Una stampante da ufficio può arrivare a consumare ben 63 kWh per anno di energia elettrica. Scollegandola a fine giornata lavorativa, i consumi possono scendere a 48 kWh, con un risparmio di CO2 emessa di circa 12 Kg e di una quantità di polveri sottili paragonabili a quelle emesse da un motore diesel Euro IV in circa 210 km di percorrenza. Questo è solo un esempio di come il rispetto dell’ambiente e l’attenzione al risparmio energetico facciano bene al pianeta e alla nostra salute. Ed è uno dei consigli distillati nel Vademecum per l’ambiente e la salute di Humanitas University (scarica il documento qui) che, insieme agli Istituti clinici Humanitas, cerca di promuovere una cultura aziendale (e non solo) responsabile e sostenibile al fine di salvaguardare il benessere umano, proteggere gli ecosistemi e le risorse naturali.
Se puntare alla sostenibilità può portare anche benefici economici e competitivi, operare in modo sempre più sostenibile è cruciale per il settore sanitario, che è direttamente impegnato a promuovere la salute e il benessere della popolazione.
Ne parliamo con Francesca Puggioni, CapoSezione Clinico-Organizzativo dell’Immuno Center di Humanitas e docente nella Scuola di Specializzazione di Allergologia e Immunologia Clinica di Humanitas University di Milano.
Puggioni, sulla relazione tra ambiente e salute, interverrà il 29 ottobre a Roma all’ESG Life Science Forum organizzato da INNLIFES.
Professoressa, se il Covid ci ha lasciato una lezione, forse è la consapevolezza che la nostra salute è connessa alla salute animale e ambientale. Quali strumenti, competenze e conoscenze servono per rendere possibile questa convergenza e favorire un approccio integrato alla salute tutelando l’ambiente?
«La parola chiave è multidisciplinarietà, perché ognuno nel proprio campo e con la propria esperienza può portare idee nuove e promuovere un’innovazione virtuosa.
È necessario quindi un approccio multidisciplinare e un gioco di squadra tra clinici, ingegneri, informatici, architetti, biologi per poter analizzare i big data ed estrarne valore. L’analisi dei big data è fondamentale perché aiuta tutte le organizzazioni, che sia un’azienda, un ospedale, una città o un piccolo comune, a valutare il proprio impatto, in termini di emissioni di gas serra, produzione di rifiuti, consumi energetici e questo è fondamentale per identificare strategie più sostenibili. Ma non solo: l’analisi dei dati è importante anche dal punto di vista sociale, perché può fornire informazioni importanti sul coinvolgimento di tutti gli stakeholder e contribuire a migliorare la gestione delle risorse umane. Pensiamo per esempio a strutture complesse come gli ospedali universitari, dove le attività poliambulatoriali si affiancano all’attività di ricerca e didattica. È possibile studiare le dinamiche sociali e l’impatto delle pratiche di gestione del personale al fine di promuovere la diversità e l’inclusione. In sintesi, direi che l’analisi dei big data, supportata da un approccio multidisciplinare, può fornire una visione olistica della sostenibilità in generale e consente di valutare quali sono le priorità al fine di pianificare meglio gli interventi. Il segreto, insomma, è mettere assieme competenze diverse e avere un approccio data driven per perseguire gli obiettivi strategici o correggere traiettorie non corrette».
Secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’approccio One Health è strategico per raggiungere la salute globale. Ricordiamo a chi legge come si declina la relazione tra ambiente e salute?
