In Italia, solo il 27% dei Direttori Generali sono donne. E, a parità di ruolo e responsabilità, la differenza del salario annuo rispetto a quello di un uomo è del 20%. “Ci vorranno 131 anni per raggiungere la parità di genere”, avverte Monica Calamai, Coordinatrice della Community Donne Protagoniste in Sanità, associazione nata per creare una piattaforma di scambio per tutte le donne che aspirino migliorare il sistema socio-sanitario italiano.
Secondo il rapporto dell’Osservatorio sull’equità di genere della leadership in Sanità – una ricerca nata dalla collaborazione tra la Luiss Business School e l’Associazione LEADS – Donne Leader in Sanità – le donne nella sanità sono in maggioranza. Nel settore pubblico toccano il 68%. Ma ai vertici restano una minoranza, con un andamento che porterebbe all’equirappresentanza tra 150 anni. Il tema è noto e non riguarda solo la sanità.
Diversità nel nome della competenza
“Per noi la diversità è un elemento arricchente, ma non prescindiamo mai dalle competenze” dice Paola Pozzi, 47 anni, Partner di Sofinnova Partners, venture capital tra i più importanti nel Life science e nella Sostenibilità. “Sofinnova crea team d’investimento che siano diversi, non solo in termini di genere: ci sono 20 nazionalità, 15 lingue, formazioni professionali diverse. Team molto diversi, ma molto competenti. La diversità di genere non è un’equazione matematica: deve arricchire. Da noi il 57% del personale è costituito da donne, considerando team d’investimento e corporate service (amministrazione e ambito legale). In termini di team, il 50% sono donne. E tra partners e managing partners, arriviamo al 38%”.
Esposizione e corsi di leadership nelle scuole
“Il problema è culturale, ma c’è anche un tema di esposizione”, prosegue Pozzi. “Le donne che lavorano nell’ambito scientifico, della ricerca e nei laboratori, sono molte, ma non escono di lì, rimanendovi confinate. Essere esposte permetterebbe loro di fare passi avanti”. Pozzi, dopo la laurea in Biotecnologie, passa un periodo negli Stati Uniti, lavorando nel laboratorio di un affermato scienziato. “La scelta del mentor è stata fondamentale: questa persona mi mandava a seguire le attività dei comitati dell’Istituto Nazionale della Salute americano, a tenere lezioni e così via. Mi ha esposta e ciò mi ha permesso di considerare il trasferimento tecnologico come un’alternativa alla ricerca in laboratorio”. Pozzi, rientrata dagli USA, consegue un Master in Diritto della Proprietà Intellettuale, acquisendo competenze nel settore dei brevetti. “L’offerta formativa, oltre a incentivare lo studio delle materie STEM (Scienza Tecnologia Ingegneria Matematica), dovrebbe includere anche corsi di leadership per imparare ad argomentare e difendere la propria idea, rispettando quelle altrui”.
Le quote? “Sì, ma con un percorso che analizzi il gender gap e non solo”
“Se parliamo di quote come una soluzione soltanto, senza aver definito il problema, diventa una strumentalizzazione e si ottiene l’effetto contrario”, precisa Letizia Goretti, 50 anni, è CEO di Alia Therapeutics, un’azienda piccola, ma nella quale i numeri contano: l’80% delle persone che vi lavorano è donna e il CdA è femminile al 50%. “Si può arrivare alla definizione di una quota, ma con un percorso di analisi della questione. Il problema esiste ovunque, non solo in Italia, ma si stanno facendo passi in avanti. Ad esempio, l’azienda dove lavoravo prima, una grossa corporate americana, ha adottato un approccio basato su numeri e dati, quindi ha portato nel tempo a definire diversità e inclusioni come i veri problemi e opportunità, non solo del genere femminile. Negli anni la corporate ha sviluppato soluzioni, alcune delle quali hanno incluso le quote”.
Parità come motore per la crescita economica
Diversità e inclusione sono importanti perché hanno una giustificazione di business, non è solo una questione di giustizia sociale. “Le aziende”, prosegue Goretti, “hanno dei processi decisionali interni tanto più complessi tanto quanto lo sono i loro prodotti e il loro clienti. Quando il processo decisionale riflette il grado di diversità dei propri clienti anche il business ne beneficia. Se una società vuole distribuire in Cina si dovrà dotare di profili esperti di mercati asiatici. Nel Life science ciò è ancora più vero: i processi decisionali all’interno delle aziende sono in assoluto i più complessi per responsabilità e funzione sociale dei prodotti proposti”.
Acceleratori per capire come includere le diversità
Cresciuta in Italia, Goretti vanta un’esperienza più che ventennale all’estero, tra Belgio, Regno Unito e Paesi Bassi. Nel corso dell’esperienza presso la corporate americana ha potuto partecipare a un programma di sviluppo per sole donne di accelerazione di leadership. “Eravamo tutte donne della corporate di tutte le nazionalità. Era un percorso di learning simile a un MBA, arricchito da elementi di coaching. Durante le sessioni, che si sono tenute tra Sudafrica, Irlanda e Olanda, si analizzavano esperienze di business diverse. Era uno dei programmi di accelerazione che una multinazionale aveva ideato per supportare la diversità e l’inclusione, in questo caso mirata ad accelerare la crescita di donne in ruoli di leadership”.