’eterogeneità degli IRCCS, alcuni molto avanzati sul trattamento del dato e sulle cultura informatica, altri meno», spiega l’oncologo. Health Big Data è realizzato dall’élite della sanità e dell’Information Technology italiane: le Reti del Ministero della Salute (oncologica, cardiologica, neurologica e pediatrica con 51 IRCCS associati), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il Politecnico di Milano, la Fondazione Politecnico di Milano e Reply, un’azienda leader di settore. Quali saranno i benefici e quale ruolo potrà avere l’Italia nel contesto internazionale? Di questi e altri temi ne abbiamo parlato con Pier Giuseppe Pelicci, Co-direttore della ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia (Milano) e Coordinatore Scientifico del Progetto HBD.

In quale aree si possono individuare gli IRCCS meno avanzati?

«La distribuzione geografica degli IRCCS è molto asimmetrica, nel senso che la stragrande maggioranza delle strutture sono ubicate al Nord, il loro sviluppo tecnologico è purtroppo condizionato dal contest. Tendenzialmente gli IRCCS del Nord stanno messi meglio rispetto a quelli del Centro e del Sud. Mi riferisco agli ospedali IEO, San Raffaele INT o Humanitas di Milano, per fare alcuni esempi. Una in crescita al Centro Italia è la Fondazione Gemelli a Roma».

Si può dire, quindi, che si corre alla stessa velocità ma sempre con il gap?

«Esatto. In questi anni hanno lavorato otto Working Groups su specifici temi e con la partecipazione degli esperti di digitalizzazione di ciascun IRCCS. Si è registrato un passo avanti notevole, da parte di ciascuno, ma l’eterogeneità ancora permane. Ad oggi non posso dire che il gap è completamente risolto, anzi c’è molto da fare».

Quanto durerà il progetto?

«Dieci anni ed è iniziato quattro anni fa».

Chi è coinvolto in termini di professionalità?

«Innanzitutto medici e ricercatori. Poi computational scientists, che si dividono in due grandi categorie: da una parte c’è chi si occupa di architettura, di infrastrutture e sistemi, dall’altra chi si occupa di analitica. Questi ultimi sono chiamati anche bioinformatici. Fanno parte del team anche avvocati, bioeticisti e tutte quelle figure che si occupano di privacy e sicurezza del dato informatico».

Concluso il progetto, quali saranno i benefici?

«L’obiettivo finale è creare un’infrastruttura che consenta la condivisione dei dati clinici e scientifici da parte degli IRCCS. Per poter far questo abbiamo bisogno di due cose: la prima è l’interoperabilità dei dati generati dagli IRCCS, e mi riferisco sia ai dati clinici che scientifici. Devono essere raccolti e trattati in maniera che siano condivisibili. Se i dati non sono scritti con lo stesso linguaggio, quando vengono messi insieme non sono confrontabili e analizzabili. La seconda è la creazione di un’infrastruttura centralizzata che consenta di ricevere, in seguito, questi dati, metterli insieme e analizzarli in maniera omogenea e congiunta. Ma qui c’è un problema gigantesco che corre su tre binari».

Quale?

«Il primo è l’aspetto legale della condivisione del dato, il secondo è la gestione della proprietà del dato (malvolentieri gli ospedali condividono i propri dati) e il terzo è tecnico, relativamente alla logica della condivisione».

Negli ultimi anni, con la nascita e lo sviluppo delle nuove tecnologie, in che modo si è evoluta la ricerca? Quanto è fondamentale fare rete con professionisti di altri settori?

