Come abbiamo avuto modo di raccontare qui su INNLIFES qualche mese fa, il Gruppo parmense Theras ha ideato e sta sviluppando una terapia digitale (DTx) per contrastare l’obesità, attualmente in fase di studio clinico, progettata per semplificare la gestione della patologia e migliorare ogni aspetto della vita delle persone che convivono con questa condizione. Al di là degli elementi clinici e degli impatti sociali di una simile terapia, la soluzione implementata rappresenta un esempio notevole – e tutto italiano – di Open Innovation, oltre a costituire un modello di business potenzialmente scalabile sia all’interno del nostro paese sia all’estero. Tra le sfide attuali più rilevanti che il comparto oggi deve affrontare c’è l’adeguamento a un contesto normativo in evoluzione, da cui dipende anche la sostenibilità economica della terapia, così da potere permettere a tutti di disporne, magari anche attraverso un meccanismo di rimborsabilità. Ne abbiamo parlato con Matteo Centola, Corporate Innovation Director di Theras, che con il suo gruppo si occupa di progettare, sviluppare e commercializzare soluzioni innovative per la cura e il trattamento di patologie croniche, tra cui il diabete e – appunto – l’obesità.
Matteo Centola, quali sono le caratteristiche principali della terapia digitale in fase di sperimentazione e a che punto è oggi del suo percorso di validazione e arrivo sul mercato?
«La soluzione che stiamo sviluppando si chiama Liberness ed è una terapia digitale mirata al trattamento e alla gestione dell’obesità. Si tratta di un dispositivo medico basato su un software che sta seguendo l’iter regolatorio per ottenere la certificazione CE, esattamente come gli altri dispositivi medici standard. Liberness ha due touchpoint: una app da installare sullo smartphone del paziente e una dashboard accessibile via browser per il personale sanitario, che consente di tenere monitorati i progressi terapeutici. Questo permette di semplificare il rapporto medico-paziente e di controllare con maggior attenzione l’evoluzione della malattia e del percorso di cura. Attualmente, Liberness è in fase di validazione e stiamo conducendo uno studio clinico randomizzato, controllato e multicentrico presso l’Istituto Auxologico di Milano e il Policlinico di Bari. I primi risultati sono stati molto positivi, ottenendo dati che indicano una significativa perdita di peso nei pazienti che utilizzano Liberness rispetto a quelli che usano un’app placebo. Il prossimo step è previsto per fine agosto o settembre e si focalizzerà sul mantenimento della perdita di peso a 12 mesi: un aspetto cruciale per i pazienti con obesità, che spesso invece già in qualche mese recuperano il peso perso. Del resto, l’obiettivo che ci siamo dati è di promuovere un cambiamento duraturo degli stili di vita e supportare i pazienti nella loro gestione del peso, in parallelo ai farmaci di nuova generazione come i GLP-1 receptor agonist che, pur efficaci nella perdita di peso, beneficiano di un sostegno comportamentale per mantenere i risultati ottenuti».
Come si configura una terapia basata su placebo per testare le terapie digitali? Per esempio, come avviene la strutturazione di uno studio in cieco?
«Spesso gli studi relativi alle terapie digitali non includono un braccio di controllo. Nello studio su Liberness è stato affrontato il problema dell’effetto placebo, che si manifesta in modo rilevante nei pazienti che fanno uso di terapie digitali: del resto, se i pazienti vengono arruolati per una terapia digitale e ricevono tutti lo standard of care, il principio del cieco viene compromesso, riducendo la robustezza dei dati. Per questo abbiamo sviluppato una app placebo che contiene solo gli “eccipienti digitali”, eliminando il “principio attivo digitale”. Nel caso di Liberness, la terapia digitale include un trattamento multidisciplinare con quattro aree: registrazione del peso, dieta, attività motoria e supporto psicologico. Ognuna di queste è stata sviluppata con personale sanitario e digitalizza gli algoritmi terapeutici utilizzati solitamente dai medici durante le visite in presenza. Per ingaggiare i pazienti e migliorare l’aderenza alla terapia, l’app contiene elementi motivazionali come video, questionari senza finalità cliniche, trofei e premi, considerati appunto “eccipienti digitali”. In questo modo, l’app placebo appare comunque funzionale e coinvolgente, ma non fornisce il trattamento terapeutico vero e proprio. Questo approccio consente ai pazienti di credere di essere sotto trattamento, mantenendo la struttura in cieco dello studio e garantendo la solidità scientifica dei risultati. Questa metodologia innovativa potrebbe diventare un riferimento per futuri studi sulle terapie digitali».