«Noi siamo interconnessi con l’ambiente e gli altri animali. E ogni nostra attività ha un impatto che si riverbera anche sulla nostra salute. Basti pensare a come la nostra salute sia strettamente connessa al luogo in cui viviamo, quindi all’impatto dell’inquinamento, sia indoor sia outdoor. Le principali fonti inquinanti all’interno delle nostre case e dei nostri uffici sono il fumo di tabacco, i processi di combustione per la cottura dei cibi e il riscaldamento, i prodotti usati per la pulizia, colli, vernici, ma anche fotocopiatrici, stampanti e gli impianti di condizionamento dell’aria. Dobbiamo quindi imparare a controllare e gestire meglio quello che c’è nelle nostre case. Per quanto riguarda l’inquinamento outdoor sono ben noti gli effetti nocivi delle polveri sottili, meno conosciuti invece sono gli effetti del cambiamento climatico sul sistema immunitario: mi riferisco allo sviluppo di allergie, crisi improvvise di asma, ecc. Nel 2019 dati Istat ci dicono che sono morte oltre 500 persone in Italia per crisi di insufficienza respiratoria acuta per asma, la cui incidenza si stima aumenterà nei prossimi 5 anni del 5% a causa della progressiva tropicalizzazione del clima. Saremo infatti sempre più esposti agli allergeni e a nuovi allergeni, per un arco di tempo molto più esteso: via via infatti la pollinosi dura molto più a lungo, con una durata più lunga della sintomatologia e un impatto significativo sulla qualità della vita perché non si hanno più le allergie stagionali ma, praticamente, tutto l’anno. Il riscaldamento globale è fondamentale dal punto di vista dell’allergologia perché a ogni grado di aumento della temperatura la flora si sposta da sud a nord di 100 chilometri. Quindi, popolazioni che non erano quasi mai venute a contatto con determinate esposizioni allergeniche adesso lo sono e lo saranno sempre di più, e così insorgeranno nuove allergie. Quindi diventa ancora più fondamentale la prevenzione e avere un centro di riferimento specialistico per gestire le problematiche allergiche respiratorie e poter intervenire con le terapie personalizzate, per esempio l’immunoterapia allergene specifica, il prima possibile».
Il 29 ottobre a Roma si terrà l’ESG Life Science Forum: c’è ancora bisogno secondo lei di spiegare cosa significhi ESG e l’importanza di declinare i principi ESG nel quotidiano?
«Decisamente sì, perché se consideriamo l’ultimo rapporto della ESG Culture Lab di Eikon, in pratica solo il 24% del campione sa riferire cosa vuol dire l’acronimo e quali sono gli obiettivi. Più consapevole risulta chi ha tra 18 e 30 anni e vive nei centri urbani e chi lavora in aziende che stanno attuando processi di sostenibilità aziendale, abbracciando gli aspetti ambientali, sociali e di governance. È importante allora parlarne e fare educazione in materia, anche e soprattutto per veicolare l’importanza della sostenibilità sociale. Quando parliamo di ESG, infatti, non parliamo solo di ambiente, di adottare un consumo responsabile per impattare meno, ma parliamo anche di inclusione, valorizzazione della diversità, promozione dell’uguaglianza.
Dobbiamo dunque lavorare per creare una cultura ESG: siamo solo all’inizio. Del resto, si consideri che su PubMed, la piattaforma dove possiamo trovare tutti gli articoli pubblicati su riviste indicizzate in ambito medico, mettendo la keyword “pollution” nel 2023 si hanno oltre 30mila articoli, inserendo la parola chiave “ESG” ne abbiamo solo 200. Quindi anche dal mondo scientifico devono essere ulteriormente approfonditi gli effetti sulla salute individuale e pubblica degli altri aspetti che vanno oltre l’inquinamento».
Cosa intende per creare una cultura ESG?
«Dal lato medico, sviluppare una cultura ESG significa sviluppare una cultura della salute e del benessere, in senso lato. La salute passa infatti attraverso i cardini dell’ESG. ESG sta per Environmental, Social and Governance, parliamo dunque di ambiente, di società, e del governo delle organizzazioni. Sono i pilastri su cui si fondano la nostra salute e il nostro benessere. Non dobbiamo infatti pensare solo all’impatto dell’inquinamento, ma anche alla qualità delle relazioni sociali, agli effetti delle dinamiche e dei ritmi lavorativi, il luogo in cui si vive. Perché tutto concorre a regolare la nostra salute mentale e fisica. Se la governance e il perseguimento degli obiettivi ESG fa capo alla strategia aziendale, tutti noi nel quotidiano dobbiamo sviluppare un approccio pulito, ispirato a buone pratiche e a principi etici, con i colleghi, con chi dipende da noi e con i nostri superiori, al fine di creare un ambiente sano. Sono fermamente convinta dell’importanza di porsi con i propri interlocutori, nel nostro reparto, con il proprio gruppo di lavoro, con gli studenti e i pazienti, in questo modo. Così come lo è fare formazione sui principi ESG, che implicano il rispetto dell’ambiente, la trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, il rispetto delle minoranze e la valorizzazione delle differenze, ecc.».
