Che cosa sono gli ESG
L’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance) identifica una serie di fattori che contribuiscono alla sostenibilità di un’azienda in termini ambientali, sociali e di governo societario. Questi fattori, per chi fa impresa, non sono semplici parole d’ordine atte a migliorare l’immagine del proprio marchio all’esterno, bensì aspetti che contribuiscono realmente a trasformare i processi produttivi, le relazioni lavorative, lo spostamento di capitali, le decisioni dell’azienda. In poche parole: rivoluzionano il modo di fare impresa.
Si pensi ad esempio alle scelte d’investimento. Seguire i criteri ESG significa indirizzare i propri capitali verso realtà che privilegiano processi con un minore impatto ambientale, che favoriscono l’inclusione e il benessere dei lavoratori all’interno dell’azienda, che promuovono progetti dall’elevato impatto sociale, e che prevedono meccanismi di trasparenza e politiche di diversità nella composizione dei consigli d’amministrazione.
Per le realtà affermate e le multinazionali, gli ESG sono già una prassi consolidata, ma è chiaro che da queste best practices si possa innescare un meccanismo virtuoso che arriverà nel medio-lungo periodo a trasformare tutto il sistema. Anche perché, l’attenzione della politica e dei decisori su questo tema è molto alta. Per questo si può a buon diritto parlare di rivoluzione: una volta che gli ESG saranno la norma per tutte le aziende, a prescindere dalla grandezza e dal settore in cui operano, non si potrà più tornare indietro. Una rivoluzione sostenibile, che migliorerà tutta la società.
Un quadro normativo in continua evoluzione
È indubbio che la rivoluzione degli ESG sia nata da una sensibilità generale, e culturale, del nostro tempo, che riserva sempre maggiore attenzione ai temi che riguardano la sostenibilità ambientale, le politiche d’inclusione e la trasparenza a livello governativo. A questa sensibilità sempre più diffusa e – si potrebbe dire – storica, ha fatto seguito però anche la costruzione di un impianto normativo che ha il compito di regolamentare le procedure e indirizzare positivamente il futuro dell’economia e della finanza. L’obiettivo è quello di garantire degli standard che le imprese devono seguire per raggiungere obiettivi di sostenibilità che siano misurabili secondo criteri definiti e validi per tutti.
Il termine ESG è stato usato per la prima volta in un rapporto del 2004 intitolato “Who Cares Wins”, un’iniziativa congiunta delle istituzioni finanziarie su invito delle Nazioni Unite. In meno di 20 anni, il movimento ESG è passato da un’iniziativa di responsabilità sociale d’impresa su raccomandazione delle Nazioni Unite, a un fenomeno globale che già nel 2019 rappresentava oltre 30 trilioni di dollari di asset in gestione e, entro il 2025, potrà arrivare a 50 trilioni (Fonte: Morningstar).
Inoltre, per affrontare l’emergenza climatica, a livello globale, gli Stati si sono impegnati negli ultimi anni a ratificare accordi orientati alla riduzione delle emissioni e al contenimento dell’aumento delle temperature. Quelli più noti sono l’Accordo di Parigi del 2015 e gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per uno sviluppo sostenibile.
Il Piano d’Azione della Commissione europea per la finanza sostenibile
Nell’ambito di questo generale impegno delle Istituzioni volto a contrastare il cambiamento climatico attraverso nuovi modelli produttivi, si inseriscono i diversi regolamenti che l’Unione Europea ha approvato negli ultimi anni specificatamente per il settore finanziario. Il pilastro, che compie quest’anno un lustro, è Il Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile, approvato dalla Commissione Europea nel 2018. Il Piano, nello specifico, ha tre obiettivi:
- riorientare i flussi di capitali verso investimenti che puntino a una crescita sostenibile e inclusiva;
- gestire i rischi finanziari derivati dai cambiamenti climatici, l’esaurimento delle risorse, il degrado ambientale e le questioni sociali;
- promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine nelle attività economico-finanziarie.
Questi obiettivi possono essere raggiunti, secondo il Piano, attraverso la definizione di azioni mirate che contribuiscano a cambiare tutto il sistema economico-finanziario. Per questo motivo, dall’Action Plan della Commissione Europea sono derivate negli anni a seguire due principali normative, che hanno definito il perimetro d’azione del nuovo modo di intendere gli investimenti finanziari.
Tre normative europee di riferimento
In linea con i propositi enunciati nel Piano d’Azione, nel 2019 è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2019/2088, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR – Sustainable Finance Disclosure Regulation). Tale Regolamento è stato successivamente integrato e modificato dal Regolamento (UE) 2020/852, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (Regolamento sulla Tassonomia).
Da un lato il Regolamento SFDR, entrato in vigore nel marzo 2021, stabilisce per diverse categorie di operatori finanziari e per i consulenti diversi obblighi, tra cui quello di comunicare sul proprio sito web le informazioni relative al modo in cui considerano i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nei processi che seguono per prendere le decisioni d’investimento e in tutti i prodotti finanziari venduti nell’Unione Europea.
Dall’altro il Regolamento sulla Tassonomia, entrato in vigore nel luglio 2020, definisce dei criteri oggettivi secondo i quali un’impresa può definirsi “sostenibile” sul piano ambientale, con l’obiettivo di combattere il fenomeno del greenwashing.
Nel 2023, infine, è entrata in vigore la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che aggiunge un ulteriore tassello all’impianto normativo europeo per la finanza sostenibile, e diventa parte integrante dello European Green Deal. La CSRD avrà un impatto per molte aziende europee, in quanto le imprese dovranno rendicontare come il loro modello di business influisce sulla propria sostenibilità e su fattori esterni, come cambiamenti climatici o diritti umani. La CSRD introduce un ampliamento della platea, in quanto verrà applicata a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate su mercati regolamentati, ad eccezione delle microimprese quotate. Queste imprese, inoltre, saranno responsabili delle informazioni pubblicate anche dalle loro controllate. Chiaro sintomo che il piano europeo per una finanza sostenibile coinvolgerà sempre più soggetti tramite un impianto normativo in continuo aggiornamento.