Dal punto di vista business, come si innesta lo sviluppo di una terapia digitale in un’azienda che ha già un business ampio e solido come è Theras, rispetto alle startup che nascono specificamente per le DTx?
«In Theras abbiamo adottato un approccio open per tutte le attività di ricerca, sviluppo e innovazione, facendo tutto tramite partnership e svolgendo un costante scouting esterno per adottare scelte di business opportune. Una volta identificata un’opportunità, valutiamo come accelerarla e contribuire all’immissione di un prodotto sul mercato, sfruttando il nostro expertise principale, il network con il personale sanitario e i pazienti. Questo è un punto di forza che spesso manca nel mondo delle startup. Per il progetto Liberness, nello specifico, siamo partner di PoliHub, l’acceleratore di imprese del Politecnico di Milano, e abbiamo collaborato con una startup che aveva sviluppato una terapia digitale, supportata dal centro di riferimento per l’obesità in Italia. La nostra idea, oltre a essere valida per lo sviluppo di una singola terapia per l’obesità, ha tutte le potenzialità per essere un punto di riferimento per lo sviluppo delle DTx in Italia».
In che modo il quadro normativo italiano, meno chiaro rispetto a paesi come la Germania, influenza la vostra strategia di commercializzazione per le terapie digitali?
«Il quadro normativo italiano, ancora incerto rispetto a paesi come la Germania, rappresenta una grande sfida e un rischio imprenditoriale per le aziende che decidono di investire nelle terapie digitali. La proprietà dell’azienda ha scelto di affrontare un doppio rischio, poiché ogni progetto di ricerca e sviluppo comporta un rischio significativo, soprattutto quando si tratta di dispositivi medici sotto forma di software, in un paese come l’Italia dove, come cultura digitale e digitalizzazione, si sta facendo molto ma resta anche tanto da fare. Nonostante queste difficoltà, stiamo cercando di fare la nostra parte anche con le istituzioni: seguiamo da vicino gli sviluppi del disegno di legge e abbiamo la volontà di collaborare per migliorare il contesto normativo. Per esempio, recentemente ho incontrato rappresentanti di Chiesi e prossimamente discuterò con AstraZeneca per trovare soluzioni comuni che vadano oltre le barriere esistenti.
In parallelo allo sviluppo tecnologico, in Theras lavoriamo da oltre un anno per creare un modello di business sostenibile anche in uno scenario di pagamento privato, ipotizzando sia senza rimborsabilità. Riteniamo che con le giuste accortezze questo modello possa essere comunque sostenibile. Tuttavia, la strada principale rimane quella della rimborsabilità delle terapie digitali quando sono basate su evidenze cliniche solide: per questo motivo abbiamo deciso di condurre uno studio clinico che permetta di ottenere massimo livello di solidità scientifica. Non posso che essere fiducioso che riusciremo a ottenere la rimborsabilità per le nostre terapie digitali in Italia, sperabilmente già dal 2025».
Con le terapie digitali puntate principalmente sul mercato italiano, oppure prevedete anche una diffusione all’estero?
«L’internazionalizzazione è una questione complessa per le terapie digitali. Mentre per un dispositivo medico standard è sufficiente tradurre il foglietto illustrativo e adattare il packaging per il paese di destinazione, per una terapia digitale non è altrettanto semplice. Anche se traduciamo l’app, questa deve essere poi adattata al contesto specifico di ogni paese e di ogni località. Per esempio, in Italia proponiamo la dieta mediterranea come trattamento terapeutico, basandoci sui suoi benefici comprovati, ma questo approccio sarebbe difficile da replicare in altri stati europei. Sebbene il marchio CE permetta la vendita nei 27 paesi, ognuno ha regolamentazioni specifiche, rendendo necessari ulteriori investimenti e adeguamenti. Per questo, attualmente stiamo focalizzando i nostri sforzi sul successo in Italia, cercando di rendere le terapie digitali efficaci e accettate nel nostro paese. Questo però non toglie che, se un principio attivo farmacologico o meccanico non ci sono confini di efficacia (pur dovendo tenere conto di alcune differenze culturali e di utilizzo specifiche di ogni paese), le terapie digitali devono essere approvate paese per paese, dimostrando la loro efficacia nel contesto locale.