Dottoranda italiana vola in Kenya per realizzare un sistema di diagnosi in vitro della malaria

Dottoranda italiana vola in Kenya per realizzare un sistema di diagnosi in vitro della malaria

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Mario Catalano

Perché ne stiamo parlando
Florinda Coro, studentessa di dottorato al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa, è partita con un solo obiettivo: rimediare alla mancanza di sistemi diagnostici per la malaria efficaci, robusti, di facile e veloce impiego, ma soprattutto realizzabili sul posto e di facile manutenzione.

Combattere la malaria sul posto disegnando un sistema di diagnosi in vitro: è la mission del progetto di dottorato di Florinda Coro, dottoranda al Centro di Ricerca “Enrico Piaggio” e il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa. Nei mesi scorsi è volata a Nairobi per sviluppare una parte del suo studio. Negli ultimi vent’anni, con l’avvento dei test rapidi che consentivano una mappatura più capillare, il numero dei casi registrati era in costante decrescita. Con la pandemia, però, la situazione si è ribaltata. È stato registrato un nuovo picco di casi perché le risorse sanitarie nei Paesi a basso reddito, che sono poi quelli più colpiti, sono state indirizzate al trattamento del covid interrompendo tutte le attività di screening e trattamento di malattie preesistenti. Non solo. I test rapidi, come quelli per il covid, presentano una bassa sensibilità. Ne abbiamo parlato con Florinda Coro.

Qual è il modo migliore per diagnosticare la malaria?

«La microscopia, ma non è facile avere a disposizione microscopi, personale qualificato per utilizzarli e tutto l’occorrente necessario. Il nostro obiettivo è quello di realizzare un sistema di diagnosi della malaria tramite microscopia che sia adeguato anche alle zone più rurali e meno attrezzate».

In cosa consiste il sistema?

Dottoranda italiana vola in Kenya per realizzare un sistema di diagnosi in vitro della malaria
Florinda Coro, Dottoranda, Centro di Ricerca “Enrico Piaggio”, Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università di Pisa

«Il parassita nell’infezione malaria attacca i globuli rossi, pertanto è necessario, per la diagnosi tramite microscopia, analizzare un campione di sangue. Il sistema che abbiamo ideato si compone di un dispositivo per realizzare facilmente i campioni, un microscopio e un sistema di intelligenza artificiale che valuta la qualità del campione. In futuro, vi sarà integrato anche un algoritmo per la diagnosi automatica. La nostra filosofia di progettazione è “open-source” e quindi tutte le informazioni del dispositivo sono condivise sulla piattaforma UBORA, una piattaforma per il design collaborativo di dispositivi medici».

Recentemente ha dichiarato che: «Le strumentazioni pensate per gli ospedali europei o statunitensi non trovano, negli ospedali di queste aree, le condizioni per funzionare». Quali potrebbero essere le cause?

«La strumentazione viene pensata, prodotta e utilizzata in contesti non a basse risorse, sterili, sottoposta a costante manutenzione e utilizzata da personale adeguatamente formato. Queste condizioni non sono le stesse per i contesti a basse risorse dove le condizioni climatiche (alta temperatura e umidità soprattutto), gli ambienti polverosi, le continue fluttuazioni di corrente, l’assenza di manutenzione regolare e personale non adeguatamente formato rendono il ciclo del dispositivo molto più breve. Le cause potrebbero essere attribuibili ad assenza di risorse economiche, condizioni climatiche avverse e sovraffollamenti delle strutture sanitarie».

Il progetto si è svolto in collaborazione con altri enti? Quanto è stato finanziato?

«Nessun finanziamento. Per le missioni all’estero sono state utilizzate borse di studio finanziate dall’ateneo e fondi della scuola di dottorato, inoltre il viaggio è stato in parte supportato dal programma europeo di mobilità ERASMUS+».

Ha lavorato fianco a fianco con i suoi colleghi africani per sperimentare, aggiustare, modificare e perfezionare un metodo di progettazione che sia “context-based”. In cosa consiste?

«Per tutte le ragioni precedentemente elencate il sistema delle donazioni in contesti a basse risorse non risulta essere efficiente. È necessario progettare dispositivi che abbiano caratteristiche tali da lavorare adeguatamente in un contesto caratterizzato da condizioni particolari. “Context-based” significa tenere conto di questi limiti e progettare device che possano lavorare bene anche in presenza di queste barriere».

In che modo l’IA può migliorare l’assistenza sanitaria e la ricerca nei Paesi in via di sviluppo?

«L’IA può supportare andando a sopperire alla mancanza di personale qualificato nelle zone rurali accelerando le tempistiche per la ricezione di un risultato».

In che modo, nei prossimi anni, si può migliorare la collaborazione internazionale sulle tecnologie sanitarie?

«Sicuramente ci sono tanti aspetti su cui si potrebbe lavorare. I due sui quali noi facciamo particolare attenzione sono il context-based e la produzione locale. Il context-based consente di avere dispositivi che operano al 100% delle loro possibilità, essendo progettati per operare a determinate condizioni. In aggiunta a questo, la produzione locale potrebbe essere un valore aggiunto. Nei contesti a basse risorse, la catena di approvvigionamento dei dispositivi medici è limitata e quindi si fa fatica a reperire dispositivi e materiale per riparazioni. Insistere sulla produzione locale, tramite tecniche innovative, come ad esempio la stampa 3D potrebbe risultare una tecnica vincente».

Il sistema di diagnosi in vitro è stato sviluppato a Pisa e affidato a Florinda Coro. Composto da un dispositivo per fare lo striscio di sangue, un microscopio a basso costo e un algoritmo di intelligenza artificiale, permette la diagnosi in automatico. Si tratta di dispositivi open-source, quindi liberamente condivisi, in cui ogni componente, dal design al codice sorgente, può essere studiato, modificato, riprodotto. Dallo strumento al metodo di progettazione: la dottoranda ha avuto modo di lavorare fianco a fianco coi colleghi africani per sperimentare, aggiustare, modificare e perfezionare un metodo che sia “context-based, cioè tagliato su misura.

Keypoints

  • L’ingegner Florinda Coro ha portato a Nairobi un sistema di diagnosi in vitro della malaria disegnato su misura per gli ospedali del posto
  • L’obiettivo è stato quello di rimediare alla mancanza di sistemi diagnostici per la malaria efficaci, robusti, di facile e veloce impiego
  • Il sistema è composto da un dispositivo per realizzare campioni, un microscopio e un sistema di AI che valuta la qualità del campione
  • Negli ultimi due decenni, con l’avvento dei test rapidi, il numero dei casi registrati era in costante decrescita
  • Il covid19 ha ribaltato la situazione
  • È stato registrato un nuovo picco di casi perché le risorse sanitarie nei Paesi a basso reddito sono state indirizzate al trattamento del covid19

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