È di qualche settimana fa la presentazione del secondo Rapporto Annuale dell’Osservatorio Leads – Donne Leader in Sanità in collaborazione con la Luiss Business School sull’equità di genere della leadership in Sanità.
Abbiamo intervistato Patrizia Ravaioli, Direttrice Generale del Formez (Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento della Pubblica Amministrazione) e Presidente di Leads per capire meglio il contesto, coglierne le caratteristiche principali e allargare lo sguardo su aspetti più ampi della PA.
Dottoressa Ravaioli, quali sono i dati più interessanti emersi dal Rapporto Annuale dell’Osservatorio?
Purtroppo, i dati interessanti emersi confermano un trend che conosciamo e che rimanda al problema italiano nella sua globalità: secondo il Global Gender Gap Report 2023, l’Italia è al 79° posto su 146 paesi nella parità di genere. In questo quadro, la sanità (escluso il mondo della Farmaceutica) non solo non produce dati migliori rispetto ad altri settori, ma se vogliamo costituisce un ambito ancor più critico, dal momento che il numero delle donne che operano in questo campo è molto alto. Se parliamo di SSN, a fronte del 69% di donne occupate (sul totale) solo il 25% ricopre la posizione di Direttore di Struttura Semplice e il 19% quella di Direttore di Struttura Complessa. Venendo specificatamente all’Osservatorio, la partnership con la Luiss Business School ha permesso di sviluppare un progetto ideato da Leads, che ha portato all’elaborazione del Gender Leader Index in Health (GLIH) e, a questo riguardo, sono molto orgogliosa di dire che l’appuntamento con l’Osservatorio per il monitoraggio dell’equilibrio di genere in sanità è diventato un appuntamento annuale. L’Osservatorio intende rappresentare il mondo dell’Healthcare nel suo complesso, non limitandosi al SSN. L’analisi condotta nel privato, per esempio nel farmaceutico, descrive un contesto stabilmente migliore. Dal 2019 al 2020 l’indice è passato dallo 0,50% allo 0,51%, ma dobbiamo considerare che tali percentuali ricomprendono anche il middle management; l’industria dei dispositivi medici vede, invece, una prevalenza della leadership maschile. Penso questo sia connesso con la questione dell’occupazione femminile in generale, che in Italia è drammatica. Siamo al di sotto del 50%, contro una media europea del 59,6% (77% in Germania, 65% in Francia e 56% in Grecia): questo ci porta al 14° posto su 27 paesi, un posizionamento che confligge con le ambizioni del nostro Paese.
Uno dei vulnus della sanità pubblica, in questo momento, è rappresentato dalla violenza sugli operatori: soprattutto per le donne (ma non solo) lavorare in un ambulatorio situato in un centro isolato (pensiamo alla Guardia Medica) può essere pericoloso per la propria incolumità. Cosa possono fare le istituzioni a questo proposito e cosa stanno già facendo?
Mi lasci anzitutto esprimere la mia totale solidarietà verso gli operatori sanitari, i volontari e tutte le persone che, mentre si prendono cura degli altri, vengono aggredite fisicamente e verbalmente: si tratta di un fenomeno che trovo particolarmente ignobile. Come sottolineava lei, le donne sono più colpite (in proporzione di 2/3 rispetto agli uomini), in particolare quelle che svolgono la professione infermieristica. Per rispondere alla sua domanda, ritengo che il tema generale di fondo attenga alla cultura del rispetto che, fondando le sue basi nell’educazione, nella famiglia e nella scuola, è molto difficile da trasmettere, in generale nei luoghi di lavoro e, più in particolare, nei luoghi dove si erogano le cure sanitarie. Ciò che le istituzioni possono fare è prevenire questi comportamenti che, lo ricordo, sono spesso rivolti anche verso strutture e strumentazioni sanitarie. Proprio il 12 marzo scorso il Ministro Schillaci ha aperto la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari presentando i dati del monitoraggio effettuato dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), essenziali ai fini dell’elaborazione di policy e di iniziative di sensibilizzazione e formazione. In questo ambito, il Ministero della Salute ha anche realizzato campagne a mio parere molto efficaci: la più recente, intitolata La violenza non ti farà stare meglio. Loro sì (con riferimento agli operatori sanitari), mostra come usare violenza su chi si prende cura di noi sia profondamente autolesivo. Contestualmente, dovremmo fare sentire la nostra vicinanza alle persone colpite da tali gesti e, in secondo luogo, riflettere sulle ammende previste per coloro che se ne rendono responsabili, che dovrebbero forse essere più severe e prevedere disposizioni preventive di accesso analoghe al D.A.SPO per le manifestazioni sportive.
Lei è Direttrice Generale del Formez: come si seleziona la qualità delle Persone che lavorano nel pubblico?
Devo aprire la mia risposta con una premessa: dal punto di vista della selezione delle persone, oggi disponiamo di strumenti e normative davvero funzionali al raggiungimento della qualità. Attraverso lo strumento della digitalizzazione possiamo attrarre più persone e farci conoscere da un pubblico più ampio. Le cito a titolo di esempio la creazione di un portale unico per il reclutamento: InPA è una porta unica di accesso digitale ai concorsi pubblici e alle procedure di mobilità. Tenga conto che fino al momento della sua realizzazione, ovvero fino a tempi piuttosto recenti, chi intendeva partecipare ad un concorso pubblico doveva cercare informazioni nei diversi siti. InPA ci permette di estendere il numero di persone che vengono a conoscenza del concorso e dunque, attraverso la procedura assuntiva, di attrarre le migliori competenze. Questo è un aspetto vantaggioso anche in termini di pari opportunità. Inoltre, le procedure selettive per la copertura dei bisogni strutturali della PA (che sono state bloccate per 10 anni) sono state semplificate, accelerate e completamente digitalizzate. Il fatto che le procedure di selezione siano basate su quiz, ovvero test valutabili in maniera oggettiva, è a tutto vantaggio anche della trasparenza. Infine, qualità significa anche formazione continua: non mi devo limitare a selezionare le persone più competenti, ma ho il dovere di garantire loro un percorso continuo di crescita professionale, perché siano in grado di sfruttare tutti i vantaggi offerti dall’innovazione.
Se chiude gli occhi, come vede il futuro per le bambine e le ragazze di oggi?
La sua domanda mi trova in difficoltà, perché mi piacerebbe descrivere un’immagine rosea e luminosa, ma temo che le bambine e i bambini di oggi potrebbero non avere in futuro la stessa fortuna delle persone della mia generazione, che sono potute crescere di un contesto di pace. Potrebbero dover mettere mano alla costruzione di un mondo diverso, ma senza essere stati abituati a gestire i momenti difficili. I nostri giovani hanno infatti avuto, almeno nella maggior parte dei casi, percorsi di vita in discesa. Devo dire che, nella complessità generale, vedo però anche nuove sfide che potrebbero (e io lo auguro di cuore alle bambine e ai bambini di oggi) portare alla costruzione di una realtà migliore.