Le donne rischiano di restar fuori dai servizi di digital health

Le donne rischiano di restar fuori dai servizi di digital health

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Laura Morelli

Perché ne stiamo parlando
Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando il modo in cui le persone fruiscono dei servizi sanitari. Ma esiste un digital gender gap legato al non omogeneo accesso a Internet e alla scarsa formazione delle donne in ambito Stem. Tutti i numeri del divario nel libro della Commissione Donne Assd.

Le nuove tecnologie, Intelligenza artificiale (Ai) in primis, stanno rivoluzionando il modo in cui le persone fruiscono dei servizi sanitari, redendo alcune prestazioni più veloci e accessibili. Ma è davvero per tutti così? Non proprio. Il digital divide, ossia il divario che c’è tra chi ha accesso e una formazione adeguati alle tecnologie e chi non ce l’ha (per scelta o no), esiste e, neanche a farlo apposta, penalizza molto le donne.

Il fenomeno ha un nome ben preciso, il digital gender gap, ovvero il divario digitale di genere, e a ricordare quanto le donne rischino di rimanere indietro rispetto alla rivoluzione del digital health è la Commissione Donne dell’Associazione Scientifica sanità Digitale – ASSD, guidata dalla presidente Laura Patrucco, che ha raccolto nel testo Il digital  gender gap nella cultura del digitale in sanità (scaricalo qui) presentato in una conferenza a Roma, tutti i dati che fotografano il fenomeno.

Rivoluzione digitale per chi?

Come evidenzia nel testo Marisa De Rosa, coordinatrice del progetto, “si dice spesso che viviamo in una società perennemente connessa, in cui tutte e tutti siamo costantemente online ma i dati dimostrano che esiste una grande disparità nell’accesso, nell’uso e nella conoscenza delle tecnologie digitali e in particolare del web dove non tutte le persone hanno accesso alla rete”.

In l’Italia un recente report dell’Istat relativo all’anno 2023 indica che l’84,1% delle famiglie dispone di un accesso a Internet, ma che solamente il 45,7% delle persone che lo usano ha competenze digitali almeno di base e le donne hanno il 18% in meno di probabilità rispetto agli uomini di possedere uno smartphone.

Tutto questo, si evidenzia, “porta anche a dei bias nella creazione dei set di dati su cui si ha la fase di apprendimento. Le donne hanno meno probabilità di possedere un cellulare e di utilizzare internet e questo comporta che ci siano meno donne rispetto agli uomini che generano i dati che poi verranno utilizzati dalla tecnologia per l’apprendimento dei sistemi”. Questi ultimi nell’Ai, “sono molto importanti e possono condurre a soluzioni che non garantiscono la parità di genere in campi molto delicati come quello del lavoro o di altri settori sensibili come quello della salute perché costruiti su dati prevalentemente maschili”.

Se l’Ai ha la diseguaglianza nel codice

Nel dettaglio dell’Intelligenza artificiale, secondo una ricerca dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), il settore presenta dei gender gap importanti che sono in parte anche correlati ai dati sulla parità di genere nell’ambito STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

In particolare, il Gender Equality Index rivela che le donne non sono sufficientemente presenti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e di piattaforme tecnologiche e il risultato di queste discrepanze lo si ha anche nei prodotti e nei servizi realizzati dalle aziende high-tech, con disuguaglianze letteralmente scritte nel codice delle tecnologie più ampiamente utilizzate perché scritti prevalentemente con una visione maschile, con bias che possono riflettersi pesantemente sulle analisi dei dati alla base degli algoritmi adottati mentre occorre selezionare adeguatamente i dati utilizzati per l’addestramento tenendo conto della diversità dei dati e delle caratteristiche delle persone.

Inoltre, il rapporto dell’Unesco The Effects of Al on the Working Lives of Women pubblicato nel marzo 2022, indica che solo il 18% dei ruoli esecutivi e di leadership nelle maggiori startup di IA mondiali è ricoperto da donne. “Questo conferma aspetti di non parità che si propongono non solo in ambito imprenditoriale ma anche in quello accademico dove ci si attenderebbe una mentalità più aperta e innovativa”.