Il mondo della ricerca biomedica, le strutture ospedaliere, come stanno recependo i principi ESG? E cosa fare per riorganizzare le strutture sanitarie in modo da ridurre l’impatto ambientale?
«Dipende molto dal contesto, dalla struttura, dalla città. Quando parliamo per esempio di ospedali privati come Humanitas parliamo di edifici nuovi che consentono di fare determinati tipi di scelte al fine di ridurre l’impatto ambientale e migliorarne l’efficienza energetica. Penso per esempio all’installazione di impianti di trigenerazione: sono approcci molto onerosi che si possono adottare nel contesto di edifici moderni. Ma se pensiamo al patrimonio murale delle nostre università e della maggior parte degli ospedali in Italia, tanti interventi sono probabilmente impraticabili perché parliamo di dimore storiche o edifici molto molto vecchi. Detto questo però, ovunque si può lavorare sul fronte della cultura. Uscire dall’ottica che è sempre qualcun altro a doversi preoccupare e occupare della riduzione dei consumi, banalmente spegnendo la luce, mettendo in stand by i computer, abbassando la temperatura del riscaldamento, ecc. Invece ciascuno di noi può fare molto per cambiare.
E su questo fronte Humanitas University insieme al Politecnico di Milano ha stilato il Vademecum per l’ambiente e la salute. Si tratta di una guida pratica con indicazioni e suggerimenti affinché ciascuno di noi possa mettere in pratica comportamenti sostenibili».
Gli ospedali sono strutture complesse, attive 7 giorni su 7, 24 ore su 24 e, dunque, caratterizzate da un fabbisogno energetico elevato. In che modo il network Humanitas si sta impegnando per adottare soluzioni concrete per contribuire alla sostenibilità ambientale?
«Humanitas è da sempre molto attenta al legame tra salute, efficienza energetica e tutela dell’ambiente, a maggior ragione considerando che l’ospedale è una realtà fortemente energivora: basti pensare a tutte le apparecchiature per la diagnostica e la cura. Con l’obiettivo di intraprendere una serie di azioni graduali al fine di perseguire la sostenibilità delle attività ospedaliere, è in corso una call to action continua per tutto il personale. Per esempio, siamo impegnati in interventi di “microregolazione”, come l’individuazione di orari di spegnimento notturno e nei weekend di alcune aree dell’ospedale, test sulla temperatura degli ambienti nel rispetto del benessere di operatori e pazienti, ecc. Ed è in fase avanzata di studio l’installazione di pannelli fotovoltaici nei nostri parcheggi. Inoltre, l’Istituto Clinico Humanitas utilizza degli impianti di trigenerazione che permettono di trasformare il calore in risorsa. Questi impianti infatti, alimentati a metano, producono energia elettrica e, successivamente, il calore prodotto dal motore viene catturato e convertito in energia termica e frigorifera. E, ancora, per fare un altro esempio, l’Ospedale di Rozzano è dotato di un pozzo geotermico usato per la produzione di energia frigorifera, indispensabile per il raffreddamento degli ambienti e delle macchine elettromedicali. Trovare soluzioni per affrontare la crisi e salvaguardare l’ambiente è però un impegno di tutti, anche attraverso comportamenti virtuosi, per questo è nata l’iniziativa Verde Humanitas attraverso la quale cerchiamo di sensibilizzare e promuovere l’adozione di comportamenti green. Articoli e approfondimenti presenti sulla intranet aziendale raccontano la sfida energetica e tecnologica delle nostre strutture e aiutano a scoprire piccole pratiche di ogni giorno. Evidenziando come, molto spesso, una scelta che tutela l’ambiente si prende cura anche della nostra salute, come promuovere una mobilità sostenibile, abbassare il riscaldamento, usare le scale al posto dell’ascensore».
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