Le azioni che mirano a trasformare la governance delle aziende, in una dimensione sia interna sia esterna, hanno un grande impatto sulla sostenibilità e sulle tematiche ambientali e sociali. Spesso, però, tra i tre indirizzi ESG, quella della governance è la dimensione meno analizzata, sia in termini di azioni, sia per quanto riguarda il suo impatto reale nel mondo circostante. Per questo motivo, UN Global Compact Network Italia ha lavorato con più di cinquanta aziende alla realizzazione di un paper che indagasse proprio questo aspetto, e mettesse in luce le best practices di alcune aziende. Il documento, intitolato “La Governance Trasformativa come driver di condotta responsabile per un business più etico, prospero e sostenibile” (scaricalo qui) è stato presentato insieme alla Rappresentanza permanente d’Italia lo scorso 17 luglio a New York, nell’ambito dell’High Level Political Forum delle Nazioni Unite. Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia, racconta in questa intervista i principali aspetti emersi all’interno del paper, l’impatto della governance trasformativa sulla sostenibilità e le sfide future in questo campo.
Dott.ssa Bernacchi, vorrei partire dal contesto. Quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a lavorare su questo paper? Qual era la situazione di partenza e quali obiettivi vi siete dati?
«Abbiamo deciso di lavorare ad un Paper sul tema della governance trasformativa nell’autunno del 2023, in occasione del Forum annuale del nostro Network – incentrato sull’Agenda 2030 e tenutosi a Palermo. Ci siamo confrontati con i nostri aderenti ed è emersa la necessità di tracciare un percorso sulla governance, che delle tre tematiche ESG era quella meno trattata, rispetto a “environment” e “social”. In quest’ottica, abbiamo poi coinvolto nei mesi successivi una cinquantina di aziende, organizzando un gruppo di lavoro per avviare un confronto rispetto alle tematiche di governance. Il punto di partenza è stato un lavoro preesistente del Think Lab coordinato da UN Global Compact sul tema della governance trasformativa, con l’obiettivo di dimostrare come la governance sia un aspetto fondamentale in una logica di creazione di valore condiviso con riferimento alla sostenibilità. Abbiamo cercato di mettere in luce un cambio di paradigma rispetto alla classica valutazione di una governance concentrata solo sull’analisi dei rischi e in seconda battuta sul risultato economico-finanziario, sottolineando al contrario quanto la governance possa essere anche un driver con riguardo all’Agenda 2030 e alla sostenibilità».
Quali temi sono emersi da questo confronto?
«Senza dubbio sono emersi chiaramente il tema delle competenze allargate e quello dell’indirizzo strategico dell’azienda. Tanto più un’azienda riesce a verticalizzare e a integrare nelle strategie pluriennali gli elementi di sostenibilità, tanto più si sta già muovendo verso una governance trasformativa. L’altro elemento fondamentale è, però, quello delle competenze apicali: non tutti i consigli di amministrazione, infatti, possono contare su competenze di sostenibilità. Per colmare questo gap, soprattutto nelle aziende quotate, sono valutati i comitati endoconsiliari, ma ci sono anche altre opportunità da cogliere: ad esempio, con quelli che vengono definiti come “NED”, Non Executive Director, cioè Direttori senza deleghe esecutive che entrano nei board con competenze specialistiche. Oppure, anche la possibilità di inserire nei board esperti esterni: sono tutte modalità utilizzate per rendere trasversali le tematiche di sostenibilità in assenza di competenze specifiche al livello apicale».
Questo dal punto di vista della governance interna; quale può essere invece l’impatto della governance nella sua dimensione esterna, cioè sulle relazioni al di fuori dell’azienda?
«Sicuramente nel coinvolgimento degli stakeholder dell’azienda, che possono essere le supply chain, ma anche i partner e le collaborazioni di partenariato con le Istituzioni, attraverso la condivisione delle competenze e degli obiettivi di sostenibilità. Non da ultimo, le progettualità rivolte alla società civile che generano un impatto positivo sulle comunità: come ad esempio l’azione di advocacy, sensibilizzazione o anche di educazione del consumatore finale sui temi dello sviluppo sostenibile. Poi, la capacità di lavorare in una logica multi-stakeholder – quindi con partenariati allargati su tavoli di lavoro condivisi – è un’altra modalità per diffondere cultura nella società tutta, al di là dei confini dell’impresa e dei fornitori, secondo un approccio di catena del valore e di comunità».
È misurabile poi questo impatto?
«In una logica trasformativa e olistica, quando si interviene sulla governance, l’impatto che si genera interessa anche le altre dimensioni. Ad esempio, se un’azienda fa un’attività di capacity building rivolta alla comunità, intervenendo sull’ambito del lavoro, l’impatto poi si avrà su indicatori probabilmente legati ai diritti umani o al welfare pubblico (dimensione S, social) oppure all’ambiente. Tutto ciò nasce però da un approccio orientato al coinvolgimento, ai partenariati e alle attività multi-stakeholder. Quindi, pur in assenza di indicatori che afferiscono specificamente all’ambito della governance, si può misurare l’impatto che una buona governance crea sulle altre due dimensioni. Poi, chiaramente, le aziende molto evolute sviluppano sistemi di valutazione interna, come le autovalutazioni del Board rispetto alla governance; in quel caso sì che ci possono essere questionari, anche quantitativi, sul recepimento della trasformazione in atto».
