Nato otto anni fa all’interno di Assolombarda dalla volontà di rispondere alla forte esigenza delle imprese di trovare profili tecnico scientifici, il progetto STEAMiamoci, da poco divenuta associazione con un proprio statuto, da subito cerca di capire e affrontare il fenomeno per il quale sono più gli uomini a indirizzarsi verso lo studio delle materie STEM rispetto alle donne.
Nel nome, che vuole essere un’esortazione, l’acronimo STEM si completa con la “A” di “Arte”, per includere ogni aspetto della conoscenza e dell’espressività.
Quando siete partiti, cosa avete visto?
«L’idea era capire cosa fosse già in atto sul territorio per affrontare il problema. Abbiamo ricevuto molti no, pochi erano disposti a collaborare nell’ottica di visione più grande. Provenendo dal mondo delle imprese, da Assolombarda in particolare che ne conta 7mila, ci siamo avvalsi di ciò che avevamo in casa. Abbiamo quindi acquisito informazioni di rete dalle multinazionali che avevano già affrontato e digerito il tema della diversità di genere e attivato pratiche in grado di cambiare un po’ le cose. Ciò ci ha permesso di fare un po’ di cultura verso le piccole e medie imprese, ossatura fondamentale della nostra organizzazione».
Come siete riusciti a svilupparvi?
«Nella creazione di questa rete efficace ovviamente il sistema Confindustria è stato importante, agevolandoci a entrare in contatto con realtà associative distribuite territorialmente sia in Italia che all’estero. Aderisce al nostro tavolo anche Confindustria Est Europa che raggruppa 11 paesi dell’area. Cerchiamo di variare la nostra composizione per avere contributi culturalmente diversi e più estesi possibile. A STEAMiamoci ha aderito quasi da subito un’associazione americana di donne che lavorano nel settore biomedico. La nostra volontà di sostenere le ragazze nelle loro formazioni scolastiche o carriere all’interno delle aziende nell’ambito tecnico scientifico ha trovato un grosso riscontro anche nell’ambito anglosassone. A ciò si aggiungono collaborazioni con l’Ufficio del Parlamento Europeo, l’Ambasciata Britannica di Roma, il Consolato Generale di Svizzera, associazioni e Camere di Commercio estere».
Che ruolo hanno scuole e università?
«Sono fondamentali. Abbiamo attivato collaborazioni con il Politecnico di Milano, l’Università Bicocca, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la Bocconi e gli atenei locali. Questo perché volevamo essere una rete efficace. Confrontandoci con tutti gli atenei, grazie anche ad Assolombarda, abbiamo potuto stanziare delle borse studio destinate a ragazze ricche di talento ma prive di mezzi, desiderose di certe carriere. Un altro attore importante è il Comune di Milano».
In che modo?
«Ci siamo inventate la Primavera delle Pari Opportunità. Diana De Marchi, presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano con delega alle Politiche per il lavoro e Sviluppo economico, ci ha proposto di raccontare nelle scuole elementari ciò che facciamo, chi sono e cosa fanno queste donne, che mestieri ci sono oggi. Una bellissima sfida che abbiamo raccolto, mobilitando la nostra rete. Molte organizzazioni si sono rese disponibili a mandare le donne nelle scuole elementari della città di Milano a raccontare la propria esperienza. A ottobre lanceremo la prossima edizione sia a Milano sia a Roma, ma anche nei comuni più piccoli, quelli che vanno dai 6 mila a 1.600 abitanti e che hanno aderito all’iniziativa mettendo in contatto le scuole con le professioniste che le aziende mettono a disposizione di STEAMiamoci. Si tratta di un’ora di racconto nelle scuole elementari».
Chi sono queste professioniste?
«Provengono dalle aziende, ma mobilitiamo anche studentesse universitarie, questo anche per vicinanza anagrafica. Possono sembrare la sorella maggiore. A noi sta molto a cuore mantenere legate le generazioni tra loro. Vogliamo che il sogno sia grande nelle bambine e nei bambini, parliamo a maschi e femmine e il nostro tavolo si compone di donne e uomini».
Un bel risultato ottenuto?
«Anni fa siamo stati contattati dalla Fondazione Milan che fa ancora parte del nostro tavolo. Il punto era che avevano una squadra di calcio femminile fortissima, ma le donne non erano riconosciute come professioniste. Unendoci avremmo potuto acquisire una massa critica importante. L’anno successivo, non solo per STEAMiamoci, le donne sono state riconosciute come professioniste nel calcio. Cerchiamo di intervenire in tutte le aree. Siamo partite e presidiando fortemente l’ambito tecnico scientifico, ma ci stiamo muovendo anche in altri campi».
Qualche numero
I numeri, come sempre, parlano chiaro. In Italia il 37% sul totale degli iscritti a corsi STEM sono donne. Il 23% nei corsi di laurea in Ingegneria Industriale e dell’informazione sono donne, mentre esse costituiscono il 61% degli iscritti nel corso di Ingegneria Biomedica. Numeri che potrebbero in parte consolare, se non fosse che il gap retributivo per le laureate magistrali in corsi STEM è del 6%, che le donne in ruoli manageriali sono il 28% e che il voto medio di laurea per le laureate magistrali in ingegneria è 107,2.