Nel 2023 l’Europa ha raggiunto un buon livello di riduzione del gender gap, superando il Nord America: 76,3% contro 75%, portandosi al primo posto su otto regioni geografiche. Seguono l’America Latina e le aree caraibiche, con il 74,3% , Eurasia e Asia Centrale (69%), Asia Orientale e Pacifico (68,8%). L’Africa Subsahariana è al sesto posto (68,2%), leggermente al di sotto del punteggio medio globale ponderato (68,3%). L’Asia Meridionale, con 63,4%, sorpassa il Medio Oriente e il Nord Africa (62,6%). Regione, quest’ultima, attualmente la più lontana dalla parità.
Se il ritmo di miglioramento in Europa si mantenesse così, si stima che il Vecchio Continente dovrebbe raggiungere la parità di genere tra 67 anni.
Rispetto al 2022, l’Italia ha perso l’1,5% e sedici posizioni, classificandosi nel 2023 al 79esimo posto, dopo l’Uganda. I primi posti sono occupati da Islanda, Norvegia, Finlandia e Nuova Zelanda che hanno complessivamente ridotto dell’80% il gender gap.
Ne parliamo con Monica Calamai, Direttrice Generale dell’AUSL di Ferrara, Commissaria Straordinaria dell’AOU di Ferrara, nonché Coordinatrice della Community “Donne Protagoniste in Sanità”, un gruppo composto da quasi duemila professioniste del settore sanitario e sociale, il cui scopo è contribuire allo sviluppo, alla crescita e all’innovazione nel campo socio-sanitario forte di un pensiero prevalentemente femminile.
Cosa si può fare?
“Occorre ripensare profondamente i meccanismi interni di organizzazione del lavoro in nome di una maggiore flessibilità. Ad esempio, si possono fissare dei limiti oltre i quali non organizzare riunioni, oppure considerare la possibilità di introdurre part time temporanei, avvalersi dello smart working e dunque della telemedicina con televisite. In quest’ottica, il digitale può rivelarsi fondamentale perché può davvero essere uno strumento utile per proseguire nel percorso di carriera”.
Qual è la situazione nell’ambito sanitario?
“Riflette quella complessiva nazionale, ma con importanti differenze: le donne presenti nel personale sanitario sono il 65%. Una percentuale molto alta, ma solo poco meno del 20% ricopre posizione di vertice. Se parliamo invece di donne medico, il 51% è donna, ma l’80% dei primari sono uomini”.
Come mai esiste ancora il pay gap a parità di ruoli?
“Penso che si tratti soprattutto di una questione culturale: noi donne siamo abituate a dire sempre “grazie”, in qualche modo, senza far valere le nostre competenze. L’offerta formativa dovrebbe includere corsi di leadership al fine di insegnare ai giovani, sin dalla scuola primaria, la capacità di affermare le proprie idee rispettando quelle altrui. È uno fra i tanti obiettivi stabiliti dall’Agenda 2030”.
Com’è organizzato il welfare all’interno degli ospedali?
“Piuttosto sul fai da te. Alcuni hanno al loro interno asili ma tanti altri no. Dipende da molti fattori, fra cui i finanziamenti. Ma non si deve pensare solo agli asili: l’Italia è un paese che sta invecchiando, gli anziani sono molti. Bisogna pensare a un welfare che contempli anche la possibilità del personale ospedaliero, e non solo, di occuparsi di genitori anziani”.
Come sta andando la Community di cui è coordinatrice?
“È nata nel 2021 ed è in espansione. Quest’anno conta oltre 2.000 protagoniste. Abbiamo una carta valori nella quale valorizziamo il concetto di creare una rete, il concetto di sorellanza, della condivisione delle conoscenze. Organizziamo attività formative e informative, il tutto volto a creare un pensiero e a un agire femminile”.