«Le nuove tecnologie hanno cambiato radicalmente le terapie, ed in particolare “come” scegliamo le terapie più efficaci per il singolo paziente. Prima facevamo diagnosi di tumore, per esempio, sulla base del suo aspetto o origine. Oggi guardiamo le molecole, il DNA e l’RNA e le loro alterazioni. Analizziamo, cioè, ogni singolo paziente e mettiamo a fuoco qual è lo specifico meccanismo molecolare alla base della sua malattia. Oggi ogni paziente è un progetto di ricerca in cui devi mettere insieme tantissimi dati clinici e molecolari integrarli fra di loro. Le terapie vengono scelte sulla base dello specifico meccanismo molecolare. Se un paziente non viene screenato per il suo genoma, per esempio, non si può scegliere la giusta terapia. In questi ultimi anni il sapere testuale è andato in crisi, nel senso che non c’è libro che possa contenere questo mare magnum di informazioni. Si sta creando una specie di biblioteca mondiale condivisa dove ci sono tutti i dati dei pazienti e che ridefinisce la conoscenza delle malattie. Questo rappresenta una forma di democratizzazione straordinaria del sapere. La prospettiva a cui si sta lavorando in tutto il mondo è quella di mettere a fattor comune, condividere tutte queste informazioni e avere un approccio che sia bottom-up, che sappia generare un sapere che evolve continuamente in real time».

Certo, c’è anche da dire che è limitato all’Europa, quindi gli altri continenti in questo momento non seguono le regole degli AI Act: quindi potrebbe essere un limite oppure no?

«Sì, come è un limite il GDPR, il codice di trattamento dei dati, che è funzionante solo in Europa, mentre altri paesi hanno altre regolamentazioni».

In futuro l’Italia quale ruolo può avere nel contesto europeo e mondiale?

«La Comunità Europea due anni fa ha lanciato un un progetto per disegnare la modalità con la quale dovrebbe funzionare lo scambio dei dati scientifici, per esempio per i pazienti oncologici in Europa. Noi come Alleanza contro il cancro, quindi come Italia, abbiamo partecipato insieme a un network europeo dove c’erano rappresentanti di diversi Paesi. La Comunità Europea ha ora stanziato importanti risorse per realizzare questa infrastruttura che avrà la stessa logica federale del Progetto HBD: che ogni Paese abbia un hub federato e che l’Europa viva sulla federazione delle federazioni».

Come siamo messi in questo?

«Non male, devo dire, nel senso che il Cloud federato HBD, come vi ho detto, è stato tra i primi ad essere disegnato e realizzato».

Si può pensare in futuro di avere un’unica piattaforma universale? Quali potrebbero essere i rischi?

«Si, una piattaforma di linguaggio universale e di condivisione, non una piattaforma di controllo universale, che mi auguro non ci sarà mai. Per piattaforma di linguaggio universale intendo modalità condivise di elaborazione del dato, che significa usare la stessa lingua e fornire uno strumento per parlarsi».

Nelle scorse settimane è stato pubblicato l’Executive summary della Strategia Italiana per l’AI 2024-2026. Tra le azioni da mettere in campo, quella di trattenere e attrarre i talenti italiani. Siamo in grado di trattenere i talenti? Se non siamo in grado, in che modo possiamo essere attrattivi?

«In Italia abbiamo eccellenze straordinarie, misurabili facilmente sulla base di paper pubblicati. Il problema è uno solo, che abbiamo le eccellenze, ma non abbiamo una struttura Paese di ricerca avanzata. Non si tratta solo di soldi (che comunque sono scarsi). Serve cambiare il sistema delle carriere, il sistema va modernizzato».

La piattaforma, in futuro, dovrà garantire connettività tra gli IRCCS partecipanti al progetto, con altri Istituti di Ricerca italiani e non, con i database del Servizio Sanitario Nazionale e con database pubblici internazionali. Il percorso è ancora lungo, ma potrebbe portare a una vera rivoluzione nella ricerca scientifica e nella sanità.

Keypoints

  • Il progetto Health Big Data (HBD) è finanziato dal MEF e coordinato dal Ministero della Salute
  • Coinvolge 51 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) afferenti a quattro Reti
  • Si tratta della Rete Cardiologica, Alleanza contro il cancro, la Rete Neuroscienze e Riabilitazione e la Rete Pediatrica IDEA
  • Le Reti collaborano con: il Politecnico di Milano, la Fondazione Politecnico di Milano e l’Istituto nazionale di Fisica Nucleare
  • L’obiettivo è creare una piattaforma tecnologica per la gestione, raccolta, condivisione e analisi di dati clinici e scientifici
  • Il progetto prevede la creazione o il potenziamento di piattaforme IT locali e una piattaforma IT centralizzata

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