Poche donne nel mondo scienza e tecnologia

Il problema è anche legato alla formazione. Nel nostro paese, secondo i dati diffusi dal World Economic Forum nel suo Global Gender Gap Report 2024 e ripresi nel libro, la percentuale di donne laureate in tecnologie ICT è dell’1,7%, rispetto all’8,2% degli uomini. Inoltre, si stima che le donne che lavorano nel settore tecnologico guadagnino il 19% in meno degli uomini e sarà necessario rompere il cosiddetto “tetto di cristallo” nelle aziende Tech, per consentire alle donne di raggiungere posizioni apicali in organizzazioni innovative ad oggi dominate dagli uomini.

E pensare che è una donna, Ada Byron Lovelace, matematica nata nel 1815, ad essene considerata la madre dell’informatica moderna per aver fatto il primo algoritmo elaborabile da una macchina.

Nel nostro Paese, si legge poi, solo il 16,5% delle giovani si laurea in facoltà scientifiche, contro il 37% dei maschi, un dato migliore della media europea ma di evidente squilibrio. Appena il 22% delle ragazze si diploma in istituti tecnici, a fronte del 42% tra i coetanei dell’altro sesso. Un gap che nasce già nei primi anni di scuola e prosegue nel mondo del lavoro: nelle aree STEM solo un professore ordinario su cinque è una donna.

Nel 2022, il 34,5% degli uomini (25-34enni) ha una laurea nelle aree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), mentre la percentuale scende al 16,6% tra le donne (una laureata su sei), evidenziando un importante divario di genere.

A livello globale, il rapporto dell’Unesco del 2019 ha rilevato che le donne rappresentano solo il 29% delle posizioni di R&S in ambito scientifico a livello globale e hanno già il 25% di probabilità in meno rispetto agli omini di sapere come sfruttare la tecnologia digitale per usi di base.

“In questo scenario, è quanto mai urgente attivare una serie di interventi per incoraggiare le giovani donne a intraprendere studi scientifici a impossessarsi di un competenze digitali e ad avere una mentalità aperta al cambiamento all’innovazione”, si legge.

Il gap di genere nella salute

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riportato che sebbene le donne dell’Unione Europea vivano più a lungo degli uomini, con una media di 5,4 anni in più rispetto alla controparte maschile, la percentuale di anni trascorsi in buona salute è inferiore per le donne, con una differenza del 4,4%, trascorrendo il 25% in più della loro vita in condizioni di salute debilitanti.

Intervenendo sui bisogni di salute femminile, è stato stimato di poter ridurre di quasi due terzi il tempo che le donne trascorrono in cattive condizioni di salute. Questo miglioramento potrebbe aiutare 3,9 miliardi di donne a vivere in modo più sano e di qualità, aggiungendo in media sette giorni di vita sana per ogni donna all’anno. Tuttavia, gli interventi di sanità pubblica svolti finora hanno spesso posto maggiore attenzione sulla salute sessuale e riproduttiva delle donne, che ha un impatto significativo sulla loro salute complessiva ma non bisogna trascurare le malattie comuni a donne e uomini che possono causare disparità nell’esperienza del percorso di salute.

Keypoints

  • Le nuove tecnologie, Intelligenza artificiale (Ai) in primis, stanno rivoluzionando il modo in cui le persone fruiscono dei servizi sanitari, redendo alcune prestazioni più veloci e accessibili, ma non per tutti
  • Meno della metà di chi ha internet ha competenze digitali almeno di base e le donne hanno il 18% in meno di probabilità rispetto agli uomini di possedere uno smartphone.
  • La percentuale di donne laureate in tecnologie ICT è dell’1,7%, rispetto all’8,2% degli uomini. La scarsità di donne in area Stem produce dei bias di genere nella ricerca e nelle nuove tecnologie, a partire dall’Ai.
  • Tutti i numeri nel libro della Commissione Donne Assd (Associazione scientifica per la sanità digitale)

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