Proprio su questo punto, esistono differenze in tema di impatto della governance tra le grandi aziende quotate e le PMI?
«Sicuramente ci sono delle differenze, perché in generale per tutte le tematiche di sostenibilità – e non solo per quanto riguarda la governance trasformativa – le risorse messe a disposizione dalle PMI sono minori, non solo quelle finanziarie, ma anche in termini di risorse umane e quindi di competenze specialistiche. Per quanto riguarda le grandi imprese, invece, chiaramente è più facile creare tavoli multi-stakeholder, ma anche in quel caso sono percorsi ancora in fieri. Ad esempio, su 54 aziende che hanno partecipato al paper, solo 20 hanno sviluppato una case history: significa che le altre non si sentivano ancora di esporre una best practice. Per fare un esempio di case integrato al documento, posso menzionare esempi di aziende, che hanno introdotto un Sustainability Advisory Board formato da specialisti esterni, inclusi Professori universitari, che si incontrano su base bimestrale o trimestrale in supporto all’Amministratore Delegato sui temi di sostenibilità, offrendo una prospettiva neutrale ed input trasformativi. Si tratta di un percorso innovativo sicuramente e anche molto interessante, che dimostra un buon grado di apertura dell’Azienda, nonché la sua disponibilità a coinvolgere attivamente esperti di settore esterni all’organizzazione ed a considerare il loro percepito, i pareri e le visioni da questi espressi».
Qual è stata la reazione delle diverse aziende aderenti a UN Global Compact Network Italia dopo la pubblicazione del paper “La Governance Trasformativa come driver di condotta responsabile per un business più etico, prospero e sostenibile”?
«Il paper è stato finalizzato a maggio, e a luglio è stato presentato a New York presso le Nazioni Unite; quindi, a distanza di così poco tempo non abbiamo ancora dei dati sull’impatto di questa pubblicazione. Sicuramente – e questo è molto interessante – la comunicazione che è stata fatta intorno al paper ha attivato altre aziende, anche meno avanzate sul tema della governance, che hanno beneficiato di esperienze di altre aziende e sono state stimolate a voler approfondire l’argomento, a chiedere informazioni aggiuntive. Il confronto è uno dei grandi valori su cui si fonda l’iniziativa dell’UN Global Compact: da un lato noi condividiamo competenze, dall’altro si creano dei networking bidirezionali o pluridirezionali fra le aziende, anche a prescindere dalla nostra attivazione, e questo credo sia un arricchimento molto importante. Il fatto che questo paper abbia suscitato grande interesse dimostra una necessità condivisa dall’ecosistema: era arrivato il momento di indagare l’aspetto della governance trasformativa e il suo impatto sulla sostenibilità. Anche perché, è bene ricordare che l’Unione Europea attraverso la sua legislazione sulla sostenibilità sta alzando moltissimo l’asticella, dunque le aziende – in qualche modo – sono anche indotte ad affrontare seriamente questi temi».
Sicuramente, l’evento di presentazione del paper nell’ambito dell’High Level Political Forum delle Nazioni Unite è stata una grande testimonianza dell’ottimo lavoro svolto. Quali sono i prossimi obiettivi di UN Global Compact Network Italia?
«Durante questo evento, abbiamo coinvolto non solo la Rappresentanza Permanente d’Italia, ma anche i Governi di Sudafrica e Svizzera, e imprese appartenenti a questi stessi Paesi, a cui si è aggiunto anche il Kenya. La forza di UN Global Compact è quella di avere una dimensione internazionale. Oggigiorno, al livello mondo, le aziende aderenti all’UNGC sono oltre 20.000 e sono localizzate in 167 Paesi: oltre al benchmark nazionale, è interessante capire quali sono le opportunità e le difficoltà di imprese che operano in altri contesti di mercato. Chiaramente, per quanto riguarda la governance climatica quello che è emerso è lo “shortage di competenze”. Il tema delle competenze è un tema cardine all’interno dell’azienda, ma lo deve essere anche al di fuori, rispetto al coinvolgimento degli stakeholder. Ad esempio, per quanto attiene alla sfida cruciale del coinvolgimento delle catene di fornitura, le aziende più strutturate attuano programmi di formazione per i propri fornitori, come indicato dalle più recenti direttive europee.
Come UN Global Compact, continueremo a lavorare anche sulla governance trasformativa. Un tavolo di lavoro verrà avviato nel 2025 all’interno di UNGC, al livello globale, per approfondire verticalmente il tema della “business integrity”. Ulteriore stimolo per, per incrementare l’impatto virtuoso di questa trasformazione».