La normativa in Italia
In Italia non esiste una normativa specifica sugli ESG, anche perché gli attori che operano nel settore finanziario in Europa devono far riferimento ai Regolamenti europei citati. Sono presenti, però, diversi atti e regolamenti volti a promuovere la sostenibilità e la responsabilità sociale delle imprese. Si pensi ad esempio ai diversi benefici fiscali previsti per le imprese virtuose in termini di sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, la Borsa Italiana ha introdotto alcune linee guida per le società quotate al fine di promuovere la trasparenza e la divulgazione delle informazioni ESG. La Banca d’Italia ha invece stabilito raccomandazioni per le banche e le istituzioni finanziarie rispetto all’integrazione dei fattori ESG nelle attività di gestione del rischio e investimento.
Rating ESG: il panorama italiano
Di fronte ai diversi Regolamenti europei che contribuiscono a formare una normativa sugli ESG in continua evoluzione, diventa fondamentale capire come si possa valutare la sostenibilità di un’impresa, sia per la possibilità di essere partecipi ad un grande e positivo cambiamento in materia finanziaria, sia per la capacità di attrarre nuovi investitori e sperimentare nuove aree di business.
Il Rating ESG
Il Rating ESG è un indice che certifica la sostenibilità di un’azienda, di un fondo di investimenti o di un ente in termini ambientali, sociali e di governance, e viene calcolato da agenzie di rating specializzate nella raccolta e nell’analisi di dati. I criteri che vengono presi in considerazione sono diversi, e riguardano ad esempio per la parte ambientale la riduzione delle emissioni di CO2 e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali, per la sfera sociale la qualità dell’ambiente lavorativo e delle relazioni sindacali, per il lato di governance la composizione dei CDA e la remunerazione dei top manager. Per la valutazione di questi aspetti vengono solitamente analizzati documenti aziendali, informazioni pubbliche, dati provenienti da fonti esterne come autorità di vigilanza e associazioni di categoria, e vengono organizzati dei sopralluoghi.
Il panorama italiano
Di fronte a una crescente attenzione rispetto alla sostenibilità, che ha portato nel 2022 ad un totale di 2,7 triliardi di dollari gestiti in più di 2900 fondi ESG (Fonte: Morningstar), anche in Italia sempre più aziende investono in ESG. A febbraio 2023 è stato pubblicato l’ultimo report del Sustainability Lab di SDA Bocconi in collaborazione con Dynamo Academy, intitolato “Corporate Social Investment e ESG”. La ricerca dimostra che il 59% delle aziende italiane delle 213 analizzate ha istituito un comitato Esg, in linea con il 61% delle aziende globali. Gli investimenti complessivi sono pari a 635 milioni di euro, con risorse destinate prevalentemente a cultura e sport (67% delle imprese), assistenza sociale (53%), ricerca e sanità (52%), istruzione (48%), coesione sociale (45%).
Analizzando i diversi settori, nell’Healthcare il 71% delle imprese ha un comitato Esg a supporto del board, seguito dai trasporti (69%), beni di consumo (68%) e industria manifatturiera (65%). Il 44% del campione, inoltre, redige il proprio piano strategico e di azione in materia di sostenibilità.
Gli ESG sono fattori cruciali anche per i Business Angel. Secondo la Survey del 2023 svolta da IBAN (Italian Business Angels Association), infatti, il 70% di questi investitori ha valutato i criteri ESG prima di decidere dove orientare i propri capitali. Il dato è in aumento rispetto all’anno precedente, nel quale il 65% degli intervistati dichiarava di applicare questi criteri. Inoltre, il 40% degli intervistati dichiara di aver svolto in fase di due diligence approfondimenti su queste tematiche.
Infine, secondo l’Esg Outlook di Crif (giugno 2023), che ha analizzato un campione di 150 mila aziende italiane, emerge che solo l’8% ha un basso livello di adeguatezza ESG, a fronte di un 30% nel quale il percorso è già in fase avanzata; più del 60% delle aziende, invece, ha già iniziato a muovere i primi passi in questo senso.
La rivoluzione degli ESG è iniziata
Il messaggio è chiaro, investire in sostenibilità è ormai buona prassi, e i fattori ESG devono essere parte integrante del business plan di un’azienda che voglia essere parte attiva del mercato, in qualsiasi settore essa operi. Non solo perché gli investitori considerano gli ESG come fattori determinanti, ma anche perché gli aspetti di sostenibilità ambientale, sociale e di trasparenza saranno sempre più attenzionati dalle Istituzioni a livello globale ed europeo. Per questo sarà fondamentale poter contare su indicazioni e normative sempre più dettagliate, che contribuiscano a privilegiare gli investimenti realmente sostenibili e ad escludere quelli fittizi. Su questo tema, la politica è chiamata a dare una risposta che abbia un respiro di lungo periodo; che si occupi, in buona sostanza, di definire il futuro dell’azione economico-finanziaria dei prossimi anni.
La rivoluzione degli ESG è ormai iniziata, e non si può più tornare indietro. La notizia positiva è che gli effetti benefici saranno numerosi sotto diversi aspetti: per l’ambiente nel quale viviamo, per un’inclusione sempre maggiore, per un miglior utilizzo delle risorse di cui disponiamo. Se affrontata nel modo corretto, la rivoluzione sostenibile degli ESG sarà una vera cura globale.