Ridurre drasticamente le emissioni di CO2 è un imperativo per evitare l’aumento dei decessi legati al caldo estremo, a causa del cambiamento climatico. Oltre 2,3 milioni entro il 2099, cioè la fine del secolo, sono le morti stimate in Europa se non si intraprendono azioni urgenti. È quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature Medicine.
Parole chiave: mitigazione e adattamento. Perché appare evidente che le misure di adattamento al clima che cambia, misure cioè che possono aumentare la nostra resilienza alle condizioni meteorologiche estreme (più aree verdi nelle città, tetti riflettenti, interventi mirati a supporto della popolazione più vulnerabile, sistemi di allerta, ecc.), devono accompagnare gli sforzi di mitigazione, quindi l’abbandono dei combustibili fossili come fonte di energia, per salvaguardare la salute pubblica.
Coordinato da Antonio Gasparrini, professore di biostatistica e epidemiologia alla London School of Hygiene & Tropical Medicine, dove dirige l’Environment & Health Modelling Lab, lo studio ha stimato la futura mortalità in Europa legata al calore e al freddo considerando diversi scenari climatici, demografici e di adattamento di 854 città.
«Questo studio segue un nostra precedente ricerca pubblicata su Lancet Planetary Health in cui avevamo analizzato gli impatti storici della temperatura non ottimale, troppo caldo e troppo freddo, sulla salute e da cui era emerso che gli effetti del freddo, negli ultimi 20 anni, erano stati generalmente più alti in termini di eccesso di mortalità. Questi risultati sono stati strumentalizzati, soprattutto sui social media, per avvallare l’ipotesi che in futuro, con l’aumento delle temperature, saremmo andati incontro a una diminuzione delle morti nette, e quindi per arginare la volontà di attuare politiche di mitigazione».
Supponendo, cioè, che una diminuzione dell’esposizione al freddo possa compensare l’impatto negativo della maggiore esposizione al caldo…
«Esattamente. Per questo abbiamo voluto valutare questa ipotesi ed è emerso il contrario: senza intervenire per ridurre le emissioni di gas serra e adattarci all’innalzamento delle temperature, l’aumento dei decessi in Europa legati al caldo supera qualsiasi diminuzione dei decessi legati al freddo. In altre parole, aumenteranno molto di più le morti per il caldo estremo rispetto a quante ne diminuiranno per il freddo».
Quali aree sono particolarmente vulnerabili all’aumento delle temperature?
«L’Italia è tra i paesi più vulnerabili, insieme a Spagna, Portogallo e Malta. E Roma, Napoli, Milano e Genova risultano tra le dieci città europee, delle 854 aree urbane analizzate, in cui si stima il più alto numero di morti causate dall’aumento delle temperature entro la fine del secolo, soprattutto per gli scenari più estremi di cambiamento climatico. Barcellona è in testa (246mila), a seguire Roma, Napoli, Madrid, Milano, Atene, Valencia, Marsiglia, Bucarest e Genova»
Insomma, un pianeta più caldo è un pianeta più pericoloso per la nostra salute….
«Questo è molto importante da tenere in considerazione. Il nostro studio si basa esclusivamente sulla valutazione di impatti diretti relazionati alla temperatura non ottimale, al troppo caldo e troppo freddo, che sono fattori di rischio ambientale noti per la salute umana. Il caldo impatta sul sistema cardiovascolare, quello respiratorio, ecc. E l’esposizione a temperature molto alte altera diversi processi fisiologici con effetti abbastanza immediati.
Ma non solo. Ci sono anche impatti indiretti da considerare. Con l’aumento delle temperature andremo incontro per esempio anche a una maggiore diffusione di malattie trasmesse da vettori, come le zanzare per esempio. E anche i fenomeni meteorologici estremi sono una minaccia alla salute umana».
Quali fattori possono modificare la vulnerabilità della popolazione alle temperature estreme?
«L’età per esempio. L’invecchiamento della popolazione aumenta la vulnerabilità sia al caldo che al freddo, mentre un miglioramento generale delle condizioni socioeconomiche, dei sistemi sanitari e anche alcuni fattori infrastrutturali delle città, come per esempio più aree verdi, possono contribuire a ridurre l’impatto complessivo del caldo e del freddo sulla mortalità.
I risultati dei nostri modelli predittivi (di cui condividiamo banche date e mappe) forniscono prove chiare che la mortalità netta aumenterà anche nello scenario di cambiamento climatico più mite. Ma d’altro canto evidenziano i benefici per la salute derivanti dall’implementazione di strategie di mitigazione, per ridurre fortemente le emissioni di gas serra, e di adattamento. Politiche urbane di prevenzione alle ondate di calore contribuiscono per esempio a ridurre il rischio».
Alla luce dei risultati del vostro studio, quale messaggio deve arrivare ai decisori politici e in generale alla popolazione?
«Sono due i messaggi essenziali. I risultati smentiscono le “teorie” sugli effetti “benefici” del cambiamento climatico, spesso proposte in opposizione a politiche di mitigazione. Entro la fine del secolo l’aumento delle temperature causerà un eccesso di mortalità, perché le morti dovute al caldo cresceranno molto di più della diminuzione delle morti dovute al freddo. E questo deve spingerci ad attuare con urgenza politiche di adattamento e di mitigazione. Perché l’adattamento è fondamentale per diminuire la nostra vulnerabilità. Ma da solo non basta. Il nostro studio suggerisce che anche se fossero fatti enormi sforzi per adattare le città alle temperature in aumento, questo non sarebbe sufficiente a bilanciare i maggiori rischi per la salute dovuti all’esposizione al caldo estremo, specialmente nelle aree più vulnerabili. Dobbiamo agire allora per cercare di cambiare il clima meno possibile, quindi ridurre in modo consistente le emissioni in modo da evitare gli scenari più estremi a cui andremo incontro continuando a emettere gas serra in questo modo. Adattamento e mitigazione insieme sono la chiave per evitare milioni di morti in Europa prima della fine del secolo».