A che punto è l’Italia nel campo delle Terapie Digitali? E come promuovere l’adozione delle tecnologie sanitarie digitali da parte del Servizio Sanitario Nazionale? Se ne discuterà in occasione della presentazione, il 24 settembre, a Roma, in Senato, del secondo DTx Monitoring Report, che mappa l’evoluzione delle DTx in Europa ed è il frutto del lavoro del “Digital Health Policy Lab”, progetto di ricerca nato nel 2022 dalla collaborazione tra Indicon Società Benefit e Paola Minghetti dell’Università degli Studi di Milano.
Chair del progetto è Paola Minghetti, Direttrice del Dipartimento di Scienze farmaceutiche all’Università degli Studi di Milano e Presidente della Società Italiana di Tecnologia e Legislazione Farmaceutica (SITELF).
Professoressa, innanzitutto, per fare chiarezza, spieghiamo cosa sono le Terapie Digitali.
«C’è ancora molta confusione sul termine, perché quando parliamo di sanità digitale e di medicina digitale parliamo anche di altro: di telemedicina, di fascicolo sanitario elettronico, di software usati dai medici per interpretare immagini radiologiche o dati di laboratorio, ecc.
Quando pensiamo a una terapia pensiamo a qualcosa di curativo e in effetti abbiamo dei sistemi digitali che svolgono un’attività terapeutica, sistemi che si basano su un software o algoritmi di intelligenza artificiali e sono in grado di accompagnare l’uso dei farmaci o sostituirsi a essi. Noi tendiamo a utilizzare l’espressione ‘dispositivi medici digitali usati dal paziente’ (pDMD) per delineare l’ambito delle Terapie Digitali. Perché, di fatto, va chiarito che non parliamo solo di dispositivi che svolgono un’attività terapeutica, ma anche di software, che impiegano algoritmi di Intelligenza Artificiale e vengono usati dal paziente, magari attraverso il cellulare, che permettono di avere anche attività diagnostica e preventiva. Questi prodotti in Europa vengono classificati come dispositivi medici, cosa che ritengo assolutamente corretta, perché sono device che impattano sulla salute, necessitano quindi di tutela pubblica, non possono essere di libera vendita e la normativa sui dispositivi medici è la più idonea per tutelare i cittadini».
Quindi, non solo terapia ma anche diagnosi e prevenzione?
«Esattamente. Si pensi ai software che aiutano i pazienti diabetici o con problemi bronchiali a gestire meglio la terapia o la diagnosi, come la valutazione del valore glicemico. Sono supporti che possono avere un impatto importante sulla salute del paziente, sui trattamenti terapeutici e quindi sul decorso della malattia. Vanno quindi gestiti in maniera tutelante. La normativa europea dei dispositivi medici prevede una marcatura CE, quindi un’attività preventiva di controllo affinché il prodotto che viene messo in commercio abbia caratteristiche verificate in termini di efficacia e sicurezza».
Dal primo DTx Monitoring Report, emerge chiaramente che la Germania traina in Europa lo sviluppo del settore con il maggiore numero di studi clinici condotti per validare le Terapie Digitali. Anche le DTx devono raggiungere standard elevati in termini di prove scientifiche solide di sicurezza ed efficacia clinica?
«Sì. Si consideri che per i dispositivi medici che possono avere attività terapeutica, dal filo di sutura che cura un taglio, allo stent cardiaco o al pacemaker che può essere salvavita, il regolamento comunitario dà direttive chiare: questi dispositivi per essere messi in commercio devono sottostare a studi clinici che ne dimostrino efficacia, sicurezza, il rapporto rischio-benefici. La strada quindi è già tracciata. Tant’è vero che i dispositivi medici digitali che sono in commercio in Germania hanno studi clinici alle spalle che hanno permesso di ottenere la marcatura CE e di essere rimborsabili. Se per ottenere la marcatura bisogna dimostrare un rapporto costo-beneficio favorevole, quando si passa al secondo step, cioè al rimborso, non è sufficiente dimostrare l’efficacia: bisogna dimostrare che il costo è accettabile rispetto ad altre terapie».
Quindi possono essere necessarie analisi ulteriori per dimostrare che a quel prezzo ha senso il rimborso?
«Sì».
Come si posiziona l’Italia nel campo della salute digitale e delle DTx in particolare?
«In generale sulla digitalizzazione in sanità l’Italia non si posiziona così male. Se penso al fascicolo sanitario del paziente, alla cartella clinica in ospedale, alla telemedicina, l’Italia non è così arretrata, ma quando parliamo di Terapie Digitali non possiamo non evidenziare il divario rispetto alla Germania, anche se non siamo gli unici paesi europei a essere in ritardo. Il punto è che le aziende investono poco perché non c’è chiarezza su come sarà organizzato il mercato e come saranno gestiti i prodotti sul mercato. E se non investono si fa fatica a impegnare le istituzioni a pensare a un sistema del rimborso e di distribuzione. Il problema non è tanto l’autorizzazione di questi prodotti, perché la marcatura CE vale in tutti i paesi europei. In altre parole, la legge comunitaria rende libera la circolazione dei prodotti con marcatura CE. Ma ovviamente, affinché un dispositivo possa arrivare in Italia tutto deve essere tradotto, perché per usare correttamente un software è fondamentale comprenderlo. La traduzione quindi non è cosa di poco conto. Anzi: vanno fatti anche dei test del prodotto nella lingua di destinazione. Il punto è che questi prodotti ovviamente hanno un costo e bisogna capire su chi ricade tale costo: sul cittadino o sul sistema sanitario? Nel primo caso, ben pochi potrebbero permetterseli e, d’altro canto, la conoscenza di questi prodotti non è ancora così diffusa fra la popolazione. Ma visto che parliamo di dispositivi medici utili alla salvaguardia della salute, dovrebbero essere riconosciuti e rimborsati da parte del Servizio Sanitario Nazionale per permettere a tutti i cittadini di avere accesso a queste opportunità terapeutiche, diagnostiche e preventive. È quindi necessaria una valutazione economica, un sistema di HTA, che permetta di dimostrare che il prezzo proposto dall’azienda abbia un senso in termini di costo-efficacia e permetta al prodotto di essere rimborsato».
A che punto siamo?
«Mentre l’ottenimento della marcatura prevede un percorso ben regolamentato, purtroppo sulla questione del rimborso siamo indietro: ancora non è chiaro come questi prodotti debbano essere gestiti, su quali fondi, e questo è un fattore limitante all’ingresso».
A quale modello ispirarsi per introdurli anche nel mercato italiano?
«Non c’è bisogno di inventare l’acqua calda, ma non possiamo riprodurre tout court il modello tedesco o quello francese, perché ogni sistema sanitario ha le sue peculiarità. In Germania è l’azienda che definisce il prezzo e dopo un anno si valuta se il prezzo è congruo o deve essere rinegoziato. Più facile secondo me prendere a modello di riferimento il medicinale, su cui abbiamo più esperienza nella valutazione del prezzo giusto, e mutuarlo a questi prodotti. Ma non essendo farmaci non possiamo applicare immutato il sistema del farmaco. Anche perché se ne occupano strutture diverse: del medicinale si occupa AIFA, mentre dei dispositivi medici si occupano AGENAS e Ministero della Salute. Ci troviamo in un gap organizzativo».
Anche al 63° Simposio AFI a Rimini si è discusso di Terapie Digitali e si è sottolineata l’importanza di lavorare sulla Digital Literacy, della classe medica e dei pazienti.
«L’informazione è fondamentale, rivolta sia ai sanitari sia alla cittadinanza, perché se una persona non è al corrente delle potenzialità di una certa tecnologia, fa fatica a percepirne l’utilità e se anche il medico non ne è consapevole difficilmente prescriverà quel prodotto. Diverse associazioni, fondazioni e società scientifiche, come AFI, cercano di fare la loro parte per informare e formare medici e farmacisti. Ma è difficile formare i sanitari su qualcosa che ancora in Italia non c’è».
All’estero invece sono ormai in uso diversi dispositivi digitali che supportano i pazienti con diverse patologie. Qualche esempio?
«Un bellissimo esempio di Terapia Digitale è un software sviluppato per bambini e bambine con ADHD. Si tratta di un gioco che permette di stimolare la capacità di concentrazione, la cui efficacia è stata dimostrata da studi clinici reali.
Ci sono poi patologie cognitive, come la depressione o l’ansia, che i dispositivi digitali aiutano a gestire, tenendo sotto controllo la sintomatologia. In America c’è in commercio un dispositivo che aiuta i pazienti con tossicomanie, dipendenza da alcol o da stupefacenti, a gestire la fase di disassuefazione sfruttando modalità comportamentali, agendo sulle abitudini quotidiane. Così come ci sono dispositivi che aiutano nella gestione di dolori muscolari, come per esempio i mal di schiena: con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale suggeriscono cosa fare in base alla descrizione che il paziente dà dei sintomi e della gravità. Ovviamente non ci sono e non ci saranno Terapie Digitali per tutte le patologie, ma l’innovazione procede e sempre più nuovi dispositivi digitali vengono sviluppati per la salvaguardia della nostra salute».
Professoressa visto che stiamo parlando di terapie che vengono somministrate attraverso tecnologie digitali e il cui “principio attivo” è costituito da un software o da un algoritmo, qual è il ruolo e l’attività della SITELF a riguardo?
«Chiaramente l’attività di ricerca e sviluppo dei software è lontana dall’attività dei soci della SITELF, perché la parte formulativa è in capo agli informatici. Ma SITELF vuole contribuire a capire quali possono essere le situazioni per cui le Terapie Digitali possono essere utili per la gestione diagnostica, preventiva o terapeutica dei pazienti. Inoltre, essendo una società scientifica di docenti di tecnologia e legislazione farmaceutiche, riteniamo sia importante fare formazione ai futuri farmacisti e biotecnologici».
Per seguire l’evento in presenza e in streaming, registrati sul sito: Presentazione del Secondo DTx Monitoring Report – Indicon (indicon-innovation